TERRITORI
La conquista dello spazio pubblico vista dal muro
Riflessioni a margine del caso Blu, a partire dal libro di Alessandro Dal Lago e Serena Giordano “Graffiti. Arte e ordine pubblico” .
A una settimana dall’operazione “nel grigio dipinto di Blu”, nata in risposta alla mostra “Banksy&Co” inaugurata pochi giorni fa a Bologna, vale la pena tornare sul clamore sollevato dal gesto dell’urban artist di Senigallia. Al di là del facile schematismo emotivo, ovvero “cancellazione sì o no”, va riconosciuto a Blu il fatto di aver introdotto una novità importante anche agli occhi degli stessi “addetti ai lavori”. Nessun artista di strada, infatti, aveva mai osato prima d’ora tanta radicalità, scegliendo volontariamente di oscurare i propri dipinti. Tale pratica, semmai, è stata storicamente riservata ad altri scrittori di strada (da questi definita in gergo “cross-over”) nel gioco dei Nomi che li riguarda o, per finalità tutt’altro che ludiche, alle autorità competenti, fino al recente coinvolgimento di altri detrattori del fenomeno delle scritte o dell’arte murale. Mi riferisco ai comitati e/o associazioni spontanee di cittadini i quali, in nome del decoro e della tutela di un’appropriata estetica urbana, reclamano, spugnette alla mano, una forma di cittadinanza e di partecipazione attiva alla vita della città. Tra le fila di questi “volontari del bello” troviamo i Re-Takers Roma, artefici nell’ambito dell’iniziativa WakeUp Rome del 12 marzo della ripulitura dell’enorme scritta a Porta Maggiore “Né pubblico né privato, comune”, poi nuovamente cancellata tramite ordinanza prefettizia dopo l’azione di ripristino da parte degli autori originari.
Sia chiaro: le scritte sui muri e/o i graffiti non hanno mai incontrato il favore di larga parte della popolazione, né tantomeno delle autorità. Il trattamento riservato al writing della prima scuola newyorchese la dice lunga a riguardo: al tentativo di arginare la presenza improvvisa e crescente dei Nomi in città si deve, ad esempio, l’istituzione delle prime Vandal Squad urbane (insufficienti ugualmente a contenere, tra il 1971 e il 1975, 5000 arresti e due morti nelle yard, a cui vanno sommati 4milioni di dollari spesi in cleaning management), seguite negli anni ’80 dalla famigerata War on Graffiti, ossia il programma di prevenzione, controllo e buffaggio (ripulitura dei treni) più spietato che il writing abbia mai conosciuto. Agli scrittori urbani di casa nostra non è andata poi meglio: finiti dapprima nel mirino di programmi educativi di prevenzione promossi nelle scuole, dal 2009 sono entrati ufficialmente nella top ten dei nemici numeri uno dell’ordine pubblico, così com’è stabilito dalle disposizioni penali contenute nell’infausto “pacchetto sicurezza”. In una siffatta escalation, la lusinga del mondo delle gallerie nei confronti dei “socialmente inoffensivi” street artist giunge dunque a corollario di un processo di criminalizzazione di lunga durata, tutto a discapito dei soliti “vandali” delle nostre città.
In un libro edito di recente da Il Mulino, “Graffiti. Arte e ordine pubblico” (pp. 182, euro 14,00), Alessandro Dal Lago e Serena Giordano – rispettivamente sociologo e docente di Belle Arti – sottolineano come neanche a livello istituzionale sia possibile ri-conoscere oggi distinzione di bandiera tra i giustizieri del bello di ultima generazione.
Ad accomunare Matteo Salvini e Giuliano Pisapia è, ad esempio, proprio un identico atteggiamento d’intolleranza e di ostilità nei confronti dei graffiti e dei loro autori. Paradossale il “curioso conflitto” avvenuto durante l’iniziativa Bella Milano, quando almeno 1300 volontari, sulla scia della manifestazione Nessuno Tocchi Milano seguita al corteo No Expò del Primo Maggio 2015, hanno cancellato un murales a piazza Santissima Trinità realizzato dai writer Pao e Linda in collaborazione con i residenti della zona. “Questa volta i ‘volontari del bello’ fanno la parte dei vandali, mentre i cittadini danneggiati sono gli abitanti del quartiere” commentano Dal Lago e Giordano prima di snocciolare alcuni degli interrogativi cruciali attorno ai quali ruota oggi la questione della “conquista dello spazio pubblico”. “A chi appartiene la città?” si chiedono, difatti, chiamando in causa “la relazione tra libertà, proprietà e diritto”. Attraverso un excursus a metà tra la storia dell’arte e la sociologia urbana, i due autori restituiscono “legittimità politica” alle forme di arte di strada, illuminando le vere ragioni di ciò che definiscono senza mezzi termini “una piccola guerra civile”. Nonostante la complessità di un terreno scivoloso su cui si affrontano oggi espressività giovanili e conflitti urbani da una parte e proprietari degli edifici e/o amministrazioni locali dall’altra, a chi conviene promuovere la guerra contro i graffiti e le scritte sui muri sotto il vessillo del decoro urbano è presto detto. “I sindaci cercano e guadagnano consenso a buon mercato, appaltando alla buona volontà dei cittadini l’opera di pulizia o facendola finanziare dagli sponsor. Le associazioni ottengono visibilità e fanno proseliti. Partiti di governo e d’opposizione trovano capri espiatori facili facili. I cittadini hanno qualcosa di cui lamentarsi sui blog e nei commenti ai giornali”. Sull’efficacia di nuove retoriche e di vecchi dispositivi normativi saranno solo i muri a pronunciarsi. La lista di Alessandro Dal Lago e Serena Giordano intanto si allunga fino a includere sia i writer “duri e puri (che) continueranno a giocare a rimpiattino con poliziotti, vigili urbani e funzionari dei trasporti”, sia gli street artist “meno puri (che) avranno una chance in più per entrare nel mercato dell’arte, se un Daverio II o uno Sgarbi si accorgeranno di loro”. Fino a quando però, per una volta almeno, è arrivato Blu a sparigliare le carte, sorprendendo tutti con una mano di vernice grigia.