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ITALIA
“Il porto di Livorno è ormai una giungla”, parlano lavoratori e sindacalisti
Le mobilitazioni no green-pass, che dai porti hanno preso il via, hanno riportato il settore al centro del discorso pubblico, nonostante questo sia rimasto sempre assolutamente fondamentale nella gestione dei flussi commerciali
Questioni come l’ampliamento della darsena del porto livornese, l’intensificazione della Global Supply Chain e le mobilitazioni no green-pass, che proprio dagli scali sono partite, hanno riportato il settore al centro del discorso pubblico. Nonostante questo, quasi nulla si è indagato sulle condizioni di lavoro all’interno dei nodi portuali. Centrali nella gestione dei flussi commerciali degli ultimi anni, non a caso tali infrastrutture hanno assunto, durante la prima fase d’emergenza pandemica, un ruolo sempre più decisivo nella Global Supply Chain, confermando una dinamica di dipendenza da mercati internazionali per l’approvvigionamento di merci ritenute oggi giorno essenziali per la produzione e il consumo.
Foto da Wikipedia.
Quel che emerge è lo strapotere delle compagnie armatoriali, la cui dinamica di concorrenza ha effetti diretti su condizioni, organizzazione e sicurezza del lavoro. La spregiudicata rivalità tra questi grandi gruppi si sviluppa dapprima sotto forma di guerra commerciale fra trust e poi a cascata contro i lavoratori, con il risultato di dividere il già frastagliato mondo del lavoro in ulteriori lotte tra categorie.
Non da ultimo, il Ddl Concorrenza apre nuovi spiragli di ristrutturazione industriale nel settore portuale, concedendo ai grandi gruppi la possibilità di ampliare a dismisura il proprio dominio.
Ne parliamo qui con i lavoratori del porto e i sindacalisti USB di Livorno.
Le mobilitazioni no green-pass con epicentro nel porto di Trieste hanno portato alla mobilitazione anche in altri porti – di certo non con la stessa piattaforma, ma con una forte critica del dispositivo. Nella maggior parte dei casi il dibattito è stato monopolizzato da istanze regressive – attinenti alla sola rimozione del certificato vaccinale – senza mai prendere parola sullo stato della sanità pubblica o con la messa in discussione della propria condizione di lavoro Qual è la vostra posizione riguardo alla questione?
Intanto sì, il preambolo che hai fatto è abbastanza coerente con la nostra mobilitazione: per noi il green-pass è una delle tante questioni sul piatto, ma non abbiamo di fatto piattaforme unicamente sul certificato sanitario. Per noi la questione è scomoda poiché a livello sanitario non serve, anzi serve poi a tralasciare tutte le questioni vere, effettive. Ora sembra che con il green-pass vai a lavoro e sei a posto, è tutto risolto; quando invece le dinamiche e problematiche dei lavoratori rimangono tali e quali.
Foto da Flickr.
Dalla pandemia a oggi quanto sono cambiati e come, il carico e l’organizzazione del lavoro nel porto di Livorno?
Il cambiamento di carichi di lavoro non è legato alla pandemia ma all’ingresso degli armatori nel terminal. Gli armatori non hanno solo il monopolio del lavoro portuale ma si stanno comprando settori logistici, compagnie aeree e infrastrutture. Leggevo ieri che la Maersk ha comprato aerei e treni: sostanzialmente le compagnie armatoriali stanno comprando tutta la filiera, stanno andando nella direzione data dal modello Amazon, arrogandosi così il potere di imporre prezzi e contratti di lavoro, divenendo un soggetto unico nella filiera del mercato. Si sta andando in una direzione che è pericolosa.
Il discorso dell’aumento dei carichi di lavoro, noi lo abbiamo tastato da un po’ di tempo. Io lavoro da diciassette anni nel porto di Livorno: è tangibile che il processo inizia dalla legge sulla privatizzazione dei porti 84/1994, poiché la portualità è stato il primo settore strategico in Italia a essere privatizzato. Questo cambiamento ha portato a un congelamento delle condizioni lavorative per quanto riguarda la sicurezza: sono saltate tutta una serie di metodologie di lavoro e la conflittualità si è andata a porre dapprima tra i terminal locali – poi assorbiti dagli armatori. Costoro hanno aumentato esponenzialmente la produttività e di conseguenza i carichi di lavoro, tralasciando l’attuazione delle norme di sicurezza.
Le stesse autorità portuali, invece di essere un soggetto terzo che gestisce i porti, sono diventate dei soggetti che servono ad armatori e terminalisti per fare quello che vogliono. Si occupano solo di traffici, di rese, di acquisire linee. Ad esempio, a Livorno è stato depotenziato il servizio ispettivo; già i controlli erano pochi, ora ce ne sono ancor meno. Quindi sostanzialmente chi detta legge nell’ambito lavorativo portuale sono gli armatori, non di certo l’autorità portuali: trovano sempre nuove scappatoie per assecondare le loro esigenze. Di conseguenza ogni porto fa storia a sé poiché ognuno risponde al padrone di turno: Civitavecchia ha Msc Crociere, Genova ha Psa… Sono i grandi gruppi armatoriali che indicano la strada.
Chiaramente questi peggioramenti poi si sono riversati anche su tutta la parte logistica, che magari non si considera porti. C’è tutta una parte di lavori non gestita direttamente dai lavoratori portuali inquadrati col Ccnl Porti. Ci sono importanti segmenti che sono portati avanti da lavoratori non impiegati da società direttamente portuali [Art. 16: lavoratori in ambito portuale assunti da agenzie di lavoro con tipologie di contratto precario e non afferenti a pieno all’inquadramento di Ccnl Porti, seppur impiegati in operazioni portuali] che però fanno lavori di logistica portuale e anche loro hanno subito un arretramento – di cui avevano già avuto qualche avvisaglia precedentemente.
Foto da Flickr.
Ad esempio, per quel che concerne la Darsena Toscana – che è uno dei terminal più importanti del porto di Livorno, il quale poi dovrebbe essere sostituito dalla famosa Darsena Europa, dove sono stoccati i famosi terminal contenitori – i lavoratori sono alle prese con il rinnovo del contratto integrativo. L’ultima volta che ci sono andato a parlare hanno cominciato a modificare una serie di condizioni contrattuali, magari non ancora dal punto di vista economico – perché sotto quel profilo per chi se la passa meglio la parte economica è intaccata –, ma sicuramente per quel che riguarda il carico di lavoro, il numero di persone nelle squadre, la flessibilità, le pause, ecc. Queste questioni però poi si riversano a cascata sui lavoratori inquadrati con l’art. 16, che sono l’anello più debole della filiera. C’è chi deve fare i conti con soggetti appaltanti che fanno il bello e il cattivo tempo e le cose vanno ancora peggio per chi sta sotto: la logistica portuale, quelli che materialmente muovono i container dentro al porto, gli autisti impiegati da alcune ditte che fanno movimentazione auto dai terminal ai piazzali. Qui addirittura nell’ultimo anno abbiamo visto che hanno iniziato a utilizzare il Ccnl della vigilanza privata per fare questo lavoro.
Una delle richieste forti che abbiamo fatto come Usb è che all’interno del porto, nell’ambito portuale, l’unico contratto che deve essere utilizzato è il Ccnl unico dei porti e tutti coloro che lavorano nell’ambito circostante devono essere invece inquadrati con il Ccnl trasporti e logistica: non ci deve e non ci può essere l’utilizzo selvaggio di contratti nazionali che nulla hanno a che vedere col settore e generano un ribasso nelle condizioni di lavoro generale. Per esempio, anche a questi di Magagnini che contratti fanno? Magagnini è una società che gestisce il consorzio trasporti e ha in gestione la movimentazione all’interno dei porti: si occupano del trasporto dei container, della cellulosa e di tutto quello che si sposta nel porto. Loro hanno una concessione portuale e però non applicano il Ccnl Porti.
Questa è una giungla. Questi non attuano i contratti con cui sono inquadrati i lavoratori portuali, usano quello che viene chiamato 16bis: vengono così inquadrati con contratti di altra natura autotrasportatori impiegati comunque nel ciclo produttivo del porto.
Perché all’interno del Ccnl e di alcuni regolamenti delle autorità portuali, questi vengono indicati come servizi accessori, ma è solo un escamotage per usare contratti meno costosi. Loro fanno parte del ciclo di lavoro portuale perché il container che viene sbarcato dalla nave viene messo sul rimorchio, il camionista non fa altro che portarlo al terminal dove deve essere stoccato, non è che ritira la merce e la porta all’esterno del porto. Mi devono spiegare come mai il camionista che gira per sei ore all’interno del porto non è inquadrato con il Ccnl porti.
In riferimento a questo, nel nuovo Ddl Concorrenza è stata inserita una norma riguardante la possibilità per le compagnie terminaliste di acquisire più di una concessione per porto per svolgere la stessa mansione. Quali sono le possibili conseguenze?
L’accorpamento delle concessioni portuali che prima era vietato – poiché prima un terminalista poteva avere una sola concessione per tipologia di lavoro – oggi viene modificato e reso lecito grazie al Ddl Concorrenza. In pratica hanno messo nero su bianco quello che è stato fatto a Genova tra Psa ed altre società.
Le compagnie armatoriali vogliono arrivare a comprarsi i porti: si tratta un po’ di quella che è la linea dettata e vista al Pireo con la Cosco – che è l’unica in Europa ad aver comprato la maggioranza di quote dell’autorità portuale, non di qualche terminal. Essenzialmente il governo cinese, proprietario della Cosco, si è comprato l’autorità portuale di un paese estero e dirige i traffici di merci del porto. All’inizio, come spesso accade, sembrava fosse una buona cosa perché era arrivato il terzo operatore del mondo che porta navi e traffici, ma poi in realtà questi non lasciano nulla sul territorio, neanche le tasse all’autorità portuale. Questo purtroppo è il problema che c’è nell’ambito del globalismo attuale in qualsiasi settore, tant’è che, come si accennava precedentemente, le grandi compagnie stanno attuando una strategia di acquisizione di infrastrutture capaci di coprire tutta la filiera: dalla produzione fino al consumo.
Negli ultimi anni ci hanno ammazzato parlando di concorrenza, perché l’Europa vuole la concorrenza. Ora la domanda che ci poniamo è se questa concorrenza valga solo per noi lavoratori? Come Usb, davanti alla proposta di creare un pool di manodopera unico (come a Genova) e far sì che non ci siano divisioni e spezzettamenti del lavoro portuale in appalto, ci è stato risposto che per l rispetto della concorrenza questa cosa non si può fare. Evidentemente questa storia della concorrenza non vale per tutti, infatti poi il governo permette ai grossi terminalisti di creare progressivamente un monopolio. Ma perché allora era stata pensata quella regola? Proprio per evitare che un soggetto unico si potesse prendere tutte le concessioni. Invece, alla fine, hanno dato la possibilità di farlo comunque. Allora non si capisce come mai sarebbe per noi impossibile creare un pool unico di manodopera. Quindi noi rilanciamo l’idea di creare un unico soggetto del lavoro portuale che possa sostituire quello attuale, di modo che si possa ragionare anche di tariffe minime: perché poi va a finire che con la concorrenza spietata ci vanno a rimettere i lavoratori.
Foto di Massimiliano Canova da Flickr.
Le condizioni di lavoro e il monopolio delle compagnie terminaliste hanno comportato conseguenze per quel che riguarda la sicurezza?
È palese ormai che negli ultimi anni gli incidenti sul lavoro siano aumentati a dismisura, come purtroppo i morti. C’è stato un marittimo deceduto un mese e mezzo fa, mentre l’altra settimana un marittimo si è preso una legnata per fortuna senza conseguenze gravi. Qui tutte le settimane c’è qualcuno che si fa male, ad esempio ieri ne è cascato un altro, sempre per aumentare la velocità del lavoro: sostanzialmente le navi prima entrano, prima scaricano e caricano, prima se ne vanno e più l’armatore terminalista guadagna. Questo poi naturalmente incide su tutto. Il lavoratore morto un paio di mesi fa è morto perché si è staccata una fune mentre ormeggiava la nave. In quel momento ne passava un’altra che ha creato un moto ondoso e naturalmente la nave quando si muove rischia di strappare gli ormeggi.
L’altro caso invece è successo perché anche qui c’è un problema che quando le condizioni meteo non sono delle migliori, addirittura quando ci sono allerte meteo (e ci sono spesso) non si modifica l’ingresso e l’uscita delle navi o la lavorazione delle stesse, ma si continua imperterriti come se fosse una giornata di sole. Sì, magari arrivano i rimorchiatori che aggiustano il tiro verso la banchina però è impossibile che a qualcuno venga in mente di sospendere le operazioni.
Ci sono questioni di carattere ambientale che impattano sulla sicurezza dei lavoratori, qui ci passa di tutto: armi, armamenti, legname, prodotti che arrivano dall’estero che subiscono trattamenti chimici di fumigazione, abbastanza impattanti dal punto di vista ambientale. Tempo fa facemmo un esposto in procura su questa cosa: fu aperta un’indagine con la consulenza dell’Asl sull’analisi di veleni e fumiganti stoccati senza alcuna indicazione nei container e poi smaltiti senza le adeguate precauzioni. Quindi ci sarebbe bisogno di un’attività di monitoraggio costante che, a oggi, nonostante i continui proclami da parte delle organizzazioni sindacali confederali, continuiamo a non vedere.
La questione della sicurezza si estende anche alle zone di stoccaggio di gas naturale liquido e petrolchimico adiacenti al porto. Con il progetto della Darsena Europa iniziato con l’amministrazione Nogarin si è parlato anche della ricollocazione del sistema di stoccaggio dei combustibili lontano dal porto e dalla città: questo è un problema di sicurezza non indifferente. Due o tre anni fa sono morti due lavoratori impiegati nella pulizia di una cisterna che conteneva gas. Parliamo di cisterne che contengono migliaia e migliaia di litri di gas, petrolio… È stata una fortuna che non è scoppiato niente. Nel progetto iniziale, tutto questo settore di lavoro pericoloso veniva spostato in un braccio esterno al porto e veniva allontanato dalla città e dal resto. Poi c’è stata una discussione politica e che questo progetto era troppo costoso, che non serviva…
Tra i progetti di cui si parla molto in questi anni ha una sua rilevanza il progetto di costruzione della Darsena Europa. A che punto è il progetto? Quali sono le potenziali modifiche che comporterà all’interno del porto?
Il progetto Darsena Europa va visto sotto due fattori: adeguamento infrastrutturale e automatizzazione delle procedure di movimentazione merci. Il progetto è cruciale per la sopravvivenza del porto di Livorno in quanto tale, perché nell’ultimo periodo si sta espandendo il gigantismo navale.
C’è la necessità di eseguire lavori di adattamento per problemi di pescaggio delle banchine, di accessibilità delle navi e per quel che concerne gli spazi direttamente collegati al porto. Questo è legato tutto all’aumento di competitività, poiché senza questi lavori Livorno non reggerebbe il passo con altri porti. La questione assume ancor più rilevanza se viene considerato il porto di Livorno come nodo cruciale delle Autostrade del Mare.
Foto da Flickr.
Nel promuovere la Darsena Europa hanno dato dei numeri di aumento di lavoro determinati dall’arrivo di navi più grandi. Data la fase di gigantismo navale, i terminal si devono organizzare nelle scelte in ambito di organizzazione del lavoro, ma non dicano o cerchino di omettere che la direzione è quella dell’automazione, specialmente nel lavoro di movimentazione container. Anche lì a livello locale non c’è una discussione o un soggetto che prenda in carico la direzione che prenderà il progetto di Darsena Europa, l’unica cosa che si sa è che il progetto guarda al modello Rotterdam, ovvero di automatizzazione del processo di carico/scarico container.
Se si andrà nella direzione di un’automazione c’è allora la necessità di iniziare un’interlocuzione sulla conservazione di tutti i posti di lavoro e cercare di riqualificare il territorio. Se un domani ci fosse una direzione di automazione che si inizi a parlare di come riqualificare i lavoratori e cercare di impiegarli nella nuova forma di lavoro, anche mettendo sul piatto la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
Nel discorso Darsena Europa non viene nemmeno espressamente detto se, chi avrà le nuove concessioni – comunque si parla fra non meno di 10 anni – assorbirà i lavoratori del terminal. Si dice già oggi che la Darsena Toscana diventerà una banchina multi-purpose, quindi lì non si farà più il ciclo di lavori container. Però nella gara d’appalto che ci sarà non c’è una garanzia di trasferimento dei lavoratori che a oggi sono nel terminal container: non c’è scritto da nessuna parte se la nuova compagnia operativa che comprerà la Darsena Europa sarà obbligata ad assorbire i lavoratori della Darsena Toscana. Questo è un grosso punto interrogativo. Poi dei millantati posti di lavoro si vedrà quando sarà fatta ed entrerà in funzione.
Qual è la vostra posizione rispetto al transito di armi e armamenti all’interno del porto di Livorno?
Abbiamo iniziato anche noi a intraprendere un’attività di denuncia rispetto al traffico di armi nel porto di Livorno e siamo partiti con una serie di iniziative aperte al pubblico. Questa mobilitazione ha portato all’approvazione da parte del consiglio comunale di Livorno di una mozione, presentata da Buongiorno Livorno e Potere al Popolo e condivisa con lavoratori e Usb. Noi vorremmo che il nostro porto non fosse complice di questa filiera, che non abbia responsabilità nel commercio d’armi, soprattutto se destinate a teatri di guerra.
Facciamo questa distinzione per un motivo: da una parte ci sono alcuni traffici logistici, che non vanno bene comunque ma non sono traffici destinati direttamente in teatri di guerra, dall’altra ci sono traffici destinati direttamente a zone di guerra. Da qui a dire che, senza la movimentazione di armamenti, il porto di Livorno avrà una crisi legata a un eventuale calo di lavoro tale da causare ingente disoccupazione, ne passa di acqua. Ci sono tanti modi per specializzarsi in altre movimentazioni, non per forza bisogna lavorare per i signori della guerra, anzi ci si potrebbe specializzare su altri tipi di movimentazione, per quel che concerne gli aiuti umanitari, di infrastrutture e attività non legate alla guerra.
Foto da Wikipedia.
Il problema è che quando ci siamo mossi siamo stati attaccati perché in tanti dicevano che in questo modo si perde il lavoro. Sappiamo che è un tema non facile da affrontare in una città come Livorno, magari rispetto a quella che è la realtà di Genova, ma abbiamo deciso come Usb di prendere una posizione forte. In questa mozione si dice chiaramente che il Comune di Livorno deve evitare che qualsiasi strutture civile venga utilizzata in concessione per il trasporto e la movimentazione di armi, che ci sia un’attività di monitoraggio per quel che riguarda la sicurezza.
In questa mozione si parla della possibilità da parte dei lavoratori di esercitare il diritto di sciopero nel caso in cui ci sia movimentazione di armi, senza che vi possano essere ripercussioni da parte aziendale a riguardo; ci sono molti lavoratori che per una questione etica decidono di non lavorare quando ci sono movimentazioni di armamenti. In linea generale come Usb abbiamo una posizione simile a quella di Genova. Oltretutto, ci sono anche delle leggi che dovrebbero vietare questo meccanismo del traffico d’armi: si sa bene che non vengono rispettate, si sa bene che ci sono interessi enormi, si sa bene che abbiamo una delle basi logistiche americane più importanti d’Europa ad appena cento metri dal porto, per questo bisogna proseguire col lavoro d’informazione sui lavoratori portuali che fino a ora sono stati in qualche modo abituati a sottovalutare questo aspetto con la scusa che altrimenti si perde lavoro. Però se si perde da una parte, si può sempre guadagnare da un’altra.
Su questo c’è anche la questione del non sapere che tipo di carichi si movimentano. Quando passarono quei container con proiettili di precisione, se non fosse arrivata la segnalazione da parte delle associazioni di Genova, chi lo sapeva cosa ci sarebbe stato lì dentro? Il lavoratore che gestisce la movimentazione dal proprio ufficio forse magari lo avrebbe saputo, ma gli altri lavoratori non si possono mettere a controllare ogni singolo container. Questi molto spesso vengono movimentati senza che nemmeno i lavoratori lo sappiano, per questo nella mozione precedentemente citata si parli di un’attività di monitoraggio e pubblicazione anche di questi traffici nel porto.
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