ROMA
Il Pigneto non è un quartiere per vecchi…
Riceviamo e pubblichiamo una lettera che è una profonda riflessione sul Pigneto, tra narcotraffico, repressione e mobilitazioni […] , scritta a quattro mani da Giulio Calella (libreria Alegre) e Daniele Lauri (Caffè-libreria Lo Yeti), in questi mesi molto attivi nel quartiere contro il narcotraffico e la repressione indiscriminata.
Il Pigneto non è un quartiere per vecchi… ma neanche per bambini, donne, ragazzi, migranti.
Scippi, violenze, continue molestie, gerarchie mafiose e razziali, risse, rastrellamenti polizieschi. Se sei in cerca di erba, coca o ero non avrai problemi: il controllo mafioso, militare del territorio ti garantisce un rifornimento senza grandi problemi. Tutti gli altri devono sottostare alle modalità imposte da questa ignobile pacificazione.
L’agibilità sociale è sospesa per tutti coloro che sono estranei ai rapporti violenti e coercitivi che regolano l’equilibrio mafioso e che ha già lasciato vistose ferite nell’anima e nei corpi di chi l’ha messo in discussione.
La pacifica discesa in campo degli abitanti ha provato e prova a mettere in discussione tutto questo, cercando, in completa solitudine, di creare e ricucire spazi di discussione e confronto dove elaborare strategie per sottrarre il territorio al controllo malavitoso e alla becera repressione.
Il nostro contributo a questa lotta va proprio in questa direzione e cerca di trovare strumenti adeguati per opporsi anche agli speculatori delle paure, a coloro che soffiano sulle braci dell’intolleranza per proporre percorsi di esclusione e di xenofobia.
Ma per farlo è necessario “sporcarsi le mani”, confrontarsi attivamente con la pancia del territorio, ascoltando i disagi e le sofferenze e proponendo percorsi di lotta e resistenza condivisibili da tutte le vittime della brutalità mafioso-militare che regna incontrastata al Pigneto.
La situazione è difficile, contraddittoria, i buoni e i cattivi non sempre si vedono ad occhio nudo. Chi per strada a volte è protagonista di aggressioni e molestie è spesso, a sua volta, sfruttato dalle organizzazioni criminali che controllano il narcotraffico; a queste holding della droga, egli è consegnato per colpa di una legislazione che lo costringe ad essere “fuorilegge” se solo clandestino o inibito al lavoro se richiedente asilo.
Ma se di fronte a tali contraddizioni si tace o sene nega, addirittura, l’esistenza, non solo non si contribuisce in nessun modo a modificare la realtà, ma si diventa incomprensibili, dando spazio agli argomenti e alle pulsioni più reazionarie.
Noi ci siamo immersi nella discussione umile e paziente con gli abitanti, sui contenuti e le idee che emergevano dalla “piazza”. Laddove s’invocava inizialmente una bruta risposta repressiva verso gli “alieni”, abbiamo invece proposto di focalizzare l’attenzione verso chi (le istituzioni comunali) ha creato in questi anni un quartiere da consumare più che da vivere; abbiamo proposto e condiviso iniziative per la riappropriazione delle strade, rivendicazioni per l’attuazione di programmi di “riduzione del danno”, di mediazione sociale, di supporto ai migranti e, infine, per la legalizzazione delle sostanze.
In un territorio esasperato dallo spaccio, per la prima volta si parla di legalizzazione a livello di massa, partendo proprio dal tangibile disastro prodotto dal proibizionismo.
Siamo riusciti nelle assemblee pubbliche anche a denunciare l’inutilità e la crudeltà dei “rastrellamenti” indiscriminati, chiedendo di sostituire queste parate ciecamente repressive con un’attività “ispettiva” volta a individuare gli “speculatori criminali” della manovalanza dei pusher. E ci siamo riusciti proprio denunciando l’inefficacia delle attività sinora svolte dalle forze dell’ordine, sempre così solerti ed efficaci quando si tratta di reprimere le lotte sociali oppure a requisire le “pericolose” borsette contraffatte (come accade in questo quartiere nei confronti della comunità senegalese di via Campobasso, la quale invece ha partecipato in prima linea alle mobilitazioni del quartiere).
È vero: a volte nelle assemblee è stato trovato un compromesso con le posizioni di chi chiedeva, genericamente, più sicurezza ma che, tuttavia, esprimeva una necessità indotta da un’oppressione tangibile che si vive per le strade del Pigneto e che si concretizza con la sottrazione dell’agibilità sociale e l’immiserimento delle relazioni umane.
Nessun compromesso, invece, è stato cercato con chi sperava in moti popolari “stile Tor Sapienza”. Così, marginalizzato il tentativo di risposta violenta, abbiamo intrapreso un’intensa opera di sensibilizzazione partendo dalla distribuzione di “Rispetto” – un volantino multilingue che denunciava la coercizione mafiosa al Pigneto – ai ragazzi migranti, piazzati come pedine da trafficanti senza scrupoli presso gli angoli di spaccio; allo stesso modo, abbiamo prodotto un volantino antiproibizionista direttamente rivolto ai “consumatori” con finalità di consapevolezza e autotutela ma soprattutto destinato ad essere accolto e digerito dal senso comune di tutto il territorio nel suo intrinseco messaggio d’inclusione sociale.
Mentre in altri quartieri si organizzavano “ronde”, noi abbiamo cercato di accorciare la distanza tra le vittime, ingiustamente contrapposte, che subiscono la disumanizzazione in atto al Pigneto.
Sempre in quest’ottica va letta la realizzazione della mappa “il triangolo della vergogna“, criticata tanto dai negozianti preoccupati dalla cattiva pubblicità, quanto dagli “ortodossi” del movimento. Lungi dall’essere uno strumento di delazione, la mappa intende fotografare il fallimento delle politiche repressive, mettendo in evidenza un territorio in conflitto in cui gli angoli controllati militarmente dai trafficanti, si contrappongono agli inutili (e spesso dannosi) avamposti repressivi delle forze dell’ordine. La presentazione pubblica di questa mappa, insieme all’Associazione daSud, è stata l’occasione per discutere degli effetti concreti che mafiacapitale sta causando nel territorio.
Su questa mappa vengono evidenziati i luoghi dove si sono registrate vittime, o le overdosi, dove è evidente lo stato di abbandono ma anche dove si sono svolte manifestazioni, assemblee, blocchi stradali da parte degli abitanti.
Chi crede che in queste strade si possano sviluppare autonomamente forme di aggregazione e rapporti solidali tra gli emarginati e gli sfruttati, non ha fatto i conti con l’asservimento gerarchico in atto per la gestione dell’economia della droga.
La merce è unicamente di origine mafiosa e declina rapporti che fagocitano violentemente i più deboli
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Il controllo del territorio lo hanno conquistato i più arroganti, i più violenti, che non esitano a sacrificare i loro stessi fratelli e a predare chi non gode di opportune protezioni. Spiate, agguati, prevaricazioni, umiliazioni, marchette, punizioni, confidenze e corruzioni: questo è l’inferno quotidiano in cui sono precipitati i ragazzi in strada, stritolati dalla violenza del narcotraffico e quella ciecamente repressiva dello stato.
La mappa non fa altro che commentare criticamente una spartizione del territorio ad opera di questi poteri forti descrivendone l’effetto su angoli e strade ben noti a tutti quelli che abitano o frequentano il Pigneto (guardie comprese).
Accostare questa iniziativa ai rastrellamenti delle forze dell’ordine messi in atto al Pigneto (di cui invece la mappa ne segnala la tragica inutilità) non sarebbe solo un’ingiusta forzatura ma una pericolosa ottusità che rischierebbe di creare un’ulteriore artificiosa divisione manichea.
È già successo al Pigneto di scrivere sulla lavagna “i buoni e i cattivi” con il gessetto del “bravo antagonista”, col solo risultato di aver contribuito alla disgregazione di movimenti e territori e di allontanare la gran parte della popolazione da percorsi di impegno politico e sociale cui invece non sarebbe affatto aliena.
Ma per perseguire un percorso di condivisione è necessario agire in modo trasparente e non strumentale, soprattutto senza aggirare le contraddizioni che s’incontrano nel confronto con il territorio, ascoltando tutti con modestia e senza sentirsi i depositari di verità dogmatiche.
Per gli stessi motivi, oltre alla presenza coerente alle assemblee con gli altri abitanti, rivendichiamo con forza il ruolo svolto dal sito pigneto.it e dalla mailing list abitantidelpigneto@autistici.org.
Certo, scorrendo post e commenti, oltre a varie superficialità degli amministratori, si potranno trovare tante affermazioni di utenti che seguirebbero altri percorsi per noi non condivisibili (e, tuttavia, siamo convinti, che sia un bene che vengano fuori in quei contesti piuttosto che in altri).
Pensare di poter moderare dall’alto queste espressioni o peggio ancora semplicemente estrometterle, è il miglior regalo a quanti sperano di approfittare dell’esasperazione del Pigneto e delle altre periferie, per veicolare posizioni xenofobe e fasciste. Basta dare uno sguardo ad altri gruppi facebook (uno per tutti sei der pigneto se…) per capire quanto il pericolo di tali derive sia concreto se il confronto viene lasciato, con un mal riposto senso di coerenza, all’iniziativa altrui.
Su pigneto.it, sul gruppo facebook Il Pigneto non è spacciato, sulla mailing list degli abitanti ma, soprattutto in strada, si combatte ogni giorno una guerra a bassa intensità contro le scorciatoie reazionarie, gli slogan, devastanti in questi tempi di crisi, di paura e di egoismi, con cui le destre bombardano le persone. Sa bene chi ha esperienza di impegno politico o sociale, che messaggi populisti come, ad esempio, “prima gli italiani“, “non c’è abbastanza per noi, come faccio con gli altri” etc., in questi contesti vanno smontati pezzo per pezzo e disinnescati pazientemente.
Chi si prende l’onere di questo compito, anche se estraneo ai percorsi del movimento, va senz’altro supportato perché rappresenta un pezzo, seppure parziale, piccolo e limitato, di un contesto generale che deve opporsi in ogni ambito alla propaganda dell’intolleranza.
Sforzi in questa direzione, fatti dalle parti socialmente e politicamente più attive di questa città, sono auspicabili e urgenti: nell’attuale situazione di crisi economica, sociale e culturale, i rischi di perdere altri pezzi di città a vantaggio della destra xenofoba è evidente.
Anche per questo non possiamo e non ci interessa semplicemente arroccarci sull’Aventino dell’ortodossia, portare avanti discussioni e polemiche negli ambiti e nei contesti in cui dovrebbe già esserci un linguaggio comune ma, al contrario, sentiamo la necessità di far sentire la nostra voce soprattutto nei contesti più contraddittori.
Sono quelli dove passiamo più tempo, sono quelli dove viviamo e lavoriamo.