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MONDO

Il mondo a testa in giù. Note sulla giornata dell’orgoglio antifascista in Argentina

Immagini e sensazioni del corteo di sabato 1 febbraio 2025 a Buenos Aires, giornata contro le dichiarazioni e le politiche del governo Milei in tutto il paese: una protesta moltitudinaria che assomigliava più a uno sciopero sociale che a una rivendicazione di settore

Un uomo corpulento con la faccia di chi ha pochi amici indossa un tutù variopinto, un giovane agghindato con una maglietta vivace tiene un cartello che recita «I fr*ci per strada, i fascisti nell’armadio», un coro di ragazze militanti canta da un camion in movimento «Molto sesso gay, vattene Milei», una donna trans ride insieme a un travestito d’altri tempi… da ogni parte eterosessuali, omosessuali, persone non binarie e travestitə si confondono e si mescolano con il calore restituito dal cemento, dai fumi dei barbecue, dalle percussioni e dagli interventi accesi.

Si respira aria di festa e desiderio di lotta, supporto affettivo e una coscienza civica incrinata che ritrova la chiave per rinsaldarsi. Commuove l’integrità di alcuni corpi fragili, la voglia di mostrarsi nella moltitudine a prescindere dal dolore, il coraggio con la paura sulle spalle. Non siamo di fronte a una nuova morale del debole e alla sua conseguente vittimizzazione, quanto piuttosto davanti alla possibilità di annodare fragilità e potenza a partire da vite e pratiche concrete.

Immagini e sensazioni del corteo di sabato 1 febbraio, un’innovazione dei collettivi minoritari che assomigliava più a uno sciopero sociale che a una rivendicazione di settore. Le questioni più ideologicamente complesse e la retorica solenne che non poche volte prendono d’assalto i discorsi militanti hanno lasciato posto all’umore acido, alla catarsi fisica, alle forme della politica di strada, ai canti popolari, tutto in un’atmosfera amicale, permeabile a complicità inattese. L’imprescindibile richiesta per maggiori diritti e politiche pubbliche è rimasta in secondo piano rispetto alla condizione pubblica di fatto, alle parole, alla dissidenza di genere, alla performatività dei corpi. È stato chiaro che non si trattava di una questione a “porte chiuse” e che ha detto quello che ha detto dove lo ha detto e dal luogo istituzionale in cui lo ha detto (a prescindere da quanto insinuato da alcuni liberali colpevoli e omosessuali collaborazionisti che leccano i piedi a Milei) [in riferimento alle dichiarazioni di Milei che nega di aver mai associato l’omosessualità alla pedofilia durante il suo discorso al forum economico di Davos – ndt].

Corpi e ancora corpi, in una città come Buenos Aires  diventata piatta e conservatrice, con la sua modernità di plastica, l’oscenità dell’affarismo immobiliare e la violenza istituzionale e parapoliziesca contro le vite che si vivono ai margini. Una moltitudine che si è mobilitata in una data avversa, in piene vacanze, a inizio mese e, tanto per concludere la giornata, in un sabato soleggiato ideale per il riposo e il divertimento.

Il corteo dell’Orgoglio Antifascista e Antirazzista LGBTQI+ è stato preceduto sabato 25 gennaio da un’assemblea moltitudinaria nel Parco Lezama, molto vicino al quartiere di La Boca, da dove a fine settembre 2024, curiosamente e con una partecipazione minore, Milei aveva lanciato il proprio partito a livello nazionale. Al di là dal definire il governo fascista o protofascista, il significante “antifascista” rappresenta una novità nella sua articolazione con l’antirazzismo e con i movimenti transfemministi, dissidenti, ecc. L’Argentina non ha una tradizione antifascista costante che possa dirsi tale, ma in ogni caso è possibile identificare momenti importanti come il ripudio dell’atto nazista del Luna Park del 1938 , accerchiato dal basso, dalle manifestazioni represse dalla polizia e, dall’alto, dall’azione delle organizzazioni operaie e di diversi settori della politica che si espressero attraverso la Commissione Investigativa delle Attività Antiargentine nella Camera dei Deputati [commissione parlamentare che si occupava di indagare e combattere l’infiltrazione di ideologie estremiste all’interno del paese, attiva dal 1941 fino al colpo di stato di Perón del 1943 – ndt]. Il carattere antifascista delle lotte in Argentina ha adottato il nome delle organizzazioni a difesa dei Diritti Umani attive tra gli albori della Tripla A (Alleanza Anticomunista Argentina) e la dittatura dei desaparecidos, Madres de Plaza de Mayo in testa. Anche nel decennio degli anni ’80 nascono spazi anarchici con questa postura e ultimamente all’interno e all’esterno del movimento femminista ci sono gruppi che rilanciano pratiche e idee antifasciste.

Però è possibile vedere nel nome scelto per la manifestazione una risposta a un attacco di carattere globale. Si tratta della volontà di voler entrare in dialogo con i movimenti antifascisti a livello internazionale? Al di là dei meccanismi messi in campo dalle organizzazioni per trovare il tipo di risposta, il corteo è stato di interesse pubblico a livello mondiale (forse questo spiega la bassa presenza della polizia, tenendo conto del carattere repressivo di un governo che ha come Ministra della Sicurezza Patricia Bullrich, responsabile delle forze di sicurezza che, tra i tanti, hanno fatto sparire e assassinato l’attivista Santiago Maldonado [scomparso nel 2017 durante una manifestazione contro la Benetton e trovato morto due mesi dopo – ndt] e ucciso a colpi di arma da fuoco Rafael Nahuel [ragazzo mapuche ucciso il 25 novembre 2017 durante un’operazione di sgombero nella comunità di Lafken Winkul, vicino Bariloche – ndt].

L’agenda ha dimostrato elasticità e trasversalità, passando dalla dissidenza di genere alla lotta dei migranti all’empatia verso il popolo palestinese. Però, fondamentalmente, si è trattato di una trasversalità di espressioni e di attori che è riuscita anche a raccogliere settori più tradizionali del sindacalismo e della politica, giornalistə, artistə e gruppi autonomi.

Oltre a rappresentare una risposta a un governo che attacca verbalmente dal pulpito statale, reprime attraverso una polizia con sempre più poteri e smantella le politiche pubbliche direttamente collegate agli spazi che hanno convocato il corteo, l’azione si estende anche alle istanze più domestiche. Si tratta di un altro livello di conflitto che si osserva sulle tavole delle famiglie, nei negozi e nelle strade: il rifiuto delle agende identificate come “progressiste”, la riaffermazione dell’individuo proprietario come orizzonte di significato, l’antiperonismo viscerale che non demorde e il cinismo antipolitico che delega alla destra la gestione di ciò che è comune, stati d’animo inclusi.

Per questo, la domanda non è solamente chi e quanti sostengono Milei, da dove nasce un’alta percentuale di adesione; ma piuttosto, a partire da dove lo si sostiene, ovvero quali forze, flussi di coscienza e desideri incarna o mobilita?

È una vera sfida disarmare, o perlomeno neutralizzare, il repertorio di pregiudizi di chi, dall’altra parte, si lamenta delle proprie condizioni di vita, però non associa questo malessere alla modalità con cui sono organizzate le società contemporanee e tendono persino a empatizzare con le posizioni padronali quando gli vengono chiesti dei sacrifici. Un vero modello di obbedienza che accetta l’idea che “prima vivevamo oltre le nostre possibilità”, mentre invece non vivevamo bene per niente. E, colmo dei colmi, si incolpano quelli che stanno peggio, chi si organizza, lotta e alza la voce. Alcuni disconoscono e altri rifiutano con risentimento l’enorme ruolo che le reti di solidarietà hanno nelle questioni di genere, nell’educazione e nella salute mentale: spazi che contengono, organizzazioni che reinventano il modo di vivere…

Il contrasto di queste vite infelici è grande, il loro fascismo volgare nascosto dietro uno schermo, se non la loro apparente ingenuità di telespettatori, contro le vite di chi mette il proprio corpo a garanzia di un compromesso sempre affermativo, che a volte ama con odio (come ci ha insegnato Hebe de Bonafini ), che ride e tende la mano dal più intimo dei dolori (come ci ha insegnato Norita Cortiñas [due tra le fondatrici di Madri di Plaza de Mayo – ndt]). C’è un archetipo della classe media ambiziosa, una classe media che comincia da molto in basso e le cui fantasie inconfessabili sono sempre più visibili, come se si sentisse legittimata dall’ambiente fascista in cui si trova. Questa visibilità corrisponde a un regime algoritmico che crea profili e bolle, che lascia emergere referenti (influencer) e formatta la percezione ogni volta sempre più lontana dal corpo. Quello che ancora non sappiamo è se l’abisso tra il corteo di sabato e la moltitudine algoritmica tenderà ad aumentare o se troveremo forme di interrogazione ed elaborazione che ci restituiscano un nuovo terreno comune per la convivenza e per la difesa della vita, nel segno di un’ibridazione con il nuovo mondo digitale che appare irreversibile.

Se si tratta di strade e di corpi, il governo gioca con il fuoco: il suo programma di aggressione alla diversità in quanto tale è correlativo della sua impostazione economia che, prima o poi, richiederà una componente repressiva più quotidiana ed esaustiva (i tagli di bilancio non hanno toccato né la polizia né l’esercito, mentre per i servizi segreti hanno dirottato fondi milionari per decreto). La semplicità con la quale si propone di leggere la complessità attuale può scoppiare da un momento all’altro e la protesta che aizza percentuali sempre maggiori e trasversali della società può tornare con la giusta furia.

I fascisti di oggi si riducono a malapena a farsa di un fascismo storico che è riuscito a rimanere al potere fino a convertirsi nella caricatura di se stesso. I liberisti hanno cominciato come caricatura, però adesso non sono né carini né “esotici”: hanno il peggio della politica tradizionale e in più sono confusi dalla superbia del principiante. Nemmeno i partigiani di oggi sono come quelli di una volta, però attento Milei, un giorno la moltitudine festeggerà e porrà la domanda: «Come si vede il mondo dalla prospettiva dell’ultimo Mussolini?» L’ultimo, sì, il Mussolini della fine, appeso per i piedi a testa in giù, dopo aver tanto smosso forze più grandi di lui.

Foto di Lucía Fares

La gallera fotografica della cartellonistica del corteo è stata fornita dal CeDInCI [Centro di Documentazione e Ricerca della Cultura delle Sinistre – ndt]

Ariel Pennisi è saggista, docente e ricercatore dell’Università Nazionale José C. Paz e dell’Università Nazionale delle Arti, codirettore di Red Editorial, coordinatore dell’area Nuove Tecnologie dell’Istituto di Studi e Formazione della Centrale dei Lavoratori dell’Argentina Autonoma, autore, tra i tanti, di Nuove Istituzioni (del comune), Papa NegraGlobalizzazione. Sacralizzazione del mercato; coautore insieme a Miguel Benasayag di ChatGpt non pensa (il cervello neppure), pubblicato in Italia da Jaca Book; L’anarca (filosofia e politica in Max Stirner) insieme a Adripan Cangi, pubblicato in Italia da Mimesis; Dal contropotere alla complessità, insieme a Miguel Benasayag e Raúl Zibechi.

Traduzione in italiano a cura di Michele Fazioli per DinamoPress


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