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Impariamo a trasgredire

La teoria e la pedagogia critica di bell hooks, solo da pochi anni tradotta in Italia, può aiutare le insegnanti non solo a sopravvivere al mondo della scuola neolibarale e autoritario, ma può trasformarsi in parole guida per costruire comunità nei contesti in cui si insegna l’individualismo, a trasgredire dove regna il conformismo, e amare il pensiero critico dove si valutano competenze, abilità e conoscenze

La teoria mi ha salvato. Sono giunta alla teoria attraverso la sofferenza: il dolore dentro di me era così intenso che non potevo più sopportarlo. Sono arrivata alla teoria disperata, bisognosa di comprendere cosa stesse accadendo intorno a me e nel mio intimo. Più di ogni altra cosa, desideravo che il dolore sparisse. La teoria ha rappresentato per me un luogo di guarigione. [Citazione tratta da Insegnare a trasgredire.]

Un’Italia senza Gloria

Oggi, venerdì 15 dicembre 2023, piangiamo l’anniversario della morte di bell hooks, docente, scrittrice e filosofa afroamericana la cui voce e posizione mancano moltissimo nel dibattito — di per sé quasi assente — sulla questione decoloniale in Italia.

La propaganda razzista, spesso priva di un contraddittorio all’altezza, basata su falsità e xenofobia spicciola sui media e divenuta sempre più martellante in seguito al Decreto Sicurezza di Minniti del febbraio 2017 che conteneva «disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale»; esasperata poi durante il cosiddetto governo gialloverde, formato da Lega e Movimento Cinque Stelle; e ora al suo culmine parossistico con l’estrema destra al Governo Meloni, è parte integrante del clima di violenza e intolleranza che si respira nelle strade, nei bar, nei mezzi pubblici e persino in molte (troppe) ­scuole italiane. Quella propaganda, vile e subdola, è meccanismo strutturale e sistemico di quell’oppressione di classe che informa le leggi; leggi che ledono il diritto a condurre una vita serena, legittimata dal possesso di determinati documenti senza i quali spettano solo precarietà e sfruttamento.

Viviamo in uno stato che attenta alle vite delle persone razzializzate e che si alimenta della paura della clandestinità e dell’uomo nero, per poi varare decreti e pacchetti sicurezza a protezione delle sacche privilegiate della società.

In questo Paese, il cui passato coloniale è stato rimosso o minimizzato sotto lo sguardo suprematista ed eurocentrico di chi continua a vedere l’Africa come una massa informe ed omogenea di persone più o meno scure che attendono di essere salvate (civilizzate?) dalla benevolenza catto-ipocrita delle persone bianche; dove il razzismo non esiste, perché vissero tutti felici e contenti, purché bianchi, maschi, borghesi, abili ed etero; dove a parlarne, nel migliore dei casi, ovvero quando se ne parla, sono persone bianche che, per quanto sensibili ed empatiche, spesso si appropriano di un’esperienza che riguarda il colore della pelle e in generale le caratteristiche fenotipiche, divenendo soggetti del discorso e oggettificando, ancora una volta, i corpi neri; ecco, in questo Belpaese, le parole di bell hooks ci mancano moltissimo.

Ci ha lasciato, per fortuna, un pensiero critico acuto e trasgressivo che, sotto lo pseudonimo derivato dal nome della bisnonna materna — scritto a lettere minuscole non solo in segno di rispetto nei confronti della sua ascendenza e ancestralità ma anche per sancire la priorità del messaggio rispetto all’identità di chi lo trasmette — ci invita a un senso di comunità forte e autentico. La sua scrittura, chiara e incisiva, si è concentrata sull’intersezionalità di razza e genere e sulla loro capacità di produrre e perpetuare sistemi di oppressione e di dominio di classe, in quanto dispositivi di potere.

In particolare, le parole che abbiamo letto nelle pagine della trilogia pubblicata negli ultimi tre anni dalla casa editrice Meltemi all’interno della collana «Culture radicali» (curata da Ippolita), sono quelle che più ci hanno salvato.

Insegnare a trasgredire, Insegnare comunità e Insegnare il pensiero critico

«La teoria mi ha salvato», dice bell hooks: a molte di noi che lavoriamo dentro il mondo della scuola la teoria di bell hooks è venuta in salvo con le sue parole accurate nella scelta, puntuali e precise all’interno di un periodo contundente. L’incontro con la sua teoria è salvifico per tante ragioni che vorremmo enumerare una a una, ma in particolare menzioneremo quella che a noi sembra essere la principale: ovvero perché si tratta di una teoria che prende vita dal corpo stesso di chi la enuncia, un corpo di donna, nero, razzializzato, marginalizzato e che travalica le regole dell’eteronormatività. Una teoria che affonda le radici nella sua esperienza di giovane studente nera nelle scuole del regime segregante prima, e in quelle prevalentemente bianche poi, dove sperimentò il razzismo aperto degli insegnanti. Nata nel 1952 a Hopkinsville, nello Stato del Kentucky, Gloria Jean Watkins fu infatti testimone del segregazionismo dettato dalle leggi Jim Crow: sedere ai banchi di scuola per le persone nere era un vero e proprio atto di resistenza e il sapere che le loro insegnanti — nere, impegnate nell’educazione come pratica di libertà — trasmettevano, uno strumento di lotta: si istruivano alla pratica dell’emancipazione e liberazione.

Una teoria incarnata, quindi, che in virtù del suo portato esperienziale scardina l’idea di una netta separazione tra teoria e prassi e ci restituisce un pensiero vivo e in divenire, attualissimo e utilissimo a leggere la disastrosa situazione in cui verte l’odierna scuola pubblica italiana.

Ci consegna, la sua teoria, le basi di una scuola decoloniale dove vige un’idea d’insegnamento come pratica di liberazione ed emancipazione rispetto a metodologie e ruoli che rischiano di riprodurre gerarchie e dinamiche di potere e d’assoggettamento qualora vengano esercitati in maniera acritica e incosciente (o persino, come dice bell hooks nelle parole della traduttrice Feminoska, con qualche «sommo piacere»). Quelle dinamiche che riproducono insomma il razzismo istituzionale e le forme di esclusione sistemiche. È una teoria intrisa di emotività, di sentimento, perché muove dal dolore, dalla sofferenza, come ci dice nelle righe citate; un dolore che però è anche gioia, speranza, eccitazione dell’apprendimento, del pensare, del pensare che diventa azione, del sapere come luogo di cura e di guarigione. Che ci consegna una pedagogia impegnata la quale non mira a produrre esclusivamente riflessività, ma piuttosto si impegna a tradursi in azione, in movimento quotidiano, sia individuale sia collettivo; e quest’azione ci interroga in maniera netta sulla natura del nostro privilegio bianco e su come usarlo, invitandoci alla radicalità delle nostre scelte. bell hooks parla, molto praticamente, attraverso episodi del suo vissuto, prima di studente e poi di docente universitaria, alle nostre classi che travalicano le frontiere nazionali e ci fornisce delle strategie per mettere al centro dell’aula l’esperienza di tutti i membri, specie delle soggettività razzializzate, quelle che solitamente restano silenziate e invisibilizzate dalla norma bianca che tutt3 noi in classe riproduciamo, anche solo con il nostro stare; ci insegna a guardarle senza la lente dell’esotico o della marginalità e a creare uno spazio e un clima in grado di accogliere non solo le singole esperienze che diventano collettive nel momento in cui vengono narrate, ma anche i conflitti che ivi possono sorgere.

Il processo pedagogico che ne scaturisce, bell hooks lo ripete continuamente, rende l’aula un luogo integro — è una parola che usa spesso e che dà il titolo a un capitolo del terzo volume —, laddove integrità sta per completezza, coerenza con i valori professati, perché in classe ci si sta tutt’insieme, tutt3 quant3, tutt’inter3 e tutt’in gioco, assumendosi dei rischi e impegnandosi reciprocamente, docenti e studenti, nell’apprendimento autentico, fonte di gioia e fiducia collettiva. E dunque, come ripete insistentemente l’autrice stessa, i suoi libri vanno intesi come veri e propri strumenti per chi si occupa di didattica e insegnamento: non sono testi teorici che parlano soltanto al mondo accademico, al contrario vogliono avvicinare le teorie alle pratiche, metterle in dialogo, allo scopo di incidere davvero e in maniera profonda sulla realtà, con la speranza di una trasformazione tangibile — perché l’atto di educare si radica nella speranza, ovvero nel credere fermamente che l’apprendimento e il cambiamento siano possibili.

Per questo, anche se la realtà della quale parla bell hooks è quella accademica e statunitense, noi siamo certe che l’uso più corretto ed efficace dei suoi testi sia quello di farli entrare nelle nostre aule, nei nostri collegi docenti e consigli di classe al fine di condividerne le suggestioni e lavorare sulle pratiche insieme a chi ogni giorno ha a che fare con l’atto di insegnare.

Nostra responsabilità è far dialogare i temi dell’opera di bell books con la situazione attuale della scuola italiana che ad oggi è il risultato di riforme importanti emanate negli ultimi decenni; con le dichiarazioni del Ministero dell’Istruzione e del Merito rispetto all’introduzione dell’educazione sessuo-affettiva nelle scuole, le cui linee sono carenti e inadeguate (su cui ci siamo già espresse LINK); con le ragioni dello sciopero del prossimo 8 marzo che sono anch’esse ormai da anni frutto di elaborazioni collettive che si sono date all’interno del movimento transfemminista NUDM, riflessioni che cercano di mantenere insieme il piano della didattica con quello del lavoro, produttivo e riproduttivo, delle donne. Perché, lo ricordiamo, l’80 per cento del personale scolastico e amministrativo — docenti, ATA, OEPA, segretarie — è composto da donne. Bianche.

Tre insegnamenti da non dimenticare

1.

Le parole di bell hooks si propongono di rinnovare e svecchiare le pratiche d’insegnamento al fine di rendere l’educazione “una pratica di libertà” — come recita il sottotitolo di Insegnare a trasgredire — affinché la scuola non sia “il luogo in cui chi studia subisce un vero e proprio indottrinamento volto a sostenere il patriarcato capitalista, imperialista e suprematista bianco”, ma dove lƏ discente impara “ad aprire la mente, a impegnarsi nello studio rigoroso e a pensare in modo critico”. La trasgressione del titolo è di fatto una dichiarazione d’intenti rispetto a un metodo: ciò che si trasgredisce sono i confini di una scuola bianca, patriarcale e classista, in un movimento contro e oltre gli stessi, uno “sconfinamento”, per poter pensare, ripensare e creare nuove visioni generative e trasformative affinché diventino sistemiche.

Su questo punto, abbiamo individuato diversi dispositivi che contribuiscono al mantenimento degli ingranaggi di una scuola bianca, patriarcale e di classe: non solo le forme in cui viene confezionato il sapere (conservativo) per l3 nostr3 studenti, ma più nello specifico vanno visualizzate e contrastate alcune politiche scolastiche, risultato di riforme oculatamente neoliberali, e alcune prassi amministrative che riproducono le diseguaglianze educative e l’esclusione sociale: dispositivi quali la valutazione e l’orientamento; la formazione delle classi; gli stereotipi di genere tramandati nei libri di testo sin dalla primaria; i piani BES (Bisogni Educativi Speciali), ovvero l’inclusione a costo zero della quale pagano le spese principalmente alunn3 razzializzat3; e poi ancora i PCTO (acronimo per: Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento), i crediti formativi, il test INVALSI, i RAV (acronimo per: Rapporto Auto Valutazione), i PON (acronimo per: Programma Operativo Nazionale), concessi solo in base ai risultati dei RAV, i territori, intesi come spazi di relazione con le imprese…

2.

Il secondo insegnamento di bell hooks che vorremmo menzionare qui ha sempre a che fare con uno sconfinamento, che stavolta riguarda i territori oltre le mura degli istituti scolastici: in questo senso, infatti, l’insegnamento non è inteso solo come una pratica che si svolge soltanto nei contesti educativi formali come l’università o la scuola, bensì in tutti i luoghi disposti ad accogliere contributi didattici informali. Ci parla di comunità educanti, d’insegnamento e d’apprendimento, due piani che per la pensatrice statunitense sono in costante dialogo aperto; ci parla di alleanze dentro e fuori scuola, ci incoraggia a s-confinare, ad assumerci il conflitto. E questo ci impone un’urgenza, quella di formarsi su determinati temi, una formazione ancora molto osteggiata nei luoghi istituzionali (ma non solo), specie nella fase sociale, politico-governativa postpandemica in cui ci troviamo: in molte scuole il clima è ostile, conservatore, frammentato e tristemente individualistico, pervaso di associazioni Pro Life dell’ultradestra cattolica e tutto teso verso la produttività e l’efficientismo, oltre che al limite dell’esaurimento nervoso perché oberato di lavoro. È per questo che momenti di comunità sottratti alla frammentazione che osserviamo quotidianamente sono molto preziosi: vanno innanzitutto a colmare la solitudine che noi insegnanti soffriamo nei nostri contesti lavorativi, subendo direttamente o rilevando indirettamente continui episodi di microviolenza razzista, maschilista, classista e abilista messa a sistema. Se non si può fare autoformazione collettiva dentro la scuola perché il comitato genitori o la Dirigente si oppongono alla non meglio identificata teoria gender, e allora chesi moltiplichino i luoghi che ospitano momenti di autoformazione fuori, nelle case delle donne, nelle librerie femministe, negli spazi sociali.

3.

Infine, in Insegnare il pensiero critico che chiude il cerchio di questa trilogia sull’educazione, come dice l’autrice stessa, bell hooks ha “evidenziato problemi e preoccupazioni che insegnanti e studenti hanno portato alla [sua] attenzione”, è il risultato dei sui racconti, dei tanti episodi che narra in una forma discorsiva molto accattivante e coinvolgente.

Tutti questi racconti danno vita a uno strumento teorico-pratico preziosissimo che consiste in trentadue insegnamenti: Pensiero critico, Educazione democratica, Pedagogia impegnata, Decolonizzazione, un capitolo molto bello, che infonde speranza e fiducia nel cambiamento e  dove cita i suoi riferimenti teorici, Freire, Fanon, Cabral e altri su come decolonizzare le menti, decostruire le diverse dimensioni di razza, genere e classe che si articolano nella nostra vita quotidiana; e poi ancora Integrità, Testimonianza, Conflitto… Si tratta di insegnamenti che hanno lo scopo di “rendere l’aula un luogo di impegno feroce e intenso apprendimento” piuttosto che quello spazio noioso, annichilente, passivo, d’addestramento al conformismo, all’obbedienza, all’acquiescenza, al lavoro (precario e gratuito), alla produzione, alla competizione, alla performance, all’informazione tecnica di cui noi tutt3, da studenti e/o da insegnanti/educatrici/ricercatrici, abbiamo fatto esperienza nelle nostre vite.

Nel giorno dell’anniversario della sua morte, salutiamo dunque con rispetto e deferenza l’eredità che questa pensatrice afrodiscendente ci ha generosamente lasciato, con l’impegno di assumerci la responsabilità di provare a darle continuità in un panorama ancora lontano dall’eguaglianza razziale, e cogliendo l’invito a costruire comunità allargate di riflessione e azione contro la morsa sempre più stringente dei tempi frenetici e deliranti che viviamo.

Immagine di copertina da Flickr