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Immaginare insieme, fondare l’alternativa
La pandemia ha segnato una frattura nel rapporto tra la dimensione individuale e l’interesse collettivo. Quest’ultimo, tuttavia, non è un dato neutro, ma è il campo dei conflitti sociali. L’ultimo libro di Vittorio Morfino, “Intersoggettività o Transindividualità”, supera la dicotomia tra individualismo e olismo, recuperando la forza materiale dell’immaginario e dell’inconscio.
La crisi pandemica ha scosso profondamente il rapporto tra la sfera dell’individualità e quella della salute pubblica. La gran parte di noi si è probabilmente trovato ora nella posizione del “responsabile”, di fronte a coloro che minimizzavano, o persino negavano, il tasso di contagiosità e mortalità del virus, polemizzando unicamente contro i decreti del governo e rivendicando la libertà individuale; ora, e al tempo stesso, nella posizione dell’ “irresponsabile”, di fronte ai giudizi di chi riteneva pericolosa una cena intima, o un’uscita oltre le ventidue in tempi di coprifuoco, in nome della salute pubblica. La forza d’urto dell’evento- pandemia ha sballottato ciascuno da una parte e dall’altra, effetto tipico dell’«evento» secondo le parole di Gilles Deleuze (la «struttura obiettiva dell’evento stesso, che in quanto tale va sempre in due sensi contemporaneamente, dilania il soggetto secondo questa duplice direzione»). La dicotomia tra individualismo e olismo rischia, tuttavia, di generare confusione tanto a proposito della libertà, quanto dell’interesse collettivo. Da un lato, l’interesse collettivo di una società non è un dato omogeneo, pre- esistente rispetto ai processi sociali, ma è il prodotto dei rapporti conflittuali che lo producono e riproducono i soggetti. L’invocazione della sicurezza collettiva implica una presa di posizione all’interno di quel campo conflittuale, a favore del potenziamento del welfare e della sanità pubblica, contro l’arroganza dei settori confindustriali e commerciali che hanno tentato di subordinare l’interesse generale e la vita delle persone ai loro profitti, anche nelle fasi più tragiche dell’emergenza sanitaria. Dall’altro lato, la libertà del singolo non è mai assoluta, ma relativa, poiché si persegue soltanto attraverso lo sviluppo e la difesa relazioni sociali, e garantendo a tutti gli altri le medesime opportunità. Secondo Spinoza, grande filosofo moderno della libertà, la massima libertà individuale non può che situarsi in una forma di governo assoluto che si chiama “democrazia”: assoluto poichè esercitato dall’intera moltitudine. Che la libertà coincida con le istituzioni di un governo assoluto è solo apparentemente un paradosso, come proveremo a spiegare.
La filosofia del «transindividuale», a cui è dedicato il volume di Morfino recentemente apparso in Italia, Intersoggettività o Transindividualità. Materiali per un’alternativa (manifestolibri, Roma 2022, € 28), consente di riflettere sula relazione tra l’individuo e il collettivo al di fuori della dicotomia tra l’individualismo e l’olismo. La categoria di «transindividuale» è stata riproposta, durante gli anni Novanta, da Étienne Balibar nei suoi lavori su Spinoza e Marx, per qualificare una «ontologia della relazione», in cui una pluralità di relazioni sociali e di scambi di energia con l’ambiente esterno costituiscono, simultaneamente e incessantemente, sia l’individualità sia la collettività. Balibar si richiama esplicitamente alla grammatica di Gilbert Simondon, in cui il concetto di «transindividuale» nomina un processo di individuazione in cui gli individui sono concepiti come il risultato continuamente variabile e meta- stabile di una relazione che li precede, li costituisce e li supera. L’individuazione non è pensata a partire da un essere già individuato e identico a se stesso (la forma archetipica platonica, il sinolo ilomorfico, l’atomo epicureo, il cogito che sfugge al dubbio, ecc..), ma a partire da una potenza o “carica” pre- individuale, infinita e insatura, che produce i singoli individui, non si esaurisce in essi, li eccede e riavvia sempre nuove individuazioni collegate le une alle altre. Pertanto l’individuazione è, al tempo stesso, quella psichica dell’individuo e quella collettiva di un gruppo sociale.
A partire dalla fine degli anni Novanta, in cui era allievo di dottorato di Balibar a Parigi, Vittorio Morfino ha proseguito ed esteso il cantiere di ricerca sul «transindividuale». Alle spalle dei loro studi condivisi su Machiavelli, Spinoza, Hegel e Marx, c’era il riferimento comune a Louis Althusser. Seppur dimenticato dalla filosofia accademica europea, è indubbiamente il vero ispiratore della ricerca di Balibar e Morfino sul transindividuale, che ne sviluppa alcune tesi fondamentali (la critica del soggettivismo e dell’«umanesimo teorico»; l’efficacia di una struttura di rapporti sui suoi elementi; il carattere aperto e non formalistico di questa struttura; l’intreccio di temporalità plurali e non- contemporanee che attraversano la società; il primato dell’incontro sulla forma). Dopo un’ormai innumerevole serie di pubblicazioni sul tema da oltre vent’anni, il volume di Morfino segna l’esito di una lunga riflessione e ne offre una presentazione sistematica al lettore.
La successione storica dei capitoli traccia una vera e propria storia sotterranea, alternativa e materialistica, della filosofia occidentale moderna e contemporanea. La sostanza infinita spinoziana, causa immanente di tutte le sue modificazioni, è interpretata come la connessione (connexio) di molteplici cause finite che produce gli individui e non ha esistenza separata da essi. La sostanza è la relazione produttiva che costituisce e attraversa i modi. A loro volta, gli individui, in quanto modificazioni di questa sostanza- connexio, sono definiti come un intreccio di relazioni causali ed affettive, comunicanti o discordanti, gioiose o tristi, sia al loro interno, tra le molteplici parti che li costituiscono, sia, simultaneamente, con soggetti e cose esterne. Dall’individualità non-sostanziale di Spinoza, che contrasta l’invenzione cartesiana del soggetto come fondamento della verità, alla critica hegeliana della soggettività astratta e della società civile; alla definizione marxiana dell’essenza come «ensemble» di rapporti sociali, contro l’antropologia dell’homme bourgeois; all’indagine freudiana sulle «anime collettive» e sulla dimensione immaginaria della società; all’analisi althusseriana della soggettività come effetto dell’articolazione reciproca dell’inconscio e dell’ideologico; infine, alla teoria materialistica del discorso proposta Michel Pêcheux. La collocazione di Hegel all’interno di questa genealogia è tuttavia parziale, poiché, se riconosce la costituzione relazionale dell’individuo, e le resistenze individuali alle totalizzazioni dello spirito, tuttavia sottopone questo intreccio di relazioni e resistenze a un modello assoluto, telos, che lo comanda dall’origine (cap. 5).
La «corrente sotterranea del transindividuale», come l’ha definita Jason Read, si contrappone al canone filosofico moderno dell’intersoggettività, categoria husserliana che – un po’ come il transindividuale simondoniano – viene proiettata retrospettivamente sulla tradizione che va da Descartes, a Leibniz, a Locke, a Kant e infine a Husserl stesso. Essa ha il suo perno nella categoria di soggetto e intende la relazione come uno spazio tra soggetti già costituiti, autonomi e consapevoli. Il soggetto è il luogo dell’interiorità, della coscienza e della riflessione, ego cogito, che subisce affezioni esterne e accidentali, che muta con esse, ma al tempo stesso è il fondamento e il sostrato di questi mutamenti accidentali. L’alternativa tra i due modelli è secca: aut transindividualità aut intersoggettività. Eppure, il transindividuale non è semplicemente concepito come l’alternativa dell’intersoggettività, ma come la sua causa profonda, segreta, strutturale, che viene celata e rimossa. L’intersoggettività è criticata in quanto effetto ideologico, immaginario, distorto, della transindividualità. Si tratta dell’intuizione alla base di tutto il volume e, al tempo stesso, della sua proposta storica e teorica più originale.
Già in Spinoza (capp. 2- 3) il modello dell’intersoggettività appartiene non al piano ontologico ma a quello immaginario. Basti pensare al carattere immaginario del patto politico siglato tra i cittadini ebrei e Mosè nel Trattato teologico-politico. Esso «era più un’opinione che una realtà di fatto» (TTP, XVI), e si rivela efficace proprio in quanto immaginario. Il patto si attua nella dimensione dell’immaginario collettivo, delle credenze religiose e degli affetti comuni di una moltitudine che, dopo esser fuggita dalla schiavitù d’Egitto, è indocile e desiderosa di uguaglianza. Ricordiamo che, secondo Spinoza, l’immaginazione è una forza (attività) della mente: essa rap-presenta, ossia pone nella forma oggettivata e reificata della presenza esterna, una relazione tra due corpi, che a loro volta rinviano alla relazione con altri corpi, e così via. Essa non è la facoltà di un soggetto, ma il contraccolpo rappresentativo dell’essere in relazione. «Proprio perché non è riproduzione di un oggetto, ma effetto di un campo di relazioni, l’immagine non può essere pensata al singolare, ma solo come già-da-sempre inserita in un tessuto di immagini» (p. 116). In quanto riflesso di una relazionalità, essa tesse il legame tra il particolare e il generale, situa le singole immagini all’interno di un immaginario collettivo. Per questo, Morfino interpreta l’immaginazione come un’attività transindividuale. L’immaginazione dei singoli individui – dei profeti, o di Mosè – emerge come una variazione singolare dell’immaginario collettivo. Essa si genera all’intreccio di costumi e credenze collettive con l’ingenium, il temperamento e la costituzione fisica del singolo individuo. Il nostro immaginare dipende da consolidate abitudini collettive di cui siamo parte – così, un contadino, alla vista di orme sulla sabbia, immagina immediatamente un aratro – e dalle affezioni singolari dell’individuo. Questo scarto segnala l’accumulo storico di costumi e affetti comuni da cui emerge la singolarità profetica, contro lo schema teologico della creatio ex nihilo. «Immaginare insieme» è la formula analoga, utilizzata da Chiara Bottici, per segnalarne la dimensione transindividuale. Tornando ai cittadini della moltitudine ebraica, essi immaginano la relazione inter-soggettiva del rapporto contrattuale, ma sono portati a quella rappresentazione immaginaria dalla trama transindividuale di immagini ed esperienze comuni che costituisce i suoi stessi individui. Il transindividuale è l’effettiva struttura dell’essere, in cui si forma l’illusione dell’intersoggettività.
Si approda così dall’immaginazione alla transindividualità della mente umana (cap. 4). La mente è spinoziana non è un’interiorità che contiene idee, sensazioni, immagini. Essa è un intreccio strutturato di molteplici idee che si relazionano tra loro, così come il corpo è una composizione di molteplici corpi, costituiti e al tempo stesso tenuti insieme da relazioni e affezioni reciproche. E l’idea, a sua volta, non è un semplice contenuto mentale, ma un prodotto dell’attività della mente che sente, e pensa, le relazioni corporee. Solo in quanto intreccio di idee corrispondenti alle affezioni del corpo, la mente è l’idea del corpo. L’unità della mente, come quella del corpo, è l’effetto di una pluralità, di un concorrere di più parti a uno stesso effetto, di molteplici relazioni che si dànno nel pensiero (un libro che leggiamo, una conversazione con un’altra persona, un’immagine che passa allo schermo e le idee che ci facciamo di queste affezioni). L’io cartesiano, spazio di interiorità e “contenitore” di determinati contenuti mentali (le idee), è destituito. Neppure la relazione tra le menti può essere pensata secondo uno schema inter-soggettivo.
Dopo Spinoza, anche Marx avrebbe insegnato, con la sua doppia critica all’individualismo possessivo di Stirner e all’essenzialismo naturalista di Feuerbach, che l’intersoggettività è una forma ideologica e storicamente determinata che rappresenta, mistificandolo, il transindividuale come relazione giuridico-contrattuale tra individui proprietari (cap. 6). La VI tesi marxiana su Feuerbach definisce, come noto, l’essenza umana «nella sua realtà effettiva […] l’insieme dei rapporti sociali». Marx rifiuta in una sola mossa sia la posizione realista, sia quella nominalista dell’antropologia filosofica: l’essenza non è né una qualità generica, o una forma, che precede gli individui e alberga al loro interno, né un’idea universale che si ricava per astrazione dagli individui concreti. Essa consiste, invece, nelle relazioni sociali (lavorative, politiche, sentimentali, comunicative) che coinvolgono gli individui e definiscono ciò che essi hanno «in comune», il loro «genere». La critica marxiana denuncia, con il feticismo della merce e la reificazione dei rapporti sociali, anche il «feticismo del soggetto», in quanto effetto strutturale di una certa forma di rapporti sociali di produzione. I rapporti sociali capitalistici, fondati sullo spossessamento dei lavoratori e sulla concentrazione privata dei mezzi di produzione, reificano le interazioni sociali e la cooperazione produttiva in rapporti inter-soggettivi tra sostanze, res. Le interazioni costitutive tra gli individui, che si associano per la produzione materiale della vita, si trasformano in un modello estraneo di divisione sociale del lavoro, che distribuisci gli individui in classi e sussume la cooperazione sotto un determinato regime gerarchico.
Ma è Althusser colui che, sulla scorta di Spinoza e Marx, consente di comprendere il paradigma dell’intersoggettività come «riconoscimento- misconoscimento» della transindividualità che lo fonda. Soltanto una volta che gli individui si sono costituiti come esito mutevole e meta- stabile di un intreccio materiale di relazioni, essi possono allora essere considerati come “centro” da cui osservare e conoscere le relazioni secondo il modello inter-soggettivo. Il “centramento” dell’io, della coscienza, è il tipico effetto illusorio dell’immaginazione- ideologia secondo lo spinozismo di Althusser.
Veniamo così alle conclusioni teorico-politiche che possono essere tratte al traguardo della «storia sotterranea» fin qui tracciata. La prima, ampiamente condivisa dall’autore, riguarda il carattere immaginario e inconscio della politica, o in altri termini, la produttività politica dell’immaginazione. Spinoza e Freud sono i due riferimenti althusseriani per produrre un concetto nuovo di ideologia: da un lato, essa esprime il rapporto immaginario e “vissuto” degli individui con la loro esistenza concreta, l’effetto rappresentativo e immediato (primo genere di conoscenza) delle relazioni di un corpo con il mondo (Spinoza); dall’altro, funziona come operazione di apparati, che “interpellano” gli individui in quanto soggetti, prescrivono loro pratiche ritualizzate e credenze immaginarie (Freud). Il soggetto e l’intersoggettività sono l’effetto immaginario- ideologico degli apparati dell’interpellazione. Tali apparati (famiglia, scuola, università, Chiesa, partiti, sindacati) funzionano “a centramento”, poiché interpellano gli individui attraverso un Soggetto centrale trascendentale (Dio, la Patria, il Padre, la Legge, la Rivoluzione) e costituiscono i soggetti empirici per effetto di riconoscimento-misconoscimento.
Se la struttura capitalistica della società stabilisce le funzioni e i comportamenti richiesti ai soggetti sociali, questi devono essere interpellati e motivati nel loro inconscio per assumere il proprio “posto” liberamente e volontariamente. Questa funzione-di-soggetto è l’effetto proprio del discorso ideologico, che richiede un elemento inconscio (un desiderio) su cui far leva. Il discorso ideologico stabilisce le pratiche, le ritualità e i comportamenti quotidiani degli individui; e l’inconscio si incunea in queste pratiche e rappresentazioni ritualizzate per manifestare i propri sintomi. L’inconscio è articolato sul discorso degli apparati ideologici, i quali possono interpellare e stimolare i loro soggetti soltanto sollecitando e ospitando al loro interno gli elementi inconsci del desiderio. Desiderio e soggettività, inconscio e funzione sociale, interno ed esterno, si costituiscono simultaneamente, nello stesso meccanismo.
L’immaginazione, dunque, è il rapporto vissuto e immediato con la realtà esterna, che tende a rap-presentare e ad associare le cose esterne diversamente dalla realtà. Percezioni di somiglianza e di contiguità spazio-temporale, fenomeni non consci di transfert affettivo e linee del desiderio determinano la produzione immaginaria. Immaginiamo come presente ciò che accresce la potenza del corpo e colma di gioia la mente, o ciò che causa tristezza a chi abbiamo in odio. Nelle associazioni dell’immaginazione alberga il desiderio pre-conscio, che precede la coscienza ed è pura forza espressiva (conatus) del corpo. L’immaginazione non si riduce a un errore, ma esprime il modo in cui gli uomini vivono il loro mondo, si associano, desiderano. Le associazioni immaginarie, seppure inadeguate e infedeli alla realtà, determinano il corso della storia e delle vicende umane. La politica è chiamata inevitabilmente a sollecitare e orientare il vissuto spontaneo e pre-conscio degli individui, a intervenire sui modi con cui gli individui immaginano la propria realtà. Si pensi oggi, in Italia, all’ideologia del “lavoro a ogni costo”, anche se sottopagato e umiliante, in nome della quale gli apparati mass-mediatici conducono una campagna martellante di moralizzazione e colpevolizzazione del reddito di cittadinanza, penetrando nell’inconscio degli individui e articolando desideri naturali di sicurezza e di libertà.
Se Spinoza è il primo teorico dell’ideologia e dell’esistenza materiale delle ideologie negli apparati-rituali, il filosofo olandese non cessa di interrogarsi su un uso legittimo e “adeguato” delle associazioni immaginarie. La seconda conclusione, che non appare nel volume di Morfino, riguarda allora, a mio avviso, il passaggio dal transindividuale al conflitto politico e all’«istituzione» (o apparato) democratica della moltitudine. Spinoza pensa il diritto naturale – di fare o dire qualcosa – non più come una questione individuale, ma comune: il diritto naturale esiste soltanto come jura communia, i diritti comuni di una moltitudine, la combinazione di molte forze. Ciò che possiamo dire o fare come soggetti individuali è sempre l’esito di una composizione collettiva dentro la quale ci distinguiamo individualmente. Siamo liberi di esistere, di parlare, di agire, soltanto grazie alla convivenza con altre donne e uomini, all’aiuto reciproco, alle relazioni sociali, che sono costitutive dell’esistenza individuale. La moltitudine è proprio questa rete di relazioni affettive e associazioni immaginarie. L’individuo emerge come l’esito, parziale e provvisorio, di una pluralità di relazioni, di combinazioni con il mondo esterno, di transfert affettivi e imitazioni emotive. E questo tessuto che costituisce e attraversa l’individuo comprende, secondo Spinoza, tanto rapporti cooperativi, gioiosi, che lo arricchiscono; tanto rapporti conflittuali, oppositivi, che ne minacciano l’esistenza. L’esteriorità, il fuori, gli incontri accidentali e le mescolanze passionali, si fanno essenza: definiscono chi siamo, cosa desideriamo, la nostra singolarità.
A livello politico, questa prospettiva insiste sulla ricerca di istituzioni che non separano l’individuo e la collettività, ma che realizzano simultaneamente l’uno attraverso l’altro. Il collettivo non corrisponde né a un insieme di individualità pre-esistenti, né a una comunità superiore e organica, che richiede la rinuncia alla libertà e il superamento dell’individualità. Collettivo è piuttosto, quell’ambito fatto di regole comuni (jura communia) e al tempo stesso intrinsecamente plurale, differenziato: ciò che chiamiamo «istituzione». Quando le istituzioni affermano i diritti comuni della composizione e difendono la natura «comune», o transindividuale, della vita umana dall’interesse aggressivo dei pochi, l’individuo può conquistare pienezza ontologica e affermarsi come libero e sociale al tempo stesso. Individuo e politica sono di fatto un processo coestensivo. La libertà non è, dunque, la condizione eslege di uno stato di natura privo di regole, ma la libertà istituzionale che coincide con i diritti comuni della vita associata. La distinzione tra individualità e collettività sfuma: esse non delimitano sfere opposte e separate da conciliare con equilibrio (ad esempio, nella dicotomia liberale tra pubblico e privato), ma si costituiscono reciprocamente: più si esprime l’una, più si sviluppa l’altra; più riconosciamo la natura comune dei nostri diritti, più siamo riuniti in assemblea per organizzarli e imporli, più siamo liberi di essere noi stessi ed esprimerci.
Le istituzioni democratico-radicali sono prodotte e plasmate dalla connexio delle relazioni sociali, tanto dalle relazioni di cooperazione, cura del diritto comune e solidarietà, quanto dai conflitti che attraversano la società. Non vi è l’uno – cura e solidarietà – senza l’altro – il conflitto contro chi vorrebbe appropriarsi e sfruttare queste reti. Le istituzioni orientano lo sviluppo delle relazioni sociali e della conflittualità verso l’uguaglianza e la condivisione, dando al «comune» la legittimità e la forza di difendersi contro gli interessi di pochi, gli oligopoli della ricchezza e del potere. Per farlo, esse necessitano sempre di sollecitare il desiderio dei propri soggetti e di inscrivere nel loro immaginario collettivo l’amore e il rispetto per i diritti comuni, il contrasto alle ingiustizie, all’egoismo e alla sopraffazione. L’analisi e la sollecitazione dei desideri e degli affetti, la cosiddetta clinica, definisce un terreno decisivo per una “politica del comune”, e potrebbe inoltre mettere l’ontologia del transindividuale in dialogo con alcune correnti non prese in esame da Morfino, dalla psicoterapia istituzionale di Guattari, alle riflessioni sul comune del neo-operaismo italiano, alle esperienze concrete di istituzioni del sindacalismo sociale.
Una presentazione del volume si terrà il 21 dicembre, alle ore 14, a Roma, presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Roma Tre (aula Verra, al piano terra). Discuteranno, insieme all’autore Vittorio Morfino: Roberto Finelli (Università degli Studi di Roma Tre), Diego Lanciote (Università degli Studi di Napoli Federico II) e Andrea Moresco (Scuola Normale Superiore di Pisa). L’iniziativa è a cura della Societas Spinozana.
L’immagine di copertina è un dettaglio di un’immagine di Claire Fontaine in creative commons.