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MONDO

La destra vince le elezioni in Corea del Sud tra tensioni sociali e internazionali

Una analisi dello scenario sociale e politico dopo la vittoria del candidato di destra Yoon sul democratico Lee con il margine più risicato della storia coreana, tra tensioni interne, crisi e povertà, e tensioni con Cina, Stati Uniti e Corea del Nord

È agosto, un uomo travestito da Joker sfida la torrida estate sudcoreana. Si filma mentre molesta alcune donne a un raduno femminista. «Ho sentito che ci sono delle fott___te femministe qui, le ammazzerò tutte», grida.

Nell’ottobre successivo, il candidato conservatore alle presidenziali Yoon Suk-Yeol[1] dichiara la propria ammirazione per la dittatura militare: «Chun», il dittatore, «fu un ottimo politico».

A gennaio, sempre Yoon dichiara: «i poveri e gli illetterati non sono in grado di comprendere né possono percepire la necessità della libertà». E poco dopo aggiunge: «Abolirò il ministero per la parità di genere».

Negli stessi giorni, un uomo nella cerchia ristretta del rivale, il democratico Lee Jae-Myung, informatore su un caso di corruzione che coinvolgeva Lee stesso, viene trovato morto in un motel. È il terzo uomo della cerchia di Lee a morire in circostanze sospette.

Infine, il 9 marzo scorso, al voto, Yoon si impone su Lee con il margine più risicato della storia coreana.

Quelli riportati sono solo alcuni degli episodi che hanno caratterizzato la campagna elettorale per le presidenziali sudcoreane, una delle più cupe che la storia di questa giovane democrazia ricordi.

Sotto molti aspetti la campagna ha ricordato le presidenziali USA del 2016, con il Partito del Potere Popolare (PPP) nel ruolo dei repubblicani, e il Partito Democratico (PD) nel ruolo dell’omologo americano.

Lee, candidato del PD, si presentava come un candidato dalla solida formazione politica. Dopo i trascorsi come avvocato per i diritti civili durante gli ultimi anni della dittatura militare e negli anni ’90, dal 2006 era stato prima sindaco e poi governatore di regione, per poi candidarsi alle presidenziali con posizioni politiche liberali di centro sinistra.

Yoon, al contrario, è apparso sulla scena politica alla metà dell’anno scorso e non vantava alcuna esperienza politica pregressa. Dopo una carriera in procura, era stato nominato procuratore generale sotto la precedente presidenza, fino alla sospensione dall’incarico nel novembre 2020 per abuso di potere, interferenza in procedimenti contro alcuni suoi collaboratori e altre violazioni etiche. Dimessosi nel marzo 2021, si è candidato alle presidenziali nel giugno seguente come indipendente, per poi iscriversi improvvisamente al PPP, di cui ha vinto le primarie grazie a un atteggiamento aggressivo, provocatore, sopra le righe, profondamente misogino e militarista, che gli è valso più di un paragone con Donald Trump.

Il contesto sociale e il governo Moon

L’elezione si è svolta in un contesto di grandissima tensione nella società coreana, dovuto a numerosi problemi strutturali, peraltro aggravati dalla pandemia e dalle sue recrudescenze. La crescita economica straordinaria degli ultimi decenni, trainata dalla manifattura high-tech, ha completamente trasformato la Corea, che è ora la sedicesima economia del mondo, un membro del G-20, con un reddito pro-capite paragonabile a quello italiano, nonché una delle pochissime economie avanzate ad aver superato indenne la pandemia.

Insieme a un livello di ricchezza medio sicuramente molto più alto, la crescita ha portato con sé enormi contraddizioni, che si manifestano principalmente in quattro aspetti: disuguaglianza, invecchiamento della popolazione, questione di genere e problema abitativo.

Esistono infatti sacche di povertà estrema e di esclusione, con centinaia di migliaia di persone costrette ad arrangiarsi alla giornata, come ha raccontato splendidamente il film Parasite. Per strada è facile incontrare anziani sommersi da innumerevoli scatoloni di cartone ripiegati per rivenderli e arrotondare la magra pensione. D’altro canto, la crescita economica ha provocato prima una crescita demografica vertiginosa, arrestatasi in seguito improvvisamente con l’imporsi repentino, a partire dagli anni ‘90, di uno stile di vita da capitalismo avanzato.

Come è successo in Europa, il numero di figli per ogni coppia è crollato, mentre l’ingresso di massa delle donne sul mercato del lavoro ha mandato in crisi il modello di famiglia tradizionale. Oggi, sempre meno giovani si sposano e sui quotidiani coreani la deludente vita amorosa degli under 35 è un tema ricorrente. Ciò non significa che la condizione delle donne sia migliorata altrettanto rapidamente. Al contrario, la Corea ha le peggiori diseguaglianze di genere dell’intera area OCSE.

Lo stravolgimento dei tradizionali rapporti di genere e l’innalzamento delle condizioni di vita hanno, inoltre, generato due ulteriori effetti: le nascite sono crollate e la popolazione è invecchiata velocissimamente. Per dare una misura, nel 2020 i bambini nati sono stati circa la metà che in Italia, che pure sperimenta un fenomeno simile e ha una popolazione paragonabile.

L’invecchiamento inoltre sta mettendo sotto stress il sistema pensionistico e dunque l’intero sistema fiscale (le tasse coreane sono tuttora bassissime). Infine, la crescita demografica e l’atomizzazione dei nuclei familiari, hanno provocato una crescente richiesta di alloggi, specialmente nell’area metropolitana di Seoul, la quale già conta 25 milioni di abitanti, circa metà della popolazione nazionale.

L’esplosione dei prezzi che ne è conseguita è diventato uno dei problemi più sentiti dai coreani e il precedente governo, guidato dal democratico Moon, aveva già provato a porvi rimedio cercando di limitare la speculazione dei grandi proprietari immobiliari. Tuttavia, il tentativo è fallito miseramente e ha fatto invece lievitare i prezzi di oltre il 100% a Seoul e del 30% in tutto il paese, rendendo pressoché impossibile l’acquisto di una casa per i giovani. L’impotenza è ben evidenziata dal numero enorme di interventi legislativi, ben 25, varati dal governo sulla questione immobiliare, nessuno dei quali ha prodotto l’effetto sperato.

Moon aveva anche promesso di affrontare la disparità di genere, presentandosi come un presidente femminista. Tuttavia, in mezzo a numerosi episodi di molestie sessuali che hanno colpito esponenti del PD, la dichiarazione è rimasta sulla carta. L’assenza di misure concrete e le incoerenze interne al partito hanno anzi contribuito a rafforzare un sentimento anti-femminista, particolarmente tra i maschi under 30, tra i quali è diffusa la percezione che una vita sentimentale deludente sia da imputare al femminismo e che ormai gli uomini siano più discriminati delle donne.

La paura di Kim

Anche in politica estera Moon è stato nei fatti inefficace. Ha recuperato la politica di distensione nei confronti della Nord Corea, meglio nota come Sunshine policy, con l’obiettivo di raggiungere la pace con il Nord, in sospeso dal 1953. L’obiettivo si è infranto di fronte a due contraddizioni. Innanzitutto, per il Nord la precondizione per la pace è il ritiro delle truppe USA dal territorio del Sud. La seconda è che ogni test militare effettuato dal Nord viene additato come una provocazione, sebbene anche il Sud effettui test militari in continuazione. Il doppiopesismo del Sud ha minato le relazioni inter-coreane e la leadership del Nord ha finito per percepire come un’interferenza fastidiosa i continui tentativi di contatto di Moon. Il processo di pace è naufragato e ha indebolito Moon e il PD.

Anche nei confronti della Cina Moon ha cercato una politica equilibrata. Per esempio si è opposto fermamente all’installazione del sistema anti-missilistico THAAD americano su Seoul, per non infastidire Pechino. La Cina, infatti, negli ultimi anni è diventata di gran lunga il maggior partner commerciale coreano. Anche qui però la gestione non è stata esente da contraddizioni.

La Cina è infatti vista come un pericoloso rivale strategico nell’industria dei semiconduttori e Moon ha implementato una severa legislazione per prevenire il passaggio di know how in Cina.

Questa minaccia è percepita in maniera ancora più marcata dalla popolazione. Nel surriscaldato clima geopolitico dell’Asia orientale, dominato dal confronto tra USA e Cina, molti sudcoreani percepiscono la Cina e la Nord Corea come una minaccia esplicitamente militare. Il costante bombardamento mediatico, la differenza ideologica con le leadership comuniste (o presunte tali), la rivalità strategica, tecnologica e militare generano paura, odio e disprezzo. La sinofobia è così diffusa da meritare una specifica voce su Wikipedia.

L’eredità di Moon

Moon non ha ottenuto solo fallimenti, anzi. Ha alzato il salario minimo del 41% dal 2017, ha ridotto il numero massimo di ore di lavoro settimanali da 68 a 52, producendo una riduzione effettiva media di un’ora di lavoro al giorno. Soprattutto, ha gestito splendidamente la pandemia grazie ad un sistema di tracciamento dei casi che ha consentito di mantenere i contagi sotto controllo senza introdurre alcun lockdown né coprifuoco e con misure restrittive blandissime se paragonate ai paesi occidentali.

La gestione pandemica è valsa una vittoria schiacciante del PD alle elezioni legislative del 2020, raggiunta quasi con la maggioranza assoluta dei suffragi e un’abbondante maggioranza in parlamento. Tuttavia, proprio la comoda maggioranza parlamentare ha reso più evidenti gli insuccessi di Moon, esponendone tutte le contraddizioni.

In particolare, il fallimento sulla politica abitativa e l’inattività sulla disuguaglianza di genere sono stati visti come un tradimento (la destra può favorire i proprietari di immobili, ma la sinistra?) e hanno alienato buona parte dell’elettorato. Come abbiamo visto la politica estera ha fatto il resto.

Il desiderio di una svolta rispetto alla presidenza Moon ha dunque improntato il confronto elettorale, forzando anche Lee a prendere le distanze dal suo predecessore nonché collega di partito. Entrambi i candidati hanno puntato ad accaparrarsi il blocco elettorale dei giovani maschi.

Yoon ha sposato felicemente una postura militarista, atlantista e apertamente misogina, promettendo l’abolizione del ministero per la parità di genere[2]. Lee dal canto suo insistito che l’uguaglianza tra uomini e donne è lontana dall’essere raggiunta e ha promesso le quote rosa, ma ha anche provato a blandire l’elettorato maschile, promettendo di opporsi alla discriminazione contro gli uomini. Allo stesso modo, entrambi hanno promesso di risolvere il problema abitativo costruendo centinaia di migliaia di alloggi a Seoul.

Anche in politica estera Lee si è dovuto distanziare fermamente da Moon, promettendo una maggiore assertività nei confronti del Nord, ma questo non ha impedito a Yoon di attaccarlo per essere «pro-Nord, pro-Cina e anti-US». Yoon ha infatti promesso di rafforzare l’alleanza con gli USA, di rafforzare le forze armate e di rompere con la Sunshine Policy.

Squid Game Election

Yoon non si è fermato lì. Ha anche dichiarato di voler comprare il sistema antimissilistico THAAD, ricevendo in cambio una minaccia di immediate sanzioni economiche dalla Cina, e si è lasciato scappare che sarebbe favorevole a un attacco preventivo alla Corea del Nord, anche in questo caso generando reazioni scomposte sia interne che nei paesi vicini. Le uscite superficiali hanno caratterizzato tutta la sua corsa alla presidenza, con una sequela incredibile di gaffe sessiste e classiste.

In dicembre, durante un comizio, ha cercato di scansare un confronto TV con Lee, chiedendo retoricamente «sono forse un’idiota?». Pochi giorni dopo la domanda è apparsa come sondaggio anonimo su internet: il 98% ha risposto sì.

Effettivamente in tutti i dibattiti Yoon ha fatto una figura meschina, dimostrando un’impreparazione e un’incompetenza che hanno scioccato l’elettorato. Negli stessi giorni in cui lodava pubblicamente la dittatura militare[3], si è presentato a un comizio con il carattere cinese per “re” disegnato sulla mano.

In un’intercettazione, la moglie ha sostenuto che da presidente Yoon avrebbe incarcerato qualunque giornalista l’avesse criticato. In secondo luogo, è stata trovata a mentire sul proprio curriculum. Infine, ha dichiarato pubblicamente che i conservatori non vengono coinvolti in scandali sessuali perché pagano le donne coinvolte. In tutti questi casi Yoon l’ha difesa strenuamente prima di scusarsi.

Lee non è stato affatto da meno. Sono emersi episodi di corruzione che lo coinvolgevano quando era ancora sindaco, è venuto fuori che membri della sua famiglia hanno usato risorse pubbliche a scopo personale e soprattutto, dei membri della sua cerchia, tra cui informatori della procura sui casi di corruzione, hanno iniziato a morire in serie, ufficialmente suicidi, ma con una frequenza che ha suscitato più di un sospetto.

Non solo, da avvocato Lee difese un nipote che aveva massacrato la fidanzata e sua madre a coltellate, minimizzando l’episodio come “dating violence”. Infine, è stata pubblicata un’intercettazione in cui Lee parlava di una disputa familiare col fratello, insultando lui e sua moglie con un linguaggio violentissimo e brutale, apertamente sessista, restituendo un’immagine diversissima dalla sua figura pubblica molto pulita e beneducata.

La quantità di scandali senza precedenti ha chiaramente influito anche sui toni della campagna. I dibattiti organizzati specificamente per discutere di certe tematiche sono stati costantemente dominati dalle accuse personali tra i due candidati, arrivando spesso ad insulti personali del livello di “Hitler”, “bestia”, “parassita”. La violenza dei toni ha raggiunto un parossismo tale da sollevare paragoni con Squid Game.

Il livello molto basso del dibattito e la scorrettezza dei toni hanno lasciato ovviamente un segno nell’elettorato. Un amico mi ha confessato il suo imbarazzo: «devo scegliere tra uno stupido e un assassino».

La vittoria di Yoon

Nonostante le gaffe e l’impreparazione siano costate a Yoon l’enorme vantaggio che aveva nei sondaggi in inverno, alla fine i coreani hanno scelto lo stupido. La politica progressista di Moon si è scontrata con delle contraddizioni insanabili in seno all’élite coreana, uscendone minata dalle fondamenta e spianando la strada alla vittoria del suo avversario, rappresentante del volto più reazionario dei conservatori. Non è detto che questi avrà la capacità e la forza di realizzare tutte le sue promesse, molte sembrano più argomenti di facile consenso da campagna elettorale.

Per esempio, è difficile immaginare che la Corea possa davvero permettersi di installare il THAAD americano e rischiare le sanzioni cinesi, per quanto la sinofobia paghi dividendi elettorali. Non a caso, il braccio destro di Xi ha partecipato alla cerimonia di insediamento di Yoon del 10 maggio. D’altro canto, è sicuramente più facile immaginare una svolta a destra molto decisa in politica interna, con tinture antisindacali e antifemministe.

Quello che è certo è che la vittoria di Yoon restituisce un mondo meno sicuro, sia geopoliticamente sia per gli stessi coreani. E se la società coreana avrà l’energia per reagire al ritorno di fiamma della destra reazionaria solo il tempo potrà dirlo.


[1]In Asia orientale è costume mettere il cognome davanti.

[2]Il Ministero conta lo 0.2% del bilancio dello stato, che evidenzia abbastanza chiaramente la sua rilevanza effettiva.

[3]Nel 1980 ci fu un colpo di stato militare guidato da Chun Doo Hwan, e la città di Gwangju insorse. Chun mandò l’esercito per reprimere l’insurrezione, facendo migliaia di morti. Nella regione di Gwangju, Lee ha preso oltre l’80% in ogni circoscrizione.

Immagine di copertina da wikimedia commons