approfondimenti
ROMA
Il tempo dellǝ studentǝ
Dopo più di dieci scuole occupate in autunno, le manganellate nei cortei, e la richiesta di un tavolo di discussione ministeriale sulla base di lucide rivendicazioni, il movimento studentesco viene infatilizzato e represso, mentre i Dirigenti Scolastici invocano la ‘cultura del rispetto’ e abbassano i voti in condotta, e il Ministero nega ogni occasione di dialogo e propone misure punitive
«Poniamo fine al silenzio. Il vostro tempo è finito, ora c’è il nostro», hanno gridato le studentesse e gli studenti medi in piazza il 22 dicembre, chiudendo il periodo di occupazioni che ha coinvolto diversi licei romani. Dal Pantheon il corteo ha provato a raggiungere Montecitorio, chiedendo tavoli di confronto con il ministero dell’Istruzione e del Merito, con l’Ufficio scolastico regionale o con il Comune. La richiesta di ascolto è stata accolta dalle cariche della polizia in tenuta antisommossa. Alcune studentesse e alcuni studenti sono stati feriti, altri identificati.
La repressione violenta dello Stato nei confronti delle studentesse e degli studenti, anche adolescenti, non è certo una novità, ma la reazione attuale all’ondata di proteste di quest’anno ha dimostrato come la manifestazione di dissenso nella scuola pubblica sia diventata inammissibile. Anziché ascoltare le istanze delle giovani e dei giovani e creare occasioni di dialogo sulle tematiche sociali che investono il paese, il ministero dell’Istruzione propone misure punitive.
Il 17 gennaio durante un’audizione sul DDL per la Revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti, è stata approvata una normativa che introduce alle scuole medie il voto in condotta e inasprisce il regolamento per le scuole superiori. Attualmente il 5 in condotta viene previsto solo a fronte di gravi violazioni del codice penale, con la riforma invece sarà in pagella anche per comportamenti ritenuti inaccettabili o reiterate violazioni del Regolamento di Istituto. La bocciatura diventa quindi a discrezione della scuola e del direttore scolastico, al di là delle competenze certificate dal consiglio di classe. Non solo, ma si potrà essere rimandate e rimandati in condotta. Il debito dovrà essere recuperato a settembre con un esame in Educazione civica.
L’Associazione nazionale insegnanti e formatori (Anief) ha espresso il suo consenso alla “cultura del rispetto”, sostenendo che «il rispetto delle regole di convivenza della comunità scolastica non può essere considerato meno rilevante della competenza sulle discipline».
Per quanto la disciplina possa, in alcuni casi, essere necessaria, la “cultura del rispetto”, assomiglia molto alla “cultura della difesa”. Non dovrebbe rientrare nelle prerogative scolastiche, dove l’impegno dovrebbe essere rivolto alla formazione. La scuola dovrebbe fornire gli strumenti adatti per interpretare le situazioni e permettere alle studentesse e agli studenti di acquisire un comportamento corretto nella società in genere. Produrre senso critico, non riverenza verso l’autorità senza remore.
«Il dispositivo che è stato approntato quest’anno, di valutazione, umiliazione e punizione deve essere messo in discussione», spiega il professore di Storia e Filosofia del Liceo Manara, Paolo Vernaglione Berardi. «Nella scuola attuale la condotta come elemento di sanzione ha un peso maggiore, nel momento in cui gli studenti sono assoggettati al curriculum».
Emblematica è la vicenda dell’occupazione al Liceo Tasso di Roma. A inizio dicembre, infatti gli alunni del Tasso hanno occupato la scuola sull’onda delle proteste promosse dalla rete dei collettivi studenteschi della città. Al termine dell’occupazione, il preside della scuola, il Prof. Paolo Pedullà, ha proposto per 170 studentesse e studenti che si sono autodenunciati, una pena esemplare: il 5 in condotta al primo semestre, attività socialmente utili e dieci giorni di sospensione.
Mentre il ministro Valditara ha subito appoggiato le direttive del dirigente scolastico, il provvedimento ha scatenato le proteste dei genitori ‘illustri’ di Roma centro. Arrivate alla cronaca nazionale con titoli come “la lotta di classe la fanno mamma e papà” le proteste del Tasso sono state quindi ridotte a scomode pretese di giovani viziati. Gli studenti e le studentesse sono stati presentati come figli e figlie della classe sociale abbiente e socialmente rilevante della capitale, di registi, politici, avvocati di rilievo, abituati perciò a non subire le conseguenze delle loro azioni.
Davide Taraschi, studente del Tasso, che insieme alle compagne e ai compagni ha organizzato un sit in davanti alla scuola il 19 gennaio per continuare la protesta, replica: «Noi ci difendiamo da soli. I genitori non possono e non devono entrare in questioni che non li riguardano». E spiega che le polemiche non sono altro che una strumentalizzazione mediatica del loro dissenso. «A Salvini e Valditara serve parlare dei nostri genitori per spostare l’attenzione dalle richieste che portiamo avanti. Lo testimonia il fatto che il ministro non si sia espresso quando c’erano 18 licei occupati e un corteo studentesco brutalmente caricato il 22 dicembre, mentre dice la sua opinione in conferenza stampa quando si parla delle sanzioni per gli studenti del nostro liceo».
Gli studenti della scuola d’”élite” si sono anche espressi contro il classismo nel mondo dell’educazione.«Noi scendiamo in piazza per i licei di periferia che vengono sgomberati ai primi giorni di occupazione e per gli istituti tecnici, che con la nuova riforma vengono ridotti a fabbriche di operai specializzati», riferisce Isabella Bianchi, portavoce del Collettivo Politico Tasso. Ricordano inoltre che quest’inverno la mobilitazione si è mossa anche in periferia, in quella a sud ovest di Spinaceto e nel quadrante est della capitale, a Centocelle, dove sono stati occupati il liceo Plauto, il Tullio Levi Civita e il Kant.
«C’è un’istanza generale molto sentita, che interviene giustamente sulla situazione catastrofica in cui versa la scuola oggi” spiega il professore di Storia e Filosofia del Liceo Manara, Paolo Vernaglione Berardi: «il movimento delle occupazioni di quest’anno è stato organizzato collettivamente da una rete di scuole».
Nove licei romani hanno infatti pubblicato un comunicato che riassume le rivendicazioni comuni alla base delle occupazioni. I punti citati nel testo toccano vari aspetti che coinvolgono l’ambiente scolastico e non solo, con una riflessione su problematiche sociali più ampie. Tra questi ci sono: la questione di genere, la salute mentale, la gestione degli investimenti pubblici e la riforma degli istituti tecnici.
«Vogliamo una scuola transfemminista, una scuola che tenga conto delle linee di oppressione di genere, classe e di razza» – si legge nel documento del CAR (Coordinamento Autonomo Romano). Le studentesse e gli studenti chiedono per tutti gli istituti l’introduzione di sportelli psicologici e presidi antiviolenza «in grado di offrire alla comunità scolastica uno spazio di supporto». Le nuove generazioni vogliono vivere una scuola che sia meno attaccata al rendimento, al merito e alla valutazione e più alla creazione di una coscienza collettiva, un modello che si basi sulla collaborazione e non sulla competizione.
Oltre a proporre idee, pensano anche a come finanziarle. Mettono in dubbio la scelta del ministero di investire i fondi del PNRR nella digitalizzazione, ricordando i 2.1 miliardi già impiegati per il ‘Piano Scuola 4.0’ con le stesse finalità. Chiedono che i contributi siano investiti piuttosto per ripensare l’ambiente scolastico in una prospettiva intersezionale ed egualitaria, per assicurare il libero accesso all’istruzione per tutte e tutti.
«Gli obiettivi del PNRR per le scuole riguardano 6 riforme intorno a due grandi assi. Investimenti nell’edilizia scolastica e didattica digitale integrata», dice il Prof. Vernaglione Berardi. «Questi fondi rimangono però per tutte e tutti un grande punto interrogativo, si fermano nella retorica, ma non ce n’è traccia nel concreto».
Esprime dei dubbi anche sulla riforma degli istituti tecnici, che sembra orientata verso la subordinazione del sistema scolastico al mercato, spezzando la discontinuità tra ciclo scolastico e mondo del lavoro.
La situazione potrebbe peggiorare con l’introduzione dell’autonomia differenziata, approvata il 25 gennaio, che inserisce la scuola nelle prerogative di gestione regionale. «Con l’autonomia differenziata si va a esacerbare la tendenza del privato che si inserisce negli istituti scolastici e la deriva neoliberista che stabilisce dei ritorni economici dalle scuole», sostiene Michele Lucifero, professore di Filosofia e tra i promotori dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole.
Le lotte degli studenti medi sono sempre state considerate poco rilevanti, reputate alla stregua di momenti di svago per i ragazzi e le ragazze e, nel migliore dei casi, gestite come una seccante routine che si ripresenta ogni autunno nei licei della capitale. Al contrario le occupazioni rappresentano tra i pochi momenti di reale esperienza collettiva per molte persone.
Fra l’altro, l’unica protesta non violenta contro la guerra, l’unico atto di diserzione reale che c’è stato in questo paese, è stato quello delle occupazioni studentesche degli ultimi mesi del 2023. Gli studenti si sono molto consapevoli della loro posizione del mondo, molto più di quanto lo siano i loro insegnanti e i genitori…
Immagine di copertina e nell’articolo di Renato Ferrantini, corteo degli studenti a Roma, gennaio 2024