ROMA
Irruzione della polizia a Lucha Y Siesta. «Azione ingiustificabile»
Agenti del commissariato di polizia X Tuscolano sono entrati senza alcun preavviso nei locali della Casa delle Donne situata in via Lucio Sestio a Roma. «Non ci sono motivazioni che giustifichino questo modo di agire», dicono le attiviste del centro
Una pattuglia di agenti del commissariato di polizia X Tuscolano è entrata senza preavviso nei locali di Lucha Y Siesta, la Casa delle Donne situata in via Lucio Sestio a Roma, che opera da centro anti-violenza autogestito. I fatti risalgono a lunedì mattina: a darne comunicazione sono state le stesse attiviste di Lucha, con un comunicato che ha subito riscosso grande clamore. Già a poco tempo dall’accaduto sono infatti intervenute al riguardo esponenti politiche della giunta regionale e dell’amministrazione del VIII Municipio.
La consigliera regionale Marta Bonafoni ha definito, con una dichiarazione sul proprio profilo Facebook, «sconcertante, allucinante, incomprensibile» l’irruzione dei poliziotti nella Casa delle Donne, mentre l’assessora alle Politiche di Genere, Bilancio e Dialogo tra le generazioni del Municipio Roma VIII, Michela Cicculli, ha affermato ai microfoni dell’agenzia Dire che «permettere fatti come questi cancella tutte le belle parole dette il 25 novembre». Ne abbiamo parlato con Cristiana Cortesi, attivista di Lucha Y Siesta, per farci raccontare nel dettaglio cosa è avvenuto lunedì mattina e come questo fatto s’inserisca nel più ampio conflitto che vede la Casa delle Donne contrapposta all’amministrazione capitolina.
Cos’è successo lunedì?
Alla sette del mattino, approfittando del figlio di una donna ospite che stava andando a scuola e quindi ha aperto il cancello, un nutrito gruppo di agenti del X Tuscolano è entrato nella casa, impedendo al giovane di chiudere la porta dietro di sé e pretendendo di identificare le donne che vivono nel centro. Hanno costretto le persone che hanno incontrato a chiamare le altre e a indicare chi risiedesse lì per procedere all’identificazione delle donne e dei loro figli minori.
Come è stata motivata l’intrusione?
Gli agenti hanno sostenuto che questa identificazione “è stata richiesta dal magistrato”. Ma non si capisce esattamente che procedimento penale sia in corso, qual è il senso e cosa si vuole ottenere. Inoltre soltanto pochi giorni fa, proprio alla fine del 2020, la regione Lazio ha dichiarato pubblicamente di aver stanziato dei fondi per procedere all’acquisto dell’immobile: perché è vero che si tratta di un spazio occupato quasi tredici anni fa, ma è uno spazio pubblico dove tutto è molto trasparente. Il cancello è sempre aperto, si sa chi ci sta dietro e, da sempre, lavoriamo alla luce del sole. Un tale atteggiamento non ha proprio ragione di esistere: non ci sono motivazioni che giustifichino questo modo di agire del commissariato, delle forze di polizia e del magistrato.
Una curiosa modalità di azione…
Questo non può essere il modo corretto di procedere: ci sono delle norme che spiegano come bisogna muoversi, tutelando l’incolumità delle persone e la salvaguardia dei percorsi. Invece si sono posti praticamente in agguato, in attesa che qualcuno aprisse il cancello: sono entrati fin dentro le stanze dove le donne vivono per procedere a questa identificazione. Tutto questo conferma il fatto che, mentre continuiamo a parlare di percorsi di formazione per le forze dell’ordine su come affrontare la questione della violenza, le stesse forze dell’ordine si dimostrano assolutamente impreparate.
Le pratiche legali di chi vive a Lucha Y Siesta non dovrebbero già essere in mano alla magistratura, visto che sono state presentate denunce di maltrattamento e violenza?
Le donne che vivono nella Casa sono seguite dai servizi sociali e hanno procedimenti penali aperti contro il maltrattante: stiamo parlando di una situazione estremamente delicata. Una politica che vuole rendersi parte attiva nel contrasto alla violenza non può trattare così delle persone che stanno affrontando un momento simile. Parliamo infatti di donne che hanno trovato il coraggio di andare in tribunale per denunciare i maltrattanti e rischiano ora di ritrovarsi loro stesse denunciate. È un processo assolutamente assurdo, ri-vittimizzante e che va in una direzione totalmente opposta rispetto alla ricerca di tutela per chi sta compiendo questo percorso.
Voi avete subito denunciato l’accaduto tramite un comunicato. Avete anche provato a parlare con le autorità locali?
Noi abbiamo denunciato il più possibile quanto accaduto: abbiamo chiesto a tutte le istituzioni di intervenire, ma dal Comune non è uscita parola. Soltanto la Regione è uscita con alcuni comunicati in cui diceva sostanzialmente di non capire cosa stesse succedendo.
Da sempre la Regione pare interessarsi maggiormente alla situazione della Casa e a riconoscere il suo contributo alla società, mentre l’amministrazione romana continua a dimostrarsi ostile…
L’immobile dove si trova Lucha Y Siesta è di proprietà dell’Atac. L’azienda pubblica del trasporto romano, nel piano di risanamento dei conti che prende il nome di Concordato preventivo (una sorta di procedura fallimentare poiché Atac è sull’orlo del fallimento), ha deciso di dismettere molte sue proprietà, tra cui questa. L’edificio è tutt’ora all’asta.
Noi abbiamo tentato di spiegare al comune di Roma che il buco milionario di Atac non si tappa con quanto si può ricavare dalla vendita di questo spazio e che quindi andava stralciato dall’elenco degli immobili in dismissione. L’amministrazione però non ha voluto sentire ragioni e l’anno scorso ha proceduto a svuotarlo in attesa di questa asta, addirittura avviando la “ricollocazione” (un termine molto brutto che usano loro) delle donne che qui vivevano.
Poi è arrivata la pandemia e la situazione, rispetto al tema della violenza, è divenuta drammatica: così per far fronte alla cronica carenza di luoghi di accoglienza la porta di Lucha si è ripaerta. Oggi il centro ospita altre donne che hanno avuto urgenza di fuggire da situazioni personali problematiche. Nel frattempo la regione ha invece manifestato la volontà invece di partecipare all’asta proprio per salvaguardare questa esperienza, il suo vissuto e quel sedimentato di pratiche contro la violenza che qui si è sviluppato: una intenzione ribadita anche recentemente, a dicembre, con uno stanziamento apposito.
Come proseguirete da qui in avanti?
Lucha Y Siesta è uno spazio di contrasto alla violenza aperto e in continua evoluzione. Si tratta cioè di un progetto che ha tante facce e tante forme e che prevede sia l’accoglienza delle donne sia iniziative di carattere culturale, attività di formazione ed empowerment, la possibilità di offrire sostegno legale e psicologico.
Non saranno certo atti intimidatori come questo a fermare la sua attività. Anzi, chiediamo alle istituzione e alla magistratura di fermare ogni azione giudiziaria e di trovare modi per riconoscere e valorizzare quelle esperienze che riescono ad agire dal basso e a creare dei “mondi possibili”.