editoriale
Il nuovo nazionalismo tedesco. Note dal cuore della bestia
Dopo il braccio di ferro tra Eurogruppo e il governo di Syriza sul salvataggio del paese ellenico, una riflessione sul ruolo della Germania all’interno dell’Unione Europea.
“I don t see a critical popular mass there for anti-austerity struggles, but only passivity and racism out of fear”
(Margarita Tsomou)
Molte sono le domande sul ruolo che la Germania ha assunto in Europa, e non solo, in questa precisa congiuntura storica; tante le analogie, le allusioni e i paragoni storici, più o meno avventati, più o meno fondati, che circolano.
Un giornalista dello Spiegel, Augstein, qualche tempo fa ha scritto su Twitter: “Wir sind wieder die Deutschen, vor denen man uns immer gewarnt hat”, ossia “Siamo di nuovo i tedeschi, da cui ci hanno sempre messo in guardia”.
Dopo un rapida occhiata al presente non si può che dar ragione al giornalista liberale dello Spiegel. Peccato, però, che solo una parte assolutamente minoritaria della popolazione tedesca la pensi così. Men che mai – e ben lo hanno dimostrato nelle ultime settimane – il governo di Angela Merkel e Schäuble, le grandi imprese, il grosso del conservatorismo liberale tedesco, insieme ai cosiddetti socialdemocratici dell’SPD sembrano avere l’interesse o l’intenzione di riflettere sul proprio (recentissimo) passato storico e sulla responsabilità politica che in questo momento investe la Germania. Tralasciando poi i dettagli sull’apparato repressivo e poliziesco, rimesso a lucido per l’occasione, al fine di ricordare ai movimenti anticapitalisti e solidali con la Grecia da che parte sta la forza (del male, of course!).
Tirapiedi dello Stato tornano sempre alla ribalta, con una puntualità inquietante, a digrignare i denti: a Berlino in particolar modo hanno fatto di tutto per criminalizzare le proteste, per censurare le immagini di centinaia e centinaia di “OXI” sotto la porta di Brandenburgo, nel “cuore della Bestia”. Persino il partito dei Verdi (Bündnis 90/die Grünen) nei giorni del referendum greco invitava a votare “SI”. Siamo di fronte a una vera e propria guerra ideologica; questo vediamo ogni giorno e di questo saremo testimoni. Un intero sistema ha costruito una macchina di propaganda di massa per il “SI”, non c’è stato un giornale tra tutta la stampa tedesca – tolte forse le testate di sinistra NeuesDeutschland e JungeWelt – che ha riportato, anche solo per amor di cronaca, un punto di vista critico, che ha raccontato, per esempio, delle proteste che ci sono state in oltre 100 città tedesche. Prantl un giornalista del giornale Süddeutsche Zeitung criticava qualche giorno fa l’operato poco professionale del mass- media in Germania facendo notare che quasi tutti ripetevano la linea del governo o anticipavano una certa linea politica poi rappresentata da Schäuble, addirittura prima che lui o il governo comunicassero l’opzione Grexit.
Dati statistici anteriori al referendum parlavano di un 75% circa della popolazione d’accordo con la politica di Schäuble. Dopo la sua proposta di una Grexit temporanea, però, il clima in Germania sembrava leggermente mutato. Le critiche contro il Ministro dell’Economia si sono levate da più parti anche all’interno del Bundestag, dall’opposizione all’SPD, fino a Frau Merkel, a tal punto che, per un attimo, sono spuntati titoli di giornali che vociferavano di una possibile dimissione di Schäuble. Ma, il 17 luglio, come è noto, con una seduta straordinaria, il Parlamento ha votato a grande maggioranza il procedimento ricattatorio nei confronti della Grecia: di 598 deputati presenti 439 hanno votato ‘Si’, 119 ‘No’, 40 si sono astenuti. Qualche ‘No’ nel Bundestag veniva anche dal partito della Merkel & Schäuble, la CD, a indicare qualche minimo segno di rottura nella classe dirigente tedesca.
Intanto i manifestanti sotto il Bundestag venivano arrestati e trascinati via, perché si erano permessi di portare uno striscione con su scritto “NO” nella zona rossa del Parlamento, dove non si può neanche richiedere l’autorizzazione a manifestare durante le sedute. Di questo, ovviamente, tutti i media mainstream tedeschi non hanno parlato. Solo qualche testata straniera, tra cui la stessa BBC, si è mostrata interessata a raccontare quello che stava accadendo non solo dentro il Bundestag, ma anche fuori.
Tutto ciò in un contesto in cui, in particolar modo nell’Est, ma anche a Ovest, crescono sentimenti xenofobi e razzisti, in cui nuove destre e neonazisti stanno trovando terreno fertile per ingrossare le proprie fila: si ripetono ormai quasi ogni giorno in tutto il paese aggressioni violente nei confronti dei rifugiati, incendi delle loro abitazioni o delle strutture che li accolgono. Anche questa è la Germania oggi, questi i fatti materiali accaduti e che accadono ogni giorno. Per analizzare il razzismo nel paese e un ‘nuovo’ nazionalismo tedesco serve analizzare bene le radici di queste pulsioni nella popolazione. Non è un caso, ad esempio, che la maggioranza tedesca sia contraria ad un Grexit. Anzi grande parte dei tedesch* vuole dare altro sostegno alla Grecia purché l’intero processo rimanga sotto un certo comando tedesco. I tedeschi si presentano come grandi donatori per la Grecia e vogliono che rimanga nell’Unione Europea. Però non si fidano della Grecia, non si fidano di Tsipras e sopratutto non si fidano della popolazione che votava ‘OXI – No’ al Referendum. Nasce qua un nuovo punto di nazionalismo, che non è esplicitamente aggressivo. La maggioranza dei tedeschi vuole aiutare la Grecia ma sotto il controllo tedesco che può essere in grado di risolvere la situazione. Più di 5 anni di propaganda sporca contro i ‘greci che non lavorano’ ‘il Greco fallito’ (‘Pleitegriechen’) hanno lasciato delle tracce profonde nell’immaginario collettivo, creando l’idea che solo a partire dall’egemonia tedesca l’Europa possa funzionare.
Gli ultimi sondaggi danno Schäuble al secondo o terzo posto nel essere il politico preferito della popolazione con ~ 70 % (una buona base per i/le compagn@ per essere disperati/e). La maggior parte della popolazione tedesca sta dietro la politica del governo.
Più complessivamente, sul piano della costruzione di discorso, la retorica dell’ordoliberalismo sembra essere quella di provare a “normalizzare” la pratica di estorsione e strozzinaggio, come pratica di gestione della crisi, una crisi che ormai si mostra nella veste di una lotta all’ultimo sangue per salvare un sistema che, palesemente, non funziona più. Il discorso mediatico vigente cerca di presentare tutto ciò come business as usual. Dall’altra parte c’è chi pensa che questi ultimi giorni entreranno nei libri di storia: come giorni di un nuovo inizio o della definitiva catastrofe.
Ma come saranno raccontati dipende anche dalla capacità dei movimenti di lavorare per costruire un’opposizione radicale e di massa, in Germania così come negli altri paesi della maledetta Unione Europea e non solo. Cosa questa assolutamente non facile e scontata, visto l’isolamento politico-istituzionale e mediatico: basti pensare al silenzio triste e umiliante che impera nel partito della Die.Linke, da cui ci si aspettava almeno una presa di parola chiara. C’è chi all’interno prova a smuovere e dire qualcosa, ma l’incapacità generale di mobilitare la base del partito lascia sgomenti. L’argomento è troppo distante dai loro elettori (…), dicono. Così mantengono i propri discorsi sul piano delle lotte da scrivania o di salotti/assemblee per soli „intellettuali“ di partito. Con questa attitudine, neanche riescono ad avvicinarsi allo “Standort Deutschland”, alla fortezza nazionale tedesca. Non meno assordante è stato il silenzio dei sindacati. In altre parole, le manifestazioni, i presidi, le assemblee pubbliche che abbiamo visto in questi giorni non ci sarebbero stati senza i movimenti anticapitalisti ed extraparlamentari.
E fa ridere (una risata molto amara, s’intende) chi si pone da qui – luogo d’osservazione privilegiato in tutti i sensi – come unico problema e dall’alto della propria purezza antagonista, quello di giudicare Tsipras e Syriza, di decidere se siano dei traditori del popolo o meno. Se pollice in su o in giù deve essere, allora deve esserlo per tutti noi anche (tralasciando per un secondo la gogna che andrebbe riservata – privilegium! – alla sola socialdemocrazia europea): per tutti i movimenti e le voci critiche che, oltre la Grecia, non sono stati capaci di imporsi come senso comune, di fare breccia nella società e di costruire forme di resistenza, tanto radicali quanto maggioritarie, al livello internazionale contro questa Europa. Insieme a piazza Syntagma, in questo momento, mille altre piazze europee dovrebbero bruciare. È evidente che la Grecia da sola, totalmente isolata sul tavolo delle “trattative”, non poteva e non può rovesciare i rapporti di forza. Poi certo si potrebbe continuare a discutere della tattica-Tsipras e di quella-Varoufakis, di quale gioco delle carte sarebbe stato migliore, se Tsipras non avrebbe fatto meglio a dimettersi piuttosto che approvare lui un terzo memorandum… Tutto vero, ma al momento ci sembra di sottovalutarci troppo se ci attribuiamo il mero un ruolo di giudici, che seduti dietro al tavolo alzano le palette coi voti sulle vicende e sui loro protagonisti.
È forse più interessante e politicamente urgente riflettere sul conflitto che, grazie non solo a Syriza, ma a un movimento di massa che da almeno sette anni è nelle strade, si è riaperto a livello istituzionale europeo, svelando la vera natura di questa guerra: una guerra agita non solo contro la Grecia, ma contro tutti noi, contro le nostre vite e i nostri modi di esistere, contro l’idea che a tutto ciò possa esserci un’alternativa. In altre parole, siamo di fronte a una vera e propria guerra di classe. Schiacciare e umiliare l’“OXI” alle politiche di austerità espresso da una società intera, vuol dire soffocare e dare una “lezione esemplare” a tutti coloro che non accettano questo stato di cose. La questione dirimente diviene allora capire non solo, o non tanto, come si possa esprimere un livello di solidarietà forte nei confronti della Grecia, ma come, all’interno dell’Europa tutta, i rapporti di forza possano essere rovesciati, come la lotta di classe possa essere nuovamente agita non solo “dall’alto”, ma anche “dal basso”. Come si torna, cioè, ad avere nuovamente un “potere di minaccia” nei confronti dei padroni, delle istituzioni finanziarie, della Troika e dei “falchi tedeschi”? A maggior ragione di fronte ai nuovi nazionalismi e alle nuove destre che avanzano.
E ci si pone queste domande da un punto di vista affatto particolare: dalla capitale tedesca, un tempo nota come “isola” all’interno della DDR, dove Berlino-ovest era il centro dell’opposizione e della dissidenza politica. Quella storia è andata ormai avanti e si è trasformata con tutte le sue contraddizioni: capitale “multikulti”, attraversata, se non dominata, da forme di vita alternative, messe esse stesse a valore dal capitalismo. Babele linguistica dove spesso il posizionamento politico diventa solo un “brand”, una moda, che il più delle volte rifugge l’organizzazione politica. Capitale, forse tra le ultime in tutta Europa, dove la qualità della vita, nonostante i meccanismi perversi del Welfarestate (o Workfare che dir si voglia), è ancora molto alta. Eppure nei bar, nei caffè, nei posti di lavoro, nelle università si parla della Grecia, in maniera più o meno approfondita, ma se ne parla. E iniziano a circolare forme di rabbia diffusa nei confronti dell’attuale governo tedesco, così come nei confronti dell’SPD e dei GRÜNE. Non casualmente, proprio in questo momento, l’aggettivo “antideutsch”, “antitedesco”, aggettivo carico di storia per i movimenti tedeschi, sta trovando una nuova rinascita. Osservando bene la storia recente di questo paese vediamo che dopo la caduta del muro e la ‘Riunificazione’ della Germania, il paese è stato un laboratorio speciale per ricostruire un certo potere neoliberale sulla scala europea e globale con nuove strategie di bio- poitica per incentivare un forte individualismo. Lo stesso sistema di ‘Treuhand’ che era usato per organizzare la liquidazione della Germania Est viene usato per svendere adesso terreni e forze di lavoro greci. Dopo 1989/90 molte battaglie politiche, antifasciste e antirazziste finivano in discorsi paralizzanti.I cosidetti ‘antideutsch’ rifiutavano ogni espressione di movimento dicendo che in questo paese ogni movimento di massa ha un potenziale autoritario perché nella storia tedesca è iscritto un autoritarismo e un attitudine imperialista. Negli anni 2000′ si sono dati conflitti sporchi e faticosi dentro il movimento, per provare a rompere la gabbia auto-referenziale del sentimento anti-tedesco . Da quando viviamo la crisi e da quando stiamo osservando la politica del governo tedesco e i mass- media in questo paese, stanno rinascendo sentimenti di rabbia contro la Germania in generale dentro il movimento. “Germany you are a piece of shit” era scritto su uno striscione il corteo del 03.07.2015, striscione prontamente confiscato dalla Polizia. Si può riflettere sulla dubbia utilità di questo slogan per allargare la base dei manifestanti, ma allo stesso tempo esprime un sentimento forte che hanno tanti compagn* in questo periodo. Le lotte antifasciste qua sono sempre molto connesse con un certo lavoro di memoria spinto dal movimento. Nella conferenza di Londra sui debiti della seconda guerra mondiale (1953) la Grecia dava più tempo alla Germania Ovest (BRD) per pagare il suo debito del Nazi- Terrore. Questo debito non è mai stato pagato. I colpevoli dei massacri di Cervarolo, St. Anna, Mazzabotto in Italia o Distomo in Grecia, vivono ancora tranquillamente in Germania anche se sono condannati in altri paesi. Il dibattito sui debiti è ampio e per i movimenti è importante insistere sul fatto che questi debiti non sono i debiti di una società civile ma debiti fatti da un sistema di banche, di usura e sfruttamento. Adesso che la Germania che porta il più grande debito storico nel terreno Europeo (cosi grande da non potersi neanche valutare in moneta) va a ricattare la Grecia in un modo aggressivo e autoritario, rinasce il vecchio slogan “Mai più la Germania” (“Nie wieder Deutschland”). Le forze extraparlamentari anticapitaliste cercano di riunire coloro che sono contro e parallelamente devono mantenere le pratiche consolidate nel movimento antifa, ad esempio per rispondere alle aggressioni nazifasciste in confronto agli rifugiati. Di sicuro dopo l’estate i movimenti non solo tedeschi devono decidere insieme come continuare. Il dibattito dei giorni di resistenza contro L’Europa di Austerity e per la solidarietà e verso il 1.maggio a Berlino 2016 possono essere luoghi di questa discussione.