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MONDO

Intag, Ecuador: la biodiversità minacciata dall’estrattivismo minerario

Pubblichiamo il secondo articolo di una serie di reportage sulla resistenza all’estrattivismo nella regione ecuadoriana Intag. In complicità con lo Stato, la violenza del capitale estrattivista si scatena contro le risorse, la natura, la popolazione locale

La zona di Intag comprende un settore tra la provincia di Imbabura e Esmeraldas, nella regione nord-occidentale dell’Ecuador. Si tratta di una vasta valle situata tra i 4000 e i 700 metri sul livello del mare. Presenta una grande diversità che va dal freddo del páramo [ecosistema montano tipico della Cordigliera andina, ndr] a un microclima tropicale della zona bassa.

Quello che colpisce quando si arriva è la biodiversità che si trova: la strada scende verso il paesino di Apuela e attraversa l’intera valle dall’alto verso il basso. E intorno c’è solo il verde degli alberi e i colori brillanti dei fiori. Tra il páramo e la zona subtropicale, le comunità sono collegate tra loro e al resto del paese da una strada stretta e piena di buche, che ogni volta che la percorro sembra sempre più dissestata.

Le infrastrutture sembrano essere dimenticate, danno la sensazione che nessuno al di fuori di chi vive qui ne sia interessato. Ma questa è una delle zone più biodiverse al mondo e difenderla dovrebbe essere un impegno globale, se non fosse per l’enorme presenza di materiali di estrazione che attirano gli interessi economici di tutto il mondo.

È proprio a causa della presenza di rame e oro che la zona è diventata interessante per le imprese straniere. E con il loro arrivo comincia la resistenza verso la distruzione di un territorio e l’erosione del suo tessuto sociale, diviso tra coloro che sono a favore dell’estrazione mineraria e coloro che si oppongono.

La storia dell’estrazione mineraria in questa zona inizia alla fine degli anni ’90, quando lo Stato ecuadoriano elabora il Proyecto de Desarrollo Minero y Control Ambiental, finanziato della Banca Mondiale, con l’obiettivo di sviluppare la mineria su larga scala nel paese e attrarre investimenti stranieri. Nel 1991, con l’arrivo della Bishimetals, una sussidiaria della Mitsubishi, iniziano le esplorazioni dell’impatto ambientale della miniera nelle concessioni di Junín-Cuellaje nella cordigliera di Toisan, che delimita la zona nord di Intag.

Dal primo rapporto sull’esplorazione, emergono diversi problemi, non solo a livello ambientale, ma anche sociale, come il ricollocamento delle famiglie che hanno dimora nell’area dichiarata mineraria. In più, la deforestazione massiccia, l’inquinamento dei fiumi: l’attacco a un territorio da più fronti.

Per questo, DECOIN (Defensa y Conservación Ecológica de Intag), una delle organizzazioni più attive sul territorio, condusse un’indagine partecipativa per denunciare le conseguenze dell’estrattivismo. Ma non ci furono reazioni a livello politico. Fu allora che centinaia di abitanti organizzarono una protesta di massa che portò a incendiare l’accampamento dell’azienda nel 1997. Questo sì che provocò una reazione: il processo a tre leader comunitari che guidarono la protesta, accusati di terrorismo, sabotaggio e assalto alla proprietà privata. Ma, ogni tanto, la pressione sociale porta ai risultati sperati: la Bishimetals lasciò il territorio, restituendo i giacimenti allo Stato.

«Prima di questo eravamo felici, anche se non sapevamo quali fossero i nostri diritti né i danni dell’estrazione mineraria», dice Javier Ramirez, ex-presidente della comunità di Junín, arrestato e imprigionato per 10 mesi nel 2014. Ci racconta che il suo arresto provocò paura nella comunità. Dal suo arresto, venne posto un procuratore in ogni comunità per fermare qualsiasi azione di rivendicazione dei diritti sia della natura che della gente.

Le concessioni passarono alla società canadese Ascendant Copper Corporation. Ancora una volta, le comunità si organizzarono, con una campagna informativa internazionale sulle irregolarità e gli impatti del progetto. L’azienda vendette le sue azioni a una società sussidiaria che sviluppò varie strategie geopolitiche per rompere la resistenza comunitaria di Intag. Inoltre, si cercò di convincere la popolazione attraverso donazioni e promesse alla comunità: la costruzione di 30 chilometri di strade, nuovi ponti, una clinica, nuove scuole, case, formazione agricola.

Ma, dietro la facciata, c’era un progetto devastatore per il territorio: nulla è regalato. Necessariamente, la costruzione di nuove infrastrutture comporta la distruzione di ciò che già c’è, natura e persone incluse. Come dice Javier, «la miniera ha sempre portato pericoli e rischi: quando è stata costruita la strada, questo era un bosco ed era di proprietà di mio zio. Vedendo che passava la strada, mio padre venne a resistere con mio zio e gli spararono. Avevo 15 anni quando ho perso mio padre per questo progetto minerario. Ecco perché continuiamo con la lotta e la resistenza».

In questo periodo, le minacce di morte erano costanti, la comunità vulnerabile, subiva abusi da parte della polizia, che continuava a difendere le multinazionali. La strada era disseminata di posti di blocco: la gente di fuori non poteva entrare, né i membri delle comunità muoversi tra comuni. «C’era un sacco di polizia a difesa dell’azienda, ma gli attivisti non se ne andavano: la polizia sparava e loro rispondevano. Si affrontavano a colpi di pistola, nascosti nel bosco», come racconta Javier.

Nel 2005, ci fu un nuovo incendio del campo dell’azienda, nella comunità di Chalguayacu Bajo. L’azienda accusò di furto e rapina aggravata uno dei membri di DECOIN e alcune contadine. La Corte Superiore archiviò il caso. L’anno dopo, vennero arrestati due membri della comunità, detenuti per otto giorni senza motivo né procedura legale. Lo stesso anno, dipendenti dell’azienda scatenarono un violento scontro a Chalguayacu Alto con diversi feriti. L’azienda presentò una denuncia legale e avviò cause contro venti leader comunitari.

Pochi mesi dopo, diciannove poliziotti armati entrarono nella casa di Carlos Zorrilla, uno dei fondatori di DECOIN, per minacciare lui e la sua famiglia: piazzarono armi e droghe nella sua casa. Trascorse circa un mese in prigione senza alcun indizio di responsabilità; ancora non ha ricevuto alcuna forma di indennizzo per i danni subiti.

Ancora una volta, lo Stato sospese le attività minerarie a Intag a causa della pressione sociale.

Nel 2008, fu approvata la nuova Costituzione e firmato il nuovo accordo di cooperazione in materia mineraria tra l’Ecuador e la CODELCO (Corporación Nacional del Cobre de Chile). La nuova Costituzione introduce un tema fondamentale nella difesa della natura, incoraggiando le persone e lo Stato a dare l’importanza necessaria alla preservazione della natura. Inoltre, per la prima volta nella storia costituzionale, si riconosce la Madre Terra come un attore giuridico, con i propri diritti.

L’articolo 71 dichiara: «La natura o Pacha Mama, dove si riproduce e si realizza la vita, ha diritto a che si rispetti integralmente la sua esistenza e il mantenimento e rigenerazione dei suoi cicli vitali, struttura, funzioni e processi evolutivi. Ogni persona, comunità, popolo o nazionalità potrà esigere dall’autorità pubblica il rispetto dei diritti della natura. Per applicare e interpretare questi diritti si osserveranno i principi stabiliti nella Costituzione, in quanto applicabile. Lo Stato incentiverà le persone fisiche e giuridiche, e i collettivi, a proteggere la natura e promuoverà il rispetto di tutti gli elementi che compongono un ecosistema».

Se è vero che la Costituzione segue questa strada, le leggi vanno per tutt’altro cammino. Con la Legge Mineraria del 2009, venne creata l’azienda ENAMI (Impresa Nazionale Mineraria), per socializzare i vantaggi dell’estrazione mineraria. Inoltre, lo Stato ecuadoriano ha sottoscritto l’Accordo per l’Esplorazione Mineraria nella zona Amazzonica Centro Meridionale, per attuare l’accordo con la CODELCO.

Solo nel settembre 2014 venne pubblicato lo studio sulle conseguenze della presenza mineraria, rivisto da idrologi, biologi e avvocati per segnalare omissioni e errori. Nonostante le nuove informazioni raccolte, lo Stato ha approvato il primo studio. Gli eventi hanno creato una situazione di diffidenza collettiva, alterando il senso di sicurezza sulle conseguenze che possono derivare dalla difesa dei propri diritti.

L’arresto e l’assenza di un processo equo riflettono come, nei conflitti ambientali, improvvisamente la violenza si manifesti in forme e scenari diversi, come indagini prive di rigore giuridico o tecnico o prove. In effetti, oggi la maggior parte dei detenuti per terrorismo in Ecuador sono “terroristi ambientali”, cioè difensori della natura. Tutto ciò non sembra fermare la gente delle comunità nella resistenza, perché, come recita il motto: «L’oro non si mangia. La vita non si vende. L’acqua si difende». E così si continua, difendendo la natura e applicando la Costituzione.

L’ultima manifestazione congiunta delle comunità di Intag risale al 2022: «Quando la gente si unisce per far sentire la propria voce, è più facile che i governi li ascoltino», come racconta uno degli attivisti della parrocchia di Cuellaje.

«Perché ciò che funziona meglio è la resistenza, cioè un’azione decisa: gli atti violenti compiuti a Intag sono serviti a intimidire le aziende minerarie che entravano nel territorio».

Ora, si sta cercando di proseguire per la via legale, anche se è un percorso più lungo e complesso: le aziende hanno l’autorizzazione dello Stato a continuare il loro lavoro e sono protette dalle forze dell’ordine. «I poliziotti hanno l’idea che gli attivisti siamo cattive persone, terroristi, sciocchi e contrari allo sviluppo locale. Gli scontri più frequenti sono tra chi sostiene che la mineria sia fonte di sviluppo, sia economico che sociale, e chi resiste per difendere la natura e il diritto al buen vivir».

Questa visione distorta porta a cambiamenti profondi nella società, con un forte conflitto generazionale. In Intag, la gente ha sempre vissuto grazie all’agricoltura e all’allevamento, ma l’agricoltura non è un mezzo di vita che consente di crescere, ma un mezzo per sopravvivere e, con l’aumento della popolazione, diminuisce ancora di più la possibilità di guadagnare abbastanza per sostenere la famiglia. La mancanza di opportunità per i giovani e la disoccupazione porta ad accettare più facilmente il lavoro nelle miniere e a considerare questa possibilità come l’unica alternativa possibile.

Gli stessi problemi si verificano in molti territori dichiarati ricchi di risorse. Con modalità diverse, ma con gli stessi risultati di distruzione. Perché i minerali sono attraenti non solo per gli Stati e le aziende, ma anche per le persone che vedono in queste risorse una possibilità di sviluppo economico personale. E così cresce l’estrazione mineraria illegale, i progetti di estrattivismo privato e una divisione ancora maggiore nel tessuto sociale delle zone interessate. L’estrazione mineraria illegale arriva prima di quella legale, perché mira all’estrazione dell’oro, che si trova più in superficie rispetto al rame, che invece interessa delle aziende minerarie.

Ciò accade a La Merced de Buenos Aires, una parrocchia appartenente al comune di Urcuquì, nel nord-est della provincia di Imbabura, un po’ più a nord di Intag. Dal 2019, qui c’è mineria illegale. Le notizie ufficiali si concentrano sull’illegalità dell’azione, focalizzandosi quasi esclusivamente sui problemi a livello politico ed economico e dimenticando di affrontare il problema da un punto di vista ambientale: che sia legale o meno, i danni all’ambiente sono permanenti.

In effetti, chi vive sulla propria pelle gli effetti dello sfruttamento ha un’altra percezione:

«Non esiste estrazione mineraria legale o illegale, entrambe sono illegali e portano entrambe alla distruzione. La principale ragione della resistenza è che non vogliamo che distruggano la nostra terra, che contaminino l’aria né l’acqua. Ci interessa che ci lascino vivere in pace, come abbiamo sempre vissuto».

«Noi non attacchiamo mai per primi, ma quando la polizia ci attacca, allora reagiamo. Non permetteremo che ci attacchino, stiamo cercando modi diversi di risolvere questi conflitti. Ora siamo in una lotta pacifica, con documenti. Per questo motivo l’azienda Hanrine è sospesa». Così raccontano e aggiungono: «Ormai abbiamo perso quasi tutta la fiducia nello Stato, perché l’unica cosa che gli interessa è il denaro. Ma abbiamo fiducia nelle autorità locali».

Questo perché, dal maggio 2023, c’è un Presidente del GAD (Governo Autonomo Decentralizzato) parrocchiale che li sostiene nella resistenza. Questo è un segnale importante per la popolazione: nella parrocchia, la maggior parte degli abitanti è contraria all’estrazione mineraria, sia legale che illegale.

Perché la lotta non è per un’idea astratta di principio, ma per la difesa di qualcosa di molto concreto: la Pacha Mama (Madre Terra) e la sua acqua, fonte di vita. Perché «quelli che sono dall’altra parte quasi non capiscono i rischi, sono interessati solo al denaro. Non vedono la natura e ciò continua a preoccuparci. Per questo continueremo a lottare, perché la lotta è per sempre».

Foto di copertina di Claudia Chendi