ITALIA
Il no alla base militare a Coltano è un no alla guerra
Oggi è stato chiamato un presidio davanti al consiglio comunale di Coltano per fermare la costruzione della base militare all’interno del parco di San Rossore. Il progetto interessa 70 etteri e prevede di cementificarne 40 di questi
Si è diffusa da circa un mese la notizia dell’intenzione da parte dello Stato di costruire una base militare dei carabinieri nell’area di Coltano, frazione nel comune di Pisa e dentro i confini del parco regionale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli.
A essere ospitati in quest’ area sarebbero i reparti d’eccellenza dell’arma dei carabinieri, come il reparto paracadutisti “Tuscania” e l’unità cinofila.
Tale base, dal costo di 190 milioni di euro del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2021-2027, occuperebbe un’area di circa 70 ettari, prevedendo l’abbattimento di 937 alberi e un consumo di suolo pari a 440mila metri cubi di cemento.
Il progetto infatti prevede una pista di atterraggio per elicotteri, due poligoni di tiro, edifici quali caserme, centri di addestramento, laboratori, magazzini, palestre, infermeria, mensa, officine, autolavaggio, 18 villette a schiera e piscine.
La comunità tutta si è immediatamente dimostrata contraria a tale progetto dal momento in cui il piano è stato svelato da “Una Città in Comune”, lista civica presente nel consiglio comunale di Pisa. Da quando il progetto è stato reso pubblico, la notizia ha avuto enorme risonanza in tutto il territorio nazionale.
Molte testate giornalistiche hanno messo in luce le palesi criticità, per lo più connesse alla localizzazione della base in un parco naturale.
Il presidente della regione a nome Partito Democratico, Eugenio Giani, non si è dimostrato contrario alla costruzione di una base militare, azzardando la contro proposta di “Ospedaletto”, area periferica di Pisa a pochi chilometri dal Parco.
Tuttavia, gli stessi Carabinieri hanno risposto che quell’area non soddisfa i criteri minimi per la costruzione della base, che dovrà necessariamente mantenere le stesse dimensioni.
Giani ha giustificato l’esigenza di tale base militare dato il momento storico attuale e il contesto di guerra in cui stiamo vivendo, come se non sapesse che il progetto di costruzione, con le firme del ministro della difesa Guerini e del presidente del consiglio Mario Draghi, giace nei cassetti della sua scrivania da più di un anno.
Infatti, già il 23 dicembre 2019 la Camera dei deputati impegnava il governo con un Odg firmato da Rizzo (M5S), Presidente della Commissione IV Difesa della Camera, a valutare la destinazione delle risorse necessarie alla costruzione della base.
Questo è chiaro dalle frasi contenute nel testo del documento e in quei giorni battute anche dalle agenzie di stampa: «è stata individuata un’area adiacente al perimetro della base USA di «Camp Darby» che, per la sua collocazione geografica (vicinanza all’aeroporto di Pisa e alle aree addestrative del CISAM) e per la sua estensione, appare idonea ad ospitare i due reparti».
La base militare decisa dal governo beneficerà della possibilità di servirsi di procedure semplificate per la costruzione di “opere destinate alla difesa nazionale” mentre la Valutazione di Impatto Ambientale sarà affidata a un Commissario Straordinario «al fine di consentire ulteriori rilevanti strumenti di semplificazione procedurale».
Il greenwashing è fortemente presente nella narrazione delle istituzioni: durante l’inchiesta parlamentare tenutasi il 22 aprile, Rossano Sasso, sottosegretario al Ministero dell’Istruzione (Lega), ha sostenuto che sarà «a impatto zero, green, senza emissioni e questo grazie alla presenza di pannelli fotovoltaici nelle superfici esposte delle costruzioni, per la presenza di un orto botanico e per la piantumazione di specie autoctone».
Purtroppo, il suolo non viene spesso considerato come una risorsa da preservare e conservare. Si tende a pensare che la compensazione più rilevante riguardi l’uso di fonti rinnovabili per l’approvvigionamento energetico.
Il suolo in condizioni naturali fornisce servizi ecosistemici fondamentali: di approvvigionamento (prodotti alimentari in questo caso, essendo i campi di Coltano coltivati), di regolazione (correzione del clima, cattura e stoccaggio del carbonio, controllo dell’erosione e dei nutrienti, regolazione della qualità dell’acqua, protezione e mitigazione dei fenomeni idrologici estremi); servizi di supporto (supporto fisico, decomposizione e mineralizzazione di materia organica, habitat delle specie, conservazione della biodiversità).
Cementificare più di 40 su 70 ettari di suolo è tutto fuorché “green”, così come non possono essere “green” le operazioni ed esercitazioni che verranno svolte nella/dalle base, mentre sono inquantificabili i danni ecologici e climatici che le missioni militari – da inserire in un quadro logistico più ampio – possono produrre nei paesi in guerra. La guerra ha un enorme costo ambientale.
È necessaria a nostro parere un’ulteriore riflessione, per non lasciarci ingannare quando pensiamo al Parco, questo in specifico con le sue particolarità.
Che cos’è oggi un Parco? Quando ci diranno che quelle aree destinate all’agricoltura sono abbandonate e da riqualificare, non potremo controbattere con le immagini idilliache del Parco a cui siamo abituatə a pensare.
La tenuta di Coltano non è affatto il luogo idilliaco che ci immaginiamo. I terreni su cui sorgerebbe la base sono stati definiti dalle istituzioni come “abbandonati”, quindi da sottoporre a rivalutazione. Tali zone, ai margini dei confini del parco, sono state sacrificate da anni, ed ormai oggi rappresentano, in alcune parti, anche una discarica a cielo aperto, con accumuli di scarti delle aziende di costruzione e la presenza di vecchie strutture in eternit.
A differenza della rappresentazione riscontrata nei media, che affiancano alla notizia della base militare immagini di pinete (presenti in altre tenute del parco) e di scenari edenici, Coltano risulta oggi come una porzione sacrificata.
Ciò suscita delle domande che estendono la vertenza rispetto alla semplice profanazione di un parco: com’è possibile che all’interno di un parco regionale esistano territori sacrificati?
La marginalità a cui le politiche pubbliche hanno condannato alcuni territori, anche all’interno di aree protette, come quella di Coltano, sembra rappresentare la giustificazione per future decisioni che vanno a infliggere un’ulteriore condanna di sacrificabilità a quelle comunità, di asservimento a piani di riqualifica finalizzati ad alimentare quello stesso sistema malato che li ha schiacciati.
Non è difficile immaginarci uno scenario diverso, dove quei 190 milioni di euro possano essere uno strumento di rinascita e reale riqualificazione proprio di quella tenuta, oggi così oggetto di attenzione, per ristabilire fragili equilibri ecosistemici che sarebbero in grado di fornire benefici alla comunità tutta; per la messa in sicurezza di abitazioni fatiscenti che si trovano alla periferia di città vetrine, cieche di fronte ai bisogni dei non privilegiati; per incrementare i fondi di una sanità oramai allo stremo.
È in questi settori, e nella transizione ecologica, che i fondi pubblici andrebbero devoluti. Sarebbero innumerevoli le alternative che realmente porterebbero beneficio: di certo, la base non rientra tra queste.
Aggiungiamo infine che la base verrebbe costruita in un parco già fortemente militarizzato, data l’imponente presenza di Camp Darby (2000 ettari), che nel 2017 è stata collegata con una ferrovia costruita ad hoc dentro il parco verso il porto di Livorno, per la logistica bellica e il trasporto di armi, nonché per la presenza al suo interno di due poligoni di tiro, del Centro addestramento incursori del Reggimento di assalto COL MOSCHIN e del Comando delle forze speciali dell’Esercito COMFOSE, recentemente costruito con una spesa di 42 milioni di euro.
La scelta di Coltano come luogo in cui costruire una base conferma l’oramai evidente intenzione di rendere Pisa un hub militare con un ruolo chiave nella strategia bellica globale. Il tema della sicurezza, sotto questo punto di vista, risulta sicuramente come uno dei più strumentalizzati.
A differenza dalla narrazione portata avanti da Giani e le istituzioni, non è “sicuro” costruire e/o implementare basi militari durante un periodo di guerra, poiché queste stesse zone potrebbero risultare degli obiettivi bellici. Allo stesso modo, non è sicuro permettere che lavoratorə dell’aeroporto civile di Pisa debbano caricare a loro insaputa delle armi e materiali esplosivi in un aereo diretto in Polonia (destinato, in teoria, a fornire aiuti umanitari) com’è successo il 14 marzo scorso.
A tutto ciò la comunità coltanese, pisana e non, ha risposto partecipando a un’assemblea pubblica il 19 aprile e una successiva il 22 aprile al circolo Arci di Coltano, che hanno visto la presenza di centinaia di persone: insieme alla comunità di Coltano, alle forze politiche locali e ad alcuni imprenditori agricoli del territorio, a cui verranno direttamente sottratti degli ettari dalle loro proprietà, hanno preso parte numerose realtà cittadine, dalla rete Insorgiamo con i lavoratori GKN al movimento transfemminista Non Una di Meno, dai comitati di lotta per il diritto alla casa ad attivistə per la giustizia climatica, il cui contributo sarà sempre più vitale nei prossimi passi di questo processo.
Nonostante l’eterogeneità dell’assemblea, è emersa in maniera spontanea e unanime una netta posizione di rifiuto della base che non accetteremo né qui né altrove. Non c’è nessuna contrattazione nella nostra dialettica: il peccato originale di tale piano sta nella base stessa, sommato alla cementificazione di suolo a scopo militare, e tutto questo finanziato con dei fondi pubblici.
È per questa ragione che gli abitanti di Coltano saranno di certo i primi a prendere parola in difesa del proprio territorio, vissuto e lavorato da generazioni, ma è anche evidente che quando parliamo di 70 ettari di terra – che si trovino nel Parco o in qualunque altra area – non possiamo pensare che sarà solo una frazione ad essere colpita, o l’unica che sarà capace di decifrare l’impatto devastante che questa base avrà per tuttə noi.
Per prima cosa la megapista di atterraggio, che ci si aspetta vedrà volare decine di elicotteri quotidianamente responsabili di un inquinamento acustico e non – incalcolabile, colpirà e danneggerà cittadini e cittadine che non vivono solo nelle zone di Coltano senza contare fauna e flora locale. Inoltre, una base militare all’interno di un parco naturale finanziata attraverso il Fondo per lo sviluppo e la coesione 2021-202, rende l’idea dello scherno che siamo costrettə a subire dalle istituzioni.
Nonostante la sollevazione degli abitanti, le criticità poste da alcuni partiti, l’attenzione mediatica data alle voci contrarie e il No del Parco di San Rossore, il governo non sembra dar segno di minimo ripensamento, in risposta all’interrogazione parlamentare avvenuta venerdì 22 aprile, preferendo tirar dritto per la propria strada come se il territorio fosse solo un pezzo di carta bianco su cui tracciare dei confini e imporre legge cancellando le vite di chi lo abita.
Come se le comunità e la loro presa di parola fosse solo un noioso intoppo, un fastidio al quale si può far fronte tappandosi occhi e orecchie e procedendo, come se la loro guerra non si potesse discutere, ma solo entusiasticamente sostenere.
Proprio per questo intreccio di ragioni quella della base a Coltano è una vicenda che riguarda tuttə: chi abita in quelle zone, chi lotta per l’ambiente, i giovani e le generazioni future.
Non c’è nessuna ragione legittima per cementificare ulteriormente la nostra terra, quellə che verranno dopo di noi saranno direttamente coinvolti con le conseguenze di questa base.
Ci siamo inoltre chiestə che impatto abbia una base militare in uno scenario di guerra: non ci riferiamo solo a quello ambientale o economico ma a quello più letteralmente umano.
Quante armi, morte e devastazione passeranno per questa base? Abbiamo di fronte a noi un’amarissima responsabilità e occasione politica: “qua non sfonderanno”, né qua né altrove, non possiamo permettere la costruzione di luoghi di morte.
Rispetto alle mobilitazioni e prospettive future vedremo nascere un movimento dal basso in difesa del proprio territorio, contro la militarizzazione e la devastazione ambientale che pratica pacifismo radicale.
Questa battaglia la vogliamo vincere e lo faremo riuscendo a superare le divergenze e i molteplici posizionamenti politici, ma senza dimenticarci da dove veniamo. Farà parte della sfida convergere.
Il 26 aprile durante il consiglio comunale saremo in piazza XX Settembre per esigere una posizione chiara e trasparente da tutte le forze politiche coinvolte.
Il 4 maggio chiediamo che venga riportata con forza la contrarietà di tutta la comunità al tavolo regionale che si terrà a Firenze con il Ministero della difesa, l’Arma dei Carabinieri e la Regione Toscana
Il 2 giugno insorgeremo con un corteo nazionale nella giornata della festa della Repubblica per dire no alla base e alla militarizzazione per noi, per tuttə, per le generazioni future.
No alla base, né a Coltano né altrove.
Immagine di copertina da pagine facebook di una città in comune – Pisa