ROMA
La casa delle donne Lucha y Siesta: uno spazio di resistenza femminista
Lucha y Siesta, una casa di accoglienza per donne che escono dalla violenza e un centro di aggregazione culturale rischia di chiudere. Un testo con alcuni estratti presenti nel libro “Extracittà” – viaggio nell’autogestione a Roma, che ripercorre la sua storia e la sua esperienza in questi 11 anni.
Il progetto di una casa di donne e per le donne è nato in seguito del femminicidio di Giovanna Reggiani e della successiva oceanica manifestazione nel 2007, come protesta alla mancanza di risposte istituzionali reali nella battaglia al contrasto della violenza maschile sulle donne. Un luogo con una valenza non solo simbolica, ma anche materiale per fornire accoglienza e supporto concreto nei percorsi di autonomia e autodeterminazione delle donne. Così l’8 marzo del 2008, prende vita la casa delle donne Lucha y Siesta. In una giornata “tra la festa, il rito e il silenzio abbiamo scelto la lotta”.
Una vecchia sottostazione del tram della Tuscolana in Via Lucio Sestio n° 10, comprensorio di proprietà dell’azienda per la mobilità urbana ATAC, vuota da molti anni, che doveva diventare, secondo una proposta della società, un asilo nido aziendale. Negli anni, l’ATAC non ha mai dato seguito a questa proposta, realizzando l’asilo in un altro quartiere e inserendo lo stabile nel patrimonio in dismissione.
Un “rudere” tra i tanti, l’ennesimo spazio vuoto a Roma. La palazzina è un edificio costruito negli anni ’20 in un quartiere che all’epoca non esisteva e oggi rappresenta un pezzo della memoria storica del VII Municipio. Lo stabile era conosciuto nel quartiere come Sottostazione elettrica del tranvetto blu della Stefer Cecafumo, in corrispondenza dell’attuale fermata della metropolitana linea A Lucio Sestio. Così chiamata, anticamente, per la presenza nell’intera zona di un accecante fumo prodotto dai fuochi accesi in capanne e botteghe artigiane prive di un impianto di aerazione.
Nel dopoguerra l’INA casa, sui terreni di proprietà del marchese e senatore democristiano Alessandro Gerini e della sorella Isabella (eredi di un ramo dei Torlonia), in località Cecafumo, mise in piedi un intervento massiccio nel territorio romano, su di un’area di 35 ettari per un complesso di circa 3150 alloggi e 17.000 vani, strutturati in 3 interventi. Per prime furono realizzate, nella zona compresa tra Via del Quadraro, Via Tuscolana, Via Pubblicola e Via Lemonia, una serie di costruzioni intensive dai 4 ai 6 piani, disposti in modo da rinchiudere al centro di ogni lotto, uno spazio da adibire ad uso condominiale.
Oggi Via Tuscolana è una delle zone più caotiche della città, luogo di shopping, di negozi sempre aperti, sovente anche la domenica. E proprio in quella zona, l’edificio invece di essere svenduto per diventare l’ennesimo centro commerciale diventa molto altro, “un cuore pulsante di solidarietà e di condivisione”.
«Bisognava in sostanza creare un’area intangibile nella quale sviluppare pratiche condivise con il fine di stare meglio. Con l’intento di aprire verso l’esterno un centro di attenzione che in maniera nuova e spontanea parlasse di noi, l’abbiamo voluta chiamare anche Casa delle Donne».
Entrando a Lucha, un viale alberato si apre su un cortile nel quale si affacciano due costruzioni: il palazzo anni venti e una costruzione tipo capannone che ricorda la struttura di un laboratorio. Una piccola oasi verde nel Tuscolano.
Una casa abitata e gestita da donne, aperta a tutte/i, una casa per rivendicare il diritto all’abitare: non solo delle mura, ma anche reddito; uno sviluppo urbanistico più sensibile alle esigenze delle donne e dei/lle bambini/e; una casa dove costruire un’altra idea di famiglia, basata sulla pratica della relazione; uno spazio di socialità e di confronto.
Negli anni Lucha diventa un luogo sempre più ricco e complesso, un centro antiviolenza femminista e molto altro ancora.
Uno spazio in cui viene fornito aiuto alle donne che vogliono intraprendere percorsi di fuoriuscita dalla violenza, autodeterminarsi e (re)immaginare il proprio percorso di autonomia. Un punto di riferimento per tutte coloro che vivono in una condizione di disagio, di discriminazione o di solitudine nel complicato mondo dell’assistenza.
È presente uno spazio di accoglienza abitativa con 12 stanze, più 2 di emergenza che ospitano donne e minori. Al momento nella struttura vivono 15 donne e 7 bambini/e, ma sono circa 140 le donne che hanno vissuto qua, più 60 bambini/e. Consideriamo che si tratta di 14 posti per donne che escono dalla violenza in una città come Roma che ne ha solo 20!
Da sempre una casa multiculturale che in oltre 10 anni ha sostenuto e orientato 1105 donne italiane e non, e 300 minori. Donne fuggite dalle loro case arrivate non solo per scampare da una situazione di sottomissione e violenza ma anche per cercare di dare una svolta alla propria vita.
Da agosto a dicembre 2015 sono state ospitate in accoglienza abitativa 7 delle 66 giovani ragazze nigeriane cadute nella rete della tratta, approdate a Lampedusa e inserite nel Cie di Ponte Galeria, collaborando in rete con molte altre associazioni per la costruzione di risposte concrete alla complessa vicenda.
Nel dicembre 2016 tra i servizi di Lucha, si aggiunge anche un centro di psicologia clinica “Limen” (in latino significa soglia, confine, ingresso), che nasce dall’associazione di un gruppo di psicologi e psicologhe che si sono incontrati per lavorare nel territorio del Municipio VII. “Limen” – ci racconta Rachele – si occupa di progetti che vanno dal sostegno psicologico ai laboratori terapeutici, dagli sportelli scolastici ai progetti di inclusione sociale.
Dal gennaio 2016, Lucha ha aperto anche una casa di semi-autonomia, che si differenzia dalla pronta accoglienza finalizzata alla soluzione di problemi di emergenza.
La semi-autonomia prevede, infatti, un ulteriore periodo di ospitalità che permette di uscire da quello che è “il tempo dell’emergenza”. L’obiettivo è quello di permettere al più alto numero possibile di donne di creare insieme un percorso di autonomia sociale e lavorativa, con una logica inversa a quella dell’assistenzialismo.
All’interno di Lucha ci sono vari spazi di ascolto aperti: lo sportello “Donne e minori in difficoltà”, uno sportello antiviolenza, di consulenza legale (civile e penale) e una rete per l’orientamento al lavoro e alla formazione, da parte di operatrici professionali e uno sportello “Consultiamoci”, in collaborazione con l’associazione Freedom for Birth Rome Action Group, che offre supporto ostetrico, psicologico e legale, presso il quale ricevere orientamento, accoglienza, sostegno, informazioni e consulenze. Uno spazio per favorire la libertà di scelta, l’autodeterminazione e l’autoconsapevolezza delle donne su sessualità, aborto, contraccezione, gravidanza, parto e menopausa che si configura anche come un luogo di incontro e di riflessione, con iniziative a tema sulla salute della donna e sulla genitorialità. “Consultiamoci” è anche “Poliedro – Spazio per mille famiglie” per adulti e per bambini/e 0-5 anni: uno spazio di socializzazione, condivisione e confronto per favorire il rispetto delle diverse tipologie di famiglia.
Lucha si è configurata nel tempo come un esperimento atipico, in quanto laboratorio di progettazione sociale e di partecipazione a partire dai propri desideri e dalle proprie capacità, in cui molti progetti del quartiere vivono all’interno della casa che viene attraversata da moltissime associazioni, realtà territoriali, e da tutta la città.
A Lucha possiamo trovare una Biblioteca (BibLYS), un laboratorio di sartoria artigianale e riciclo creativo all’interno che rappresenta una fonte di autoreddito per alcune donne. Tra i corsi e laboratori che si sono susseguiti negli anni: massaggi di riflessologia globale; corsi di lingua inglese; laboratorio di ceramica; yoga; bioenergetica; pilates matwork; corso di teatro; fotografia; tango queer; pittura e disegno; tai chi; passo a due, danza, movimento terapia; valutazione e trattamento omeopatico; cori di canti popolari dal mondo.
Tra le varie attività: il cineforum tutti i martedì e il mercatino artigianale, con artigianato creativo, artigianato di riuso e riciclo, produttori a km 0, manufatti, prodotti culinari e molto altro.
Da settembre 2017 ha preso il via la prima edizione del Festival Aria – Festival dei giochi all’aperto – per riappropriarsi dello spazio e del gioco: libero spazio, ovvero libera circolazione di idee, bisogni, desideri, sviluppo della personalità e libera espressione di sé per bambini/e di tutte le età.
Altro progetto è “Al di là degli stereotipi a fumetti”, alla seconda edizione, che nasce per contrastare la violenza di genere partendo dall’analisi e dalla decostruzione degli stereotipi presenti nella società, nella narrativa e nella comunicazione. Si è scelto di utilizzare il linguaggio del fumetto perché in grado, nel mettere in relazione immagine e testo, di rispecchiare l’immaginario e raccontare il presente, con uno sguardo situato e in un’ottica femminista.
Un progetto culturale e formativo articolato in workshop tra lo spazio di Lucha ed altri luoghi del quartiere, tra cui il liceo artistico Giulio Carlo Argan in Piazza dei Decemviri, in mezzo alle/gli adolescenti. Nell’ultima edizione ha visto la partecipazione tra i docenti di: (Z)ZeroCalcare, Carola Susani e Rita Petruccioli.
Tante le attività che innervano Lucha, dalle presentazioni di libri, ai reading, e poi seminari e dibattiti, corsi di autodifesa, laboratori sulla sessualità, laboratori di arteterapia, spettacoli teatrali, performance musicali.
Ma la casa delle donne Lucha y Siesta, attiva da più di 10 anni nel contrasto alla violenza sulle donne, adesso è in pericolo, perché il proprietario ATAC Spa, in crisi finanziaria, vuole procedere alla vendita dello stabile per sanare anni di scandali e mala gestione economica.
Uno spazio che ha messo in campo una valorizzazione che è fatta di relazioni, di sperimentazioni, cultura, inclusione, non è monetizzabile in nessun modo!
Da metà dicembre 2017, la notizia circa il rientro del piano economico finanziario di Atac per evitare il fallimento dell’azienda che deve fronteggiare un debito di oltre un miliardo di euro. Consideriamo che i 18 immobili Atac hanno un valore complessivo di circa 95 milioni su un debito Atac di 1,4 miliardi circa e lo stabile di Lucha vale circa un milione.
Ma le donne di LyS hanno da subito messo in chiaro la volontà di non andarsene in nessun modo: «Che nascano case delle donne in ogni quartiere, in ogni città, in tutto il mondo!».
Sono state convocate assemblee cittadine e richiesta immediatamente una interlocuzione con le consigliere competenti. Interlocuzione che ha avuto una serie di vicissitudini, con un primo incontro preliminare ed in seguito con un incontro con l’assessorato alle politiche sociali, l’assessorato alla mobilità, l’assessorato al patrimonio e la Regione Lazio. Tavolo che è andato praticamente deserto, perché le assessore non si sono presentate.
Mentre viene dichiarata una volontà politica di tutelare gli spazi femministi, in realtà, questi continuano di fatto ad essere in pericolo.
Il 18 luglio 2019 due delle tre liquidatrici del patrimonio ATAC effettuano un sopralluogo presso Lucha per “stimare il bene”, comunicando alle donne presenti che entro il 24 agosto il bene sarà stimato e venduto entro un anno.
Comune, Atac e Tribunale hanno decretato che la Casa delle donne Lucha y Siesta va chiusa tra pochi giorni. La brutale decisione è stata comunicata il 28 agosto con una lettera intimidatoria che annuncia l’interruzione delle utenze per il 15 settembre e l’immediato sgombero dello stabile. È così che Comune, Atac e Tribunale vogliono decretare la fine di una delle esperienze femministe socio-culturali più preziose in città, nonché decretare la soppressione del Centro e della Casa rifugio per donne che vogliono uscire dalla violenza più grande di Roma e della Regione Lazio.
La risposta del Comune anche a fronte dei continui episodi di violenza strutturale nella società, è la chiusura dei centri antiviolenza e degli sportelli, spesso unico sostegno psicologico e materiale per le donne che decidono di denunciare e intraprendere un percorso di uscita dalla violenza. I centri anti-violenza (cav) sono luoghi definanziati e spesso lasciati al volontarismo delle operatrici, quando sarebbe, invece, necessario un cav, una casa delle donne, almeno per ogni municipio, insieme a programmi di sensibilizzazione, prevenzione ed educazione alle differenze nelle scuole, anche dalla prima infanzia. I cav, spesso descritti nella narrazione mainstream come luoghi di dolore, sofferenza e vittimità, in cui spesso si presta più attenzione alle biografie delle donne che li attraversano, ma andrebbe ribadito sempre di più il loro essere luoghi di liberazione e autodeterminazione.
Anche l’esperienza della stessa Lucha y Siesta viene raccontata a volte con sguardi romantici e paternalistici, restituendo un’immagine di storie tristi e di donne dimesse.
Lo sguardo e la narrazione stessa sono importanti perché la realtà intera assume forme molteplici secondo il punto di vista da cui la osserviamo. La donna che vive in un Centro Antiviolenza è vittima? O piuttosto ha scelto di reagire alla violenza!
In 11 anni un edificio abbandonato è diventato un progetto sociale politico femminista e un percorso di recupero dello stabile che ne ha fermato il declino, per renderlo vivibile con la cura, la manutenzione quotidiana e il lavoro volontario. Al sistema che privatizza gli utili e rende collettive le perdite qui le donne hanno risposto con una reale valorizzazione, fatta di corpi in relazione, di sperimentazioni, di inclusione attiva e di cultura accessibile.
Un progetto politico che promuove nuove formule di welfare e favorisce la consapevolezza in tema di diritti e autodeterminazione a partire dal protagonismo femminile, non può essere venduto!
Foto di Sara Cervelli, dal blog di Lucha y Siesta