ROMA
Indifferenza ed elemosina: i migranti del Selam Palace ancora senza diritti
Abbandonata dalle istituzioni pubbliche per 14 anni la Casa della Pace con i suoi 600 ospiti diventa un problema di ordine pubblico da risolvere con Polizia ed Esercito, dimenticando che lì vivono uomini, donne e bambini che hanno bisogno di tutto.
Un ex magazzino delle Ferrovie dello Stato alle spalle della stazione Tiburtina era diventata la casa autogestita di centinaia di richiedenti asilo in attesa di permesso. Ma era anche il rifugio per tanti stranieri senza casa che a Roma vivevano da irregolari, per questo il numero degli ospiti variava continuamente. Era conosciuto da tutti come Hotel Africa. All’interno lo spazio era stato diviso con pareti di cartone per ricavarne alcune stanze, in precarie condizioni igieniche. In quegli anni, siamo nel 2004, si progettava la nuova stazione per l’alta velocità e quell’area doveva essere “bonificata”. Lo sgombero fu deciso e attuato rapidamente nel mese di agosto, senza alcuna resistenza da parte degli occupanti, rassicurati dai responsabili dell’amministrazione comunale che garantivano di aver trovato per loro nuove sistemazioni. I 150 etiopi ed eritrei sarebbero andati in un centro di accoglienza poco distante, i 120 sudanesi in un altro centro sulla Nomentana, mentre le 50 coppie con figli avrebbero avuto un alloggio. Un censimento fatto precedentemente aveva indicato questo numero di occupanti da ricollocare, per gli altri nulla. Il vice-capo di gabinetto dell’allora sindaco Veltroni, Luca Odevaine, dichiarava che il Campidoglio avrebbe affrontato un costo di un milione e seicentomila euro, il primo anno, per garantire a tutti una sistemazione.
La nuova casa per gli ospiti dell’Hotel Africa era uno dei centri gestiti dal Consorzio Eriches 29, cooperativa della galassia di Salvatore Buzzi che raccontava al telefono a una collaboratrice: «Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno». La sistemazione consisteva in stanze con 10/16 letti che dovevano essere lasciate entro le nove del mattino, per rientrare dopo le sei del pomeriggio e usufruire del pasto fornito da una ditta esterna. Per le circa 400 persone non censite e buttate fuori iniziava la ricerca di un’altra soluzione. Dirette verso la periferia romana avevano occupato strutture abbandonate, tra queste, anche l’edificio di nove piani di via Arrigo Cavaglieri, vicino al centro commerciale La Romanina, ribattezzato Selam Palace ovvero Palazzo della pace.
Dal 2006 è abitato da migranti titolari di protezione internazionale più molti transitanti che passano da Roma e per passaparola arrivano lì. Un immobile che, in alcuni periodi, è arrivato a ospitare fino a 1200 persone. In quell’edificio di proprietà Enasarco, sede per un periodo della Facoltà di lettere e filosofia dell’università di Tor Vergata, entrarono all’inizio 250 persone che furono immediatamente sgomberate e portate in un tendone adibito a centro di accoglienza di fortuna. Le proteste dei rifugiati costrinsero l’amministrazione a concedere gli ultimi due piani del palazzo di via Cavaglieri, mentre il resto della struttura fu murata e resa inaccessibile. Per un periodo si tentò attraverso un percorso partecipato fra residenti e amministrazione di ristrutturare il palazzo per realizzare alloggi abitabili, ma non se ne fece nulla. Non andò in porto neanche la proposta del Ministro del Welfare Paolo Ferrero di trasferire gli inquilini in centri di accoglienza.
Dal 2007 l’occupazione è diventata illegale, l’amministrazione non paga più le utenze e non si occupa di qualunque questione legata al palazzo, abbandonandolo a un degrado strutturale assoluto. Solo la Onlus Cittadini del Mondo ha continuato a occuparsi di loro, con lo sportello sociale e sanitario all’interno del palazzo attivo da anni.
Le condizioni in cui vivono gli occupanti sono diventate sempre più drammatiche. Privati del diritto ad avere la residenza e l’allaccio ai servizi pubblici dal famigerato art. 5 del decreto Renzi-Lupi, vivono senza godere del diritto alla salute non potendo chiedere l’assegnazione a un medico di famiglia, né possono mandare i figli a scuola, né chiedere la cittadinanza italiana anche se ne avessero diritto. Invisibili, abbandonati a una condizione insostenibile, con servizi igienici insufficienti, fognature inadeguate, senza riscaldamento e acqua calda. L’assenza di interventi pubblici è totale. E nulla è stato fatto da anni per garantire agli occupanti l’inserimento sociale, la ricerca di occupazione, l’accesso ai servizi e ai diritti di cittadinanza.
Lunedì 6 aprile Selam Palace si è svegliato assediato da forze di Polizia e dell’Esercito, che ne hanno imposto il completo isolamento, vietando a tutti gli abitanti di uscire per qualsiasi motivo. Erano stati rilevati due casi positivi a Covid-19, al quale se ne sono aggiunti altri 16. Gli attuali 600 abitanti sono in attesa di controlli sanitari per conoscere il loro stato di salute e avere la sicurezza di non rappresentare un rischio per gli altri.
Da quando è iniziata l’epidemia solo l’associazione Cittadini del Mondo ha continuato a occuparsi di loro fornendo informazioni, mascherine, guanti e gel disinfettante, mentre continuava a segnalare alla Asl le pessime condizioni igieniche e sanitarie della struttura che rappresentavano un rischio per la diffusione del contagio.
Le persone isolate hanno bisogno di cibo, ma sembra che non sia stata predisposta alcuna organizzazione per fornirglielo. In questi primi giorni sono stati portati alcuni pacchi dal Campidoglio contenenti un po’ di tutto, ma nulla per i neonati presenti all’interno. La protezione civile ne ha distribuiti altri all’ingresso dell’edificio, dove tutti sono stati costretti ad ammassarsi per dividerlo. Anche l’elemosiniere del Papa è arrivato con un pulmino a distribuire alimenti. Il Campidoglio promette un aiuto dalla sala operativa sociale e si è impegnato a coinvolgere un mediatore culturale.
Sembra che, anche in questa situazione drammatica, per loro non ci siano diritti. Hanno vissuto per anni in condizioni disperate di fronte all’indifferenza delle istituzioni pubbliche e ora si ritrovano a dipendere per la loro sussistenza da qualche pacco attorno al quale si devono accalcare per litigarsi il cibo.
Il Movimento per il diritto all’abitare e il sindacato Si Cobas in un comunicato chiedono che «i soggetti preposti, primo tra tutti il Comune di Roma, diano degna assistenza alle persone in isolamento sanitario a Via Cavaglieri».