approfondimenti

MONDO

«La Convenzione di Istanbul appartiene alle donne». Proteste dopo l’uscita della Turchia

La voce delle femministe turche e dell’avvocata Giulia Vescia per commentare la decisione della Turchia di lasciare la Convenzione di Istanbul. «Continueremo a mobilitarci, sia in Turchia che all’estero, fino a che non verrà ribaltata la decisione»

La reazione del mondo femminista non si è fatta attendere. Subito dopo che il partito di governo turco Akp ha annunciato lo scorso sabato di voler ritirare il paese della Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere, migliaia di donne, uomini e membri della comunità Lgbt si sono riversati nelle piazze e nelle strade di molte città del paese per contestare la decisione.

Una dichiarazione di intenti molto pesante e dalla forte valenza simbolica, visto che la Turchia è stato il primo firmatario dell’accordo siglato nel 2011. La direzione, però, sembrava chiara ormai da tempo: la “svolta reazionaria” Erdogan e delle forze a lui vicine ha colpito fin da subito le donne e la comunità Lgbt, che sono state spesso oggetto di accuse verbali e attacchi politici da parte di esponenti governativi.

Abbiamo parlato con Deniz Altıntaş, membro di Kadın Cinayetlerini Durduracağız Platformu – Piattaforma per Fermare i Femminicidi, attiva da oltre vent’anni sul territorio turco e fra le principali organizzatrici delle proteste che hanno seguito la decisione governativa. Al racconto di quanto avviene in Turchia abbiamo poi voluto affiancare la voce di Giulia Vescia, avvocata che collabora con la casa delle donne di Roma Lucha Y Siesta, per approfondire l’importanza della Convenzione da una prospettiva femminista.

Oggi alle 16, a Roma presso piazza dell’Indipendenza, ci sarà un presidio organizzato dal movimento Non Una di Meno in solidarietà con le donne turche.

 

La lotta femminista in Turchia

Intervista a Deniz Altıntaş

Come commentate la decisione del Governo di ritirarsi dalla Convenzione?

Durante la scorsa estate, gli attacchi contro le donne e i membri della comunità Lgbtiq+s nonché contro la Convenzione stessa sono aumentati. C’è stata una reazione: siamo scese e scesi in strada, abbiamo protestato e siamo riuscite a indebolire questi attacchi.

Tuttavia, è una sorta di processo parallelo: da una parte, le attività legate alla Convenzione di Istanbul hanno sempre rappresentato un programma fondamentale per le associazioni e i gruppi femministi in Turchia e per la comunità Lgbtiq+s. Dall’altra, le contestazione e gli attacchi alla Convenzione e alle nostre comunità da parte del potere sono costanti e accadono da sempre.

Perciò, la decisione del Governo non ci ha per nulla sorprese. Ma la Convenzione di Istanbul non appartiene al partito di Erdogan, appartiene alle a noi, ai membri della nostra comunità. Non appena abbiamo ricevuto la notizia, ci siamo mobilitate per organizzare proteste e manifestazioni in ogni città, in ogni villaggio.

Le sorti della Convenzione, comunque, dipendono dalle decisioni e dalle posizioni di tutti i partiti politici. Il personale è politico e, in questo senso, il partito di Governo ha assunto una decisione altamente politica. Ma, allo stesso tempo, noi pensiamo che una decisione politica sta in secondo piano rispetto al nostro diritto a una vita equa e libera. Stanno mettendo in discussione il nostro diritto a vivere, e noi non lo accettiamo!

 

Perché la decisione arriva proprio in questo momento?

La Turchia si è fatta firmataria nel 2011, ma l’accordo non è mai stato davvero messo in pratica. Per anni abbiamo lottato affinché i principi della Convenzione potessero trovare uno sviluppo realmente efficace e onnicomprensivo da parte di tutte le istituzioni e le associazioni del paese, dalla scuola, al lavoro, alla casa, per le strade, nelle aule di Tribunale, dappertutto insomma. È chiaro che questo non può accadere in un periodo di tempo breve. Ma, più concretamente, gli attacchi hanno subito un’accelerazione la scorsa estate e si sono intensificate le pressioni politiche per lasciare la Convenzione.

 

Qual è la situazione relativa alla violenza contro le donne nel vostro paese?

In Turchia il femminicidio rappresenta una delle questioni più urgenti e drammatiche contro cui cerchiamo di lottare da tempo. Tuttavia, il termine è stato impiegato dalle autorità solo a partire dal 2018 ed è dunque difficile avere delle statistiche precise. Ma possiamo osservare che si tratta di un fenomeno in aumento: lo vediamo da quanto accade nella aule di tribunale, tante donne che subiscono violenza si rivolgono a noi, le chiamate alle nostre linee di aiuto sono sempre di più…

Ufficialmente, nel 2020 i femminicidi sono diminuiti. Ma dire “diminuiti” è davvero molto pericoloso: la realtà è che sono aumentati gli episodi di morti sospetti di donne. In altre parole, ci sono tanti casi in cui risulta difficile capire se si tratta di un omicidio, di un suicidio o di un caso di morte naturale. La polizia forense e gli agenti della scientifica spesso provano a “coprire” i femminicidi, presentandoli come delle morti naturali. Ci stiamo battendo per “smascherare” e fermare queste operazioni.

 

 

 

Al ritiro dalla Convenzione sono seguite imponenti manifestazioni. È segno che c’è una diffusa consapevolezza femminista in Turchia?

Sì, tantissime donne e tantissime persone sono scese in strada, non solo in Istanbul. Si tratta di mobilitazioni che stanno continuando in ogni provincia (anche per domani è previsto un appuntamento di protesta alle 18.30 a Kadikoy, ndr). È un fatto che questione relative al femminismo, all’uguaglianza di genere, alle lotte delle donne stanno diventando sempre più comuni nel nostro paese.

La lotta femminista si sta espandendo. Vediamo sempre più segnali in questo senso nelle piazze. Ci sono donne che magari partecipano a una protesta per la prima volta nella loro vita e sviluppano il desiderio di farsi soggetti politici e decidono magari di organizzare delle manifestazioni nella loro provincia, nei loro villaggi. La lotta femminista in Turchia cresce di giorno in giorno.

 

È arrivata la condanna delle Nazioni Unite e di alcuni leader politici. Pensate possa far tornare il Governo turco sui propri passi?

No. Le dichiarazioni di condanna sono importanti, ma non bastano. Siamo riuscite a ottenere importanti risultati attraverso lotte collettive, politiche e organizzate. Continueremo su questa strada, sia in Turchia che all’estero, fino a che non verrà ribaltata la decisione.

(Francesco Brusa)

 

 

Perché è importante la Convenzione di Istanbul

Intervista a Giulia Vescia

Cos’è la Convenzione di Istanbul e come nasce?

Approvata ad aprile 2011, la Convenzione di Istanbul è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro giuridico completo per combattere la violenza di genere.

Negli anni precedenti al 2011, l’Unione Europea prova a verificare lo stato dell’arte relativo alla lotta contro la violenza di genere e si rende conto del fatto che quasi tutti gli stati membri hanno una legislazione penale molto completa, diversa tra ogni stato, ma che non riesce veramente a tutelare le donne nei casi in cui sono vittime di reati specifici che colpiscono solo le donne.

Perciò, tra il 2006 e il 2008 un gruppo di esperti conduce una ricerca sul campo che mette in luce la forte necessità di armonizzare l’azione a livello europeo, integrando i codici penali di alcuni stati membri con dei reati specifici per tutelare le donne. Nel 2008 viene presentato il primo progetto di Convenzione, che tra varie modifiche, emendamenti e lavori finali si conclude nel 2011 e viene firmata da 32 stati. Proprio la Turchia è stato il primo paese a ratificare la convenzione, il 12 marzo del 2012. La ratifica è molto importante perché è grazie a questo strumento che gli stati diventano giuridicamente vincolati alle norme presenti nella convenzione. Il mancato adeguamento a una norma può quindi generare delle procedure di sanzione.

 

Cosa comporta l’uscita della Turchia?

Il 20 marzo di quest’anno, Erdogan rende pubblica la volontà della Turchia di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul, e quindi di non renderla più operativa all’interno del paese, in quanto, a suo avviso, le leggi nazionali sono sufficienti a garantire la protezione delle donne. Dico solo un dato: dall’inizio del 2021 in Turchia ci sono stati 78 femminicidi e solo nel 2020 se ne contano più di 300. Voci di corridoio dicono che il ritiro sia frutto di un gioco politico volto a ingraziarsi la parte più conservatrice del suo partito e soprattutto per avvicinarsi alla Russia, che è sempre stata contraria alla Convenzione di Istanbul. Adesso c’è il rischio che tra Russia, Ungheria e Turchia si possa saldare un’alleanza volta a smantellare progressivamente una serie di diritti fondamentali.

Il ritiro della Turchia dalla Convenzione ha scatenato numerose proteste in tutto il paese, e anche molte istituzioni, sia europee sia statali, hanno preso le distanze da questa decisione. Quella della Turchia è una presa di posizione molto forte, ma non stupisce, dal momento che in questo periodo i diritti delle donne sono sotto attacco dovunque nel mondo.

Se l’UE non assume un atteggiamento deciso nei confronti della Turchia, eventualmente sanzionando questa decisione, c’è il rischio che questa svolta autoritaria si diffonda in Europa, in particolare in alcuni paesi, come l’Ungheria e la Polonia. Non basta dire che è un atto gravissimo e che l’Europa prende le distanze, sperando che la Turchia faccia un passo indietro. Forse serve qualcosa di più, perché ormai non è più pensabile che i diritti delle donne vegano difesi soltanto a livello statale. Serve veramente un’opera più sistematica.

 

(Galleria fotografica del presidio di Non Una di Meno in Piazza dell’Indipendenza – tutte le foto di Renato Ferrantini)

 

 

Quali sono gli aspetti più rilevanti della Convenzione?

Il punto più importante è che la Convenzione identifica la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e come una forma di discriminazione. Per questo, rifiutare la Convenzione di Istanbul significa respingere la concezione della violenza di genere come un fenomeno sistemico. Vuol dire anche sottrarsi alla tutela del diritto fondamentale delle donne a non subire alcuna forma di discriminazione.

Il livello di protezione e di garanzie che concede la Convenzione è molto alto, perché non pone solo delle norme a protezione delle donne, ma si concentra anche sulla prevenzione della violenza di genere. Ecco il punto più innovativo: per la prima volta vediamo affrontare questo fenomeno non solo come un reato da punire attraverso delle pene severe, ma al contrario, come la conseguenza di condizioni sociali e culturali che devono essere rimosse affinché questi reati non avvengano più. La prevenzione lavora proprio su questo.

 

A questo proposito, che risvolti concreti ha avuto in Italia l’attuazione della Convenzione?

Ad esempio, l’introduzione del reato di stalking che non era presente nel nostro ordinamento ed è stato inserito solo nel 2012, successivamente alla ratifica della Convenzione. Prima, in assenza del reato di stalking, si procedeva per molestie, per minacce e per violenza privata, reati che dovevano essere integrati e prevedevano delle pene non molto elevate. Inoltre, in questi casi, il sistema di protezione della persona offesa era uguale a quello relativo a qualunque altro tipo di reato.

Al contrario, con l’introduzione dello stalking, che in Italia è definito “atti persecutori”, viene data dignità a tutte quelle donne che vivono una condizione di violenza psicologica. E quindi non c’è più bisogno di integrare tre fattispecie di reato, ma basta che ci sia un comportamento che genera nella donna uno stato di ansia e preoccupazione per poter richiedere che l’autorità prenda provvedimenti.

 

 

Inoltre, sempre a proposito di prevenzione, la Convenzione insiste sulla necessità di una formazione adeguata per le figure professionali che hanno a che fare con le donne vittime di violenza, per le autorità giudiziarie, per le forze di polizia, per gli insegnanti all’interno delle scuole. Ovviamente l’intento è lodevole, ma non viene realizzato adeguatamente da tutti i paesi e anche in Italia c’è ancora moltissimo da fare.

Ricordiamoci che in questo Paese le donne che denunciano una violenza devono ancora affrontare calvari interminabili prima di essere credute, prima di vedersi riconosciuto ciò che spetta loro, sia a livello economico ma non solo, anche nelle separazioni e nei procedimenti penali. L’Italia più volte è stata sanzionata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo perché non si è attivata in tempo per difendere concretamente le donne.

 

Forse anche per questo nel Piano femminista di Non Una Di Meno si fa riferimento alla Convenzione di Istanbul …

Certo, e inoltre, visto che l’Italia ha ratificato la Convenzione, è giuridicamente vincolata all’attuazione delle norme contenute al suo interno. Proprio perché Non Una Di Meno sostiene l’importanza della Convenzione, oggi sarà in piazza in solidarietà alle donne turche. Perché è veramente grave sottrarsi a una cosa del genere, dal momento che pone uno standard minimo di tutele oltre al quale non si può scendere. Noi come Non Una Di Meno, quando ci confrontiamo con le istituzioni, chiediamo semplicemente di attuare delle disposizioni su cui lo Stato stesso ha già deciso di impegnarsi.

 

Tutte le foto per gentile concessione di Kadın Cinayetlerini Durduracağız Platformu

(Sofia Cabasino)