ROMA
La città solidale invita i candidati sindaco a un confronto sui beni comuni urbani
Dopo aver denuciato il rischio che le ultime misure di Tronca vincolino pesantemente la prossima amministrazione comunale, #DecideRoma propone ai candidati sindaco un confronto sulla città, a partire dal tema del patrimonio pubblico. Il 14 maggio.
Questa mattina #DecideRoma – percorso che riunisce decine di associazioni, comitati e spazi sociali sotto sgombero – ha inviato ai candidati sindaco di Roma un invito a prendere parte a una discussione con la città su diversi nodi: patrimonio pubblico, servizi pubblici, lavoro, forme di democrazia urbana. L’incontro è previsto per sabato 14 maggio alle 16, in piazza dell’Immacolata.
La lettera raccoglie il mandato della grandissima assembela generale che il 23 aprile ha iniziato a scrivere la Carta di Roma Comune: una proposta di trasformazione radicale della città, nella direzione della tutela dei beni comuni urbani, intesi come spazi sociali e solidali, servizi pubblici, forme di welfare e luoghi di democrazia diretta.
L’invito era già stato anticipato al candidato del PD, Roberto Giachetti, durante l’inaugurazione del suo comitato elettorale. Giachetti aveva affermato di voler partecipare a questo incontro. Nel pomeriggio, durante una visita nel quartiere del Pigneto, la lettera è stata consegnata alla candidata del Movimento 5 Stelle, Virginia Raggi. Anche lei ha dimostrato interesse e disponibilità a un confronto con la cittadinanza. Gli altri candidati, per ora, hanno ricevuto l’invito soltanto via email.
Dopo le azioni comunicative, le mobilitazioni dislocate nei quartieri di Roma, il grande corteo del 19 marzo, le interlocuzioni con i subcommissari, #DecideRoma ha assunto un forte protagonismo cittadino, riuscendo a imporre il tema dell’uso del patrimonio pubblico al dibattito della campagna elettorale e a coinvolgere sempre più associazioni e realtà di base nel percorso.
Adesso la palla passa ai candidati. Nei prossimi giorni si capirà se accetteranno di confrontarsi con il tessuto associativo e solidale della città o se, al contrario, preferirrano portare avanti una campagna elettorale all’interno dei loro circuiti tradizionali.
Di seguito la lettera
Egregio Candidato sindaco,
Roma – probabilmente te ne sarai accorto – è una città al collasso. Le giunte che si sono alternate negli ultimi anni hanno contribuito, con ostinazione, a svuotare ogni idea e ogni pratica di gestione della cosa pubblica e del bene comune. La grave crisi politica e istituzionale seguita allo scandalo di Mafia Capitale si è presto tradotta in una grave crisi democratica. Il ceto politico responsabile di questa crisi, non ha avuto il coraggio di farsi da parte e, soprattutto, di favorire l’apertura di una discussione pubblica sulle cause, politiche ed economiche, che hanno prodotto quel sistema endemico di corruzione.
Per corruzione politica, intendiamo, prima ancora del richiamo a principi e valori di ordine morale, la sottrazione della decisione dei molti a favore della decisione dei pochi, così come l’esproprio delle ricchezze e delle risorse comuni. Quando la democrazia viene tradita, quando la classe politica perde di vista le necessarie virtù repubblicane, quando si chiude in se stessa, in un circuito di completa autoreferenzialità, ecco che si afferma un nuovo paradigma: la corruzione politica.
Ma c’è di più. La politica – quella con la p minuscola – che è andata in scena in questi ultimi anni non solo è stata artefice di questo disfacimento, ma nel momento più acuto di crisi non ha dato alcun segnale di discontinuità o di cambiamento. Al contrario, si è affidata ad un governo commissariale, che invece di favorire la riapertura di un processo di partecipazione e di rinnovamento in città, ci ha presentato delle ricette autoritarie ma le ha poste come provvedimenti di carattere tecnico e neutrale.
La gestione commissariale della città non si è occupata della normale amministrazione ma ha guardato al futuro, mettendo in campo dei provvedimenti che sono delle precise, quanto radicali, istruzioni per chi verrà dopo le elezioni di giugno 2016. Il dogma del “ripristino della legalità” ha prodotto degli effetti perversi: la destrutturazione capillare del pubblico, il suo indebolimento a vantaggio del mercato, l’imposizione della concorrenza e del modello d’impresa come regola generalizzata su tutto ciò che concerne la res publica. Il governo commissariale sembra voglia scrivere i principi fondativi di un nuovo modello di città.
Il DUP (Documento Unico di Programmazione) radicalizza delle tendenze già in atto: la finanziarizzazione dei commons, la vendita del patrimonio pubblico e la privatizzazione dei servizi pubblici. Per di più, in un contesto di completa assenza di forme di contrattazione sociale e di riconoscimento dei “corpi intermedi”. La direzione è stata segnata e sembra irreversibile: la trappola del debito pubblico cittadino – di un debito non contratto dai cittadini – è stata tesa per impedire che la politica possa presentare un disegno di cambiamento.
Questa involuzione autoritaria dovrebbe suscitare in te – egregio Candidato – grande preoccupazione.
Ma per fortuna c’è dell’altro a Roma, se proviamo a spostare lo sguardo nelle dinamiche reali della città. Se il nostro sguardo parte dal basso, e non dall’alto.
Lo scorso 19 Marzo, con lo slogan “Roma Non Si Vende – Decide Roma, Decide la Città” più di ventimila cittadine e cittadini, provenienti da ogni angolo della città, dalle periferie come dai quartieri gentrificati, dalle scuole, dalle università e dai luoghi di lavoro, sono scesi in piazza, invadendo le strade del centro fino a Piazza del Campidoglio. Non una semplice manifestazione di protesta, ma l’avvio di un percorso di riappropriazione della decisione e di riscrittura delle regole fondamentali. Una manifestazione indipendente da ogni proposta politico-elettorale, che ha formulato un vero e proprio programma per la gestione futura della città. Con la consapevolezza che non c’è delega possibile di questo percorso. Ci siamo ritrovati insieme, in molti, e non ci separeremo più. Vogliamo costituirci in consigli territoriali e assemblee popolari nei quartieri, capaci di controllare dal basso le decisioni.
Ventimila persone che hanno affermato la volontà di riscrivere, dal basso, dei principi fondamentali, racchiusi in una Carta di Roma Comune, ai quali non siamo disposti a rinunciare. Un processo che non vuole scegliere chi governerà Roma, ma che ha scelto che sia la città a condizionare le scelte di chi andrà a governare Roma.
La Carta di Roma Comune introduce principi fondamentali e conformi al nostro dettato costituzionale: il riconoscimento del valore sociale e dell’autonomia degli spazi sociali, delle associazioni virtuose, delle esperienze di lavoro cooperativo che si oppongono allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; l’istituzione di un diritto all’uso comune di ciò che è comune: patrimonio, servizi pubblici essenziali, grande proprietà privata speculativa.
Il nostro programma pretende che anche a Roma, come accaduto in altre città, vengano riconosciuti e tutelati i beni comuni urbani (materiali, immateriali e digitali), in quanto utilità sociali funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali delle persone. Chiede che si affermi un modello di gestione in grado di promuovere la valorizzazione sociale del patrimonio e dei servizi pubblici e non la sua alienazione. Un modello che riconosca l’utilità sociale per le moltissime realtà associative e dell’autogestione e che riaffermi dei limiti oggettivi all’espansione della grande proprietà privata. Un modello che si opponga all’affidamento diretto dei servizi pubblici, vero canale di clientelismo, e che denunci l’uso da parte del ceto politico della proposta del bando pubblico come strumento che nei fatti favorisce la messa sul mercato delle politiche sociali. Un modello che non accetta che il taglio di un servizio pubblico, come nel caso dei canili comunali, porti al lavoro gratuito, senza provvedere a “internalizzare” i lavoratori stessi. Un modello che porta con sé una premessa: non riconoscere i 12 miliardi di euro di debito pubblico come un debito prodotto dai cittadini.
Egregio candidato, quello che sta accadendo a Roma, dal basso, non può essere sottovalutato. Sarebbe un errore imperdonabile. Non una semplice vertenza sociale, o un insieme di vertenze sociali, ma un vero processo di riappropriazione della Politica, quella con la P maiuscola. La Politica del cambiamento radicale.
Roma deve tornare ad essere la capitale della giustizia sociale e della democrazia reale. Le istituzioni non potranno più prescindere da una costante verifica dal basso della loro azione. Il movimento che è nato in questi mesi non si farà dividere, e crescerà sempre di più nei tempi a venire. Anche se i media ci oscurano, per il momento, ci stiamo diffondendo in tutti i quartieri. Ogni giorno facciamo nuovi incontri. Ogni giorno si sprigionano nuove energie. Autogoverno è la parola più ricorrente, nelle nostre assemblee e nei nostri spazi di socialità, di cultura e di welfare autogestito.
La tua più grande responsabilità, egregio Candidato sindaco, è quella di saper ascoltare, recepire, confrontarti, anche aspramente, con la città, nelle sue mille sfaccettature e contraddizioni. Il tuo primo compito, accettare l’invito della città solidale, di quella città che quotidianamente produce socialità, cultura, sapere, formazione, mutualismo e cooperazione. Di quella città solidale che nelle periferie si oppone alla guerra tra poveri.
Per questo, egregio Candidato, ti invitiamo sabato 14 maggio, alle ore 16.00, in Piazza dell’Immacolata, nel quartiere di San Lorenzo, per una grande assemblea pubblica. Sicuri della tua risposta positiva.
Roma Non Si Vende
Decide Roma