approfondimenti
ITALIA
Il lungo esodo dei docenti precari: voci di resistenza nel mercato dei crediti
L’epopea dei docenti precari continua: intrappolati in un sistema di reclutamento che li rende schiavi della precarietà, migliaia di insegnanti si trovano a fronteggiare costi esorbitanti e condizioni discriminatorie per accedere ai nuovi percorsi di abilitazione e alle supplenze scolastiche. Con i nuovi decreti che introducono costosi corsi a numero chiuso, migliaia di insegnanti con anni di servizio rischiano di essere superati in graduatoria, mentre le università e gli enti di formazione privata traggono profitto dal “mercato dei crediti”
Il libro biblico dell’Esodo narra della schiavitù degli Ebrei in Egitto e dei loro quarant’anni di fuga nel deserto del Sinai sotto la guida di Mosè. Negli ultimi dieci anni, a partire dalla riforma delle pensioni Monti Fornero, il termine “esodati” è passato a designare quelle categorie di lavoratori che si ritrovano improvvisamente in un limbo – senza stipendio, senza pensione e senza ammortizzatori sociali. Le ultime vicende legate al rinnovo delle Graduatorie Provinciali di Supplenza e dell’impatto dei nuovi decreti di abilitazione all’insegnamento rischiano di provocare il più grande esodo di massa che il sistema pubblico italiano abbia mai registrato. Il sistema delle GPS, in vigore dalla legge 3 maggio 1999 n. 124, coinvolge centinaia di migliaia di docenti in un circuito autorizzato di precarietà che dura da più di dieci anni: in attesa di concorsi abilitanti e percorsi mai arrivati (o arrivati troppo tardi), gli insegnanti inseriti nella prima fascia delle Graduatorie possono contare solo su rinnovi di contratto annuali, senza di fatto poter accedere al ruolo. A pochi giorni dalle elezioni europee, mentre il ministro dell’Istruzione (e del Merito) Giuseppe Valditara afferma con orgoglio di aver restituito «autorevolezza ai docenti partendo dai contratti» e promette di riportare la «cultura del lavoro» nella scuola italiana, circa 250.000 insegnanti precari “triennalisti” (che hanno cioè maturato almeno tre anni di servizio) si trovano sul punto di perdere la cattedra, scavalcati in prima fascia perché esclusi dai nuovi percorsi abilitanti previsti dal DPCM 4 agosto 2023. Tali percorsi, disponibili in “pacchetti” da 30, 36 o 60 cfu, sono già in fase d’avvio negli atenei italiani. Si tratta di corsi intensivi a frequenza obbligatoria, erogati in modalità mista (online e in presenza), che permetteranno l’accesso ai prossimi concorsi per l’immissione in ruolo e alle graduatorie di supplenza: saranno, insomma, la condizione imprescindibile per ogni tipo di accesso al campo dell’insegnamento pubblico, a partire dal concorso straordinario di quest’anno (DM 26 ottobre 2023, n. 205, 206). E tutto ciò è avvenuto nell’assoluto silenzio dei sindacati confederali.
È una sorta di inquietante sequel dei 24 cfu, franchising che si sta rivelando parecchio redditizio per le università e per gli enti di formazione privata. Pensavamo che l’incubo-abilitazioni fosse terminato con l’assurda fatica che fu, con il D.L. 59 del 13 aprile 2017, l’acquisizione dei 24 crediti “nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche” – un ritornello che ripetevamo con rassegnata ironia.
Non bastavano il titolo di laurea o la vincita di un concorso a cattedra a garantirci l’accesso all’insegnamento: dovevamo paradossalmente dimostrare di aver acquisito sul piano teorico una gamma di competenze che avremmo messo in atto sul piano pratico. Chi ha ottenuto i 24 cfu negli ultimi anni ricorderà certamente la frustrazione generata dalla consapevolezza che rispondere a una domanda a crocette su Erving Goffmann non avrebbe fatto di noi dei buoni insegnanti – e nemmeno studiare le slides sulla didattica del gioco, preparate dall’ordinario di Pedagogia che, forse, non aveva mai messo piede in un’aula scolastica.
La frustrazione ideologica, comunque, lasciò presto il posto allo scandalo quando anche le università telematiche si accaparrarono l’ambigua etichetta di enti accreditati, dando così avvio a quello che è stato lucidamente definito come un «mercato dei crediti». In questo modo l’acquisizione dei 24 crediti diventava nient’altro che una transazione sotto mentite spoglie: un bonifico da 500 euro (generalmente a un’università telematica) in cambio della certificazione conforme, ma non senza la formalità lava-coscienze di corsi registrati e di un esame finale (online e a crocette).
In questo senso, il passaggio alla riforma dei 60 cfu si presenta come la versione degenerata di quell’accanita mercificazione delle competenze inaugurata con i 24 cfu. Se, infatti, l’abilitazione precedente comportava dei costi d’iscrizione ancora accettabili per degli studenti universitari, i prossimi corsi registrano cifre da capogiro: parliamo, ad esempio, di 1.800 euro per l’Università di Padova, 2.682 euro per la Ca’ Foscari di Venezia, 2.476 euro per l’Orientale di Napoli. Sono gli stessi costi di un Master universitario (e non è un caso se in alcuni atenei vengano erogati dagli stessi organismi preposti all’alta formazione): la differenza paradossale, però, è che nessun Master universitario, per quanto dispendioso, costituisce il titolo abilitante per un concorso pubblico. Ma il vergognoso elitarismo dei nuovi percorsi sta anche nella scelta del numero chiuso. Nonostante i costi esorbitanti, infatti, ogni ateneo prevede un determinato numero di posti per ogni classe di concorso, selezionando così in modo arbitrario la quantità di aspiranti “abilitandi” – paradossale condizione liminale che corrisponde, di fatto, alla disoccupazione. Per non parlare del fatto che, per ogni classe di concorso, è possibile presentare domanda in una sola istituzione: se si viene esclusi occorre aspettare vari mesi per l’apertura del bando successivo. È perfino successo che delle classi rimanessero prive del relativo percorso: è il caso della B022, il cui corso è stato attivato solo a Catania (per poi scomparire misteriosamente). A Reggio Calabria, invece, il percorso abilitante all’insegnamento della chimica copre soltanto dieci posti: cosa ne sarà dei docenti necessariamente esclusi?
Le conseguenza più disastrose restano a carico dei precari triennalisti: pur avendo maturato già svariati anni di servizio non hanno avuto diritto a un percorso agevolato, e dovranno quindi partecipare ai percorsi abilitanti alle stesse condizioni dei candidati neolaureati. Questo trattamento appare tanto più ingiustificato se messo a paragone con quello riservato ai docenti di ruolo e a quelli specializzati sul sostegno, che potranno da ora ottenere una seconda abilitazione con corsi erogati interamente online, a numero aperto e senza obbligo di tirocinio.
In questo modo i triennalisti precari verranno scavalcati in prima fascia da docenti abilitati già una o due volte: in termini concreti, poiché l’abilitazione non corrisponde necessariamente alla messa in servizio, potrà succedere che docenti esperti (ma precari) saranno surclassati da chi non è mai entrato in un’aula.
Ci racconta Mila B., precaria da quattro anni: «La colpa non è dei docenti di ruolo o abilitati che, giustamente, sfrutteranno questa opportunità. È il sistema che lo permette: un sistema che, ai precari come me, non ha concesso una pari opportunità. Anche quest’anno saluterò i miei ragazzi senza la certezza di rivederli. Sabato ho pianto per questo, perché amo questo lavoro e amo loro». Per frequentare il corso abilitante riferito alla sua classe di concorso (A061), Mila dovrebbe inoltre spostarsi da Mantova, dove vive, a Cassino, unica sede al momento disponibile per i corsi abilitanti della A061: se alle pesantissime tasse d’iscrizione si aggiungono le spese di soggiorno, i costi diventano insostenibili. «Parliamo di costi elevati. Chi ha una famiglia, come me, non può permetterselo. Preferisco investire su mio figlio».
Un ulteriore fattore di svantaggio per triennalisti e ultra-triennalisti è la situazione ambigua creata dall’abilitazione “agevolata” per i docenti specializzati sul sostegno. Si presume, infatti che la maggior parte degli attuali insegnanti di sostegno migrerà sui posti comuni, andando non solo a gonfiare il circuito già sovraccarico della prima fascia, ma lasciandosi alle spalle dei posti sul sostegno che saranno colmati ancora da docenti non specializzati.
E con questa manovra il “mercato dei crediti” si allarga ai confini extra-nazionali. Valditara, infatti, ha da poco approvato il riconoscimento dei titoli esteri di specializzazione sul sostegno. Basta una breve ricerca sul web per accorgersi della problematicità di una tale decisione. L’università di Almeria in Spagna, ad esempio, offre in via completamente telematica un corso di 4.980 euro per l’ottenimento del TFA equipollente, spendibile a tutti gli effetti come titolo prioritario d’accesso ai percorsi abilitanti. L’Accademia da Vinci, a metà tra agenzia del lavoro e ente di formazione accreditato, offre un comodo corso telematico di TFA all’estero – incluso un grottesco tirocinio online – al modico prezzo di 7.000 euro. Dati a dir poco imbarazzanti se si pensa al ruolo centrale accordato agli studenti con disabilità nel programma politico di Valditara.
Anna L., docente precaria di chimica dal 2007, ci racconta lo stravolgimento della sua situazione lavorativa a causa delle “scorciatoie” abilitanti. Oltre al paradosso di doversi abilitare a posteriori su una materia che insegna già da più di dieci anni, l’anno scorso è stata sorpassata in graduatoria da un’insegnante abilitata all’estero, riuscendo a ottenere una cattedra parziale di sole nove ore settimanali in una sede a 50 km dalla sua residenza. «Nel 2017 mi sono trasferita in Emilia Romagna per accumulare punteggio, lasciando in Calabria mio figlio piccolo al costo di immensi sacrifici, non solo sul piano economico. Ora che sono tornata, dopo tutti questi anni di insegnamento, rischio di rimanere senza una cattedra perché lo Stato non mi offre la possibilità di abilitarmi».
Simona B., docente precaria dal 2007, vive con ansia e indignazione il rinnovo delle prossime graduatorie. «È dal 2012 che i docenti precari della mia classe di concorso (AB55/56) aspettano l’apertura di un percorso abilitante. Subire sulla propria pelle questo mercimonio di titoli e queste vergognose disparità di trattamento svuota di significato il concetto di “merito” su cui il ministero dice di fondarsi. Il merito dovrebbe coinvolgere chi, come me, è a scuola da anni anche nelle condizioni più avverse. C’è la sensazione che la specializzazione sul sostegno sia diventata un ufficio di collocamento e che i docenti siano bancomat da spremere a beneficio dei privati».
Le voci dei precari, finora inascoltate da una larga fetta del mondo sindacale, si sono unite dal basso nel “Coordinamento Triennalisti”, che sta conducendo una class-action per chiedere lo sblocco delle attuali graduatorie, il libero accesso alle abilitazioni e l’ingresso in prima fascia. È un momento cruciale per le sorti del sistema scolastico, per liberarsi dalla morsa elitaria e antidemocratica della privatizzazione massiccia e il movimento dei Triennalisti sta già giocando un ruolo decisivo nell’organizzazione della lotta.
La foto di copertina è tratta dalla pagina Facebook delle CLAP-camere del lavoro autonomo e precario
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