approfondimenti

ITALIA

Il Governo Meloni tra decreti d’urgenza e norme eccezionali (seconda parte)

Il garantismo selettivo del DDL Nordio introduce l’abrogazione del reato di abuso di ufficio, la modifica del delitto di traffico di influenze illecite e il divieto di pubblicazione delle intercettazioni. Mentre riserva a quelli individuati come “nemici” una vera e propria legislazione di “guerra interna”, rafforzando le politiche securitarie: criminalizzazione delle manifestazioni di piazza, lotta alle occupazioni, rafforzamento della sicurezza urbana con ulteriori ampliamenti della possibilità di applicare il Daspo anche a chi ha precedenti contro la persona o il patrimonio

Al fine di comprendere fino in fondo il posizionamento di questo Governo, non si può non esaminare l’altro provvedimento, ancora in fase di approvazione, rappresentato dal DDL Nordio che si pone all’interno di quell’apparente garantismo selettivo di cui sarebbero espressione le destre di questo paese.

Quest’ultimo disegno di legge introduce alcuni elementi di novità nel procedimento di applicazione delle misure cautelari personali, ma soprattutto va a riformare alcuni temi particolarmente cari alla politica, come l’abrogazione del reato di abuso di ufficio e la modifica del delitto di traffico di influenze illecite. Allo stesso modo interviene in tema di pubblicazione sulla stampa del contenuto delle intercettazioni e introduce alcune specifiche al fine di garantire la riservatezza del terzo estraneo al procedimento rispetto alla circolazione delle comunicazioni intercettate.

Da ultimo, agisce sulla disciplina dell’informazione di garanzia che, secondo quanto riportato nella relazione introduttiva al disegno di legge «si è spesso trasformata nell’esposizione dell’indagato alla notorietà mediatica, con effetti stigmatizzanti» e, in particolar modo, sulla notifica della stessa, che deve essere fatta in modo da garantire la riservatezza dell’indagato, nonché sul potere di impugnazione del Pubblico Ministero, di berlusconiana memoria.

Si tratta di riforme che, seppur possano esser lette in chiave garantista, in realtà rispondono a esigenze del potere e che, solo incidentalmente, possono avere riflessi positivi anche nei confronti dei comuni imputati. 

È infatti facilmente intuibile come tutte le novità introdotte in tema di intercettazioni e di pubblicità dell’informazione di garanzia possano avere effetti soprattutto quando a finire sotto indagine sono esponenti politici e della classe dirigente, quando cioè si realizza quel corto circuito in cui la stampa di questo paese, che raramente si pone in rottura con il potere, pubblica gli atti giudiziari, che spesso le vengono inviati proprio da un altro potere dello Stato, quello giudiziario.

Inutile, pertanto, sottolineare come ben altre riforme servirebbero al codice penale e quello di procedura, se si volesse riformarli in chiave realmente garantista, depenalizzando a esempio altri tipi di reato come la detenzione e la cessione ai fini di spaccio delle droghe leggere,  invece che innalzarne le pene, o iniziando ad approvare riforme che si pongano in una prospettiva abolizionista dell’istituzione carceraria.

In ogni caso che il Ministro Nordio non fosse realmente garantista era cosa nota, non solo per la gestione del caso Cospito, ma anche per quello di Ilaria Salis in cui, nonostante le disumane condizioni di detenzione accertate e la dubbia imparzialità che le verrà riservata dai giudici ungheresi, tutti i principi dello stato di diritto sono venuti meno di fronte al dichiarato antifascismo della stessa e alla sua militanza politica, che l’ha fatta immediatamente collocare tra i nemici di questo Governo.

Tuttavia, se il favore garantito alla classe dirigente può indignare, quello che deve far preoccupare è il trattamento che si vuole riservare agli altri da loro ossia a quelli che vengono individuati come nemici e rispetto ai quali viene riservata una vera e propria legislazione di guerra interna.  Ed è così che va letto il DDL sicurezza verso cui deve essere indirizzata una vera e propria campagna al fine di evitare che tale progetto normativo venga approvato. 

Le novità contenute nel disegno di legge sono diverse e toccano molteplici argomenti che non sarà possibile analizzare uno per uno, dovendosi concentrare in particolar modo sugli aspetti che riguardano la criminalizzazione del dissenso e dei movimenti sociali. Al suo interno vi è di tutto: dal rafforzamento, in chiave repressiva, di alcuni capisaldi delle politiche securitarie, come la criminalizzazione delle manifestazioni di piazza o la lotta alle occupazioni, alla sicurezza urbana con ulteriori ampliamenti della possibilità di applicare il Daspo anche a chi ha precedenti contro la persona o il patrimonio.

Un capitolo a parte merita poi uno dei temi fondamentali del DDL ossia la tutela delle forze dell’ordine che viene garantita e irrobustita attraverso una serie di norme che, da un lato, prevedono innalzamenti di pene in caso di reati compiuti contro gli stessi o inasprimento di sanzioni nei casi d’inosservanza delle prescrizioni impartite dal personale che svolge servizi di polizia stradale mentre, dall’altro, consentono agli agenti di pubblica sicurezza di portare senza licenza un’arma diversa da quella di ordinanza, quando non sono in servizio.

Shamballah da Openverse

Si tratta di un insieme di disposizioni tramite la quali non si fatica a ipotizzare come questo Governo immagini la gestione dell’ordine pubblico nel più prossimo futuro (vedi i recenti fatti di Pisa).

Entrando ora nel merito delle novità si ritiene che maggiore approfondimento debba essere dedicato agli interventi in materia di criminalizzazione dei movimenti sociali, in quanto il DDL compie un’operazione chirurgica, andando a individuare i settori in cui negli ultimi anni si è manifestato maggior dissenso, al fine di introdurre specifiche ipotesi di reato che riguardano proprio quegli ambiti di lotta che si sono più mobilitati.

In scia con i precedenti decreti sicurezza, in particolare con i Decreti Salvini, si è voluto nuovamente intervenire sul reato di blocco stradale, rendendo penalmente rilevanti tutte le ipotesi in cui questo si può verificare. Secondo Meloni dovrà essere reato non solo il blocco della libera circolazione, sia su una strada ferrata che su quella ordinaria, con congegni o altri oggetti di qualsiasi specie, com’è adesso, ma anche l’ulteriore ipotesi che questo avvenga tramite l’utilizzo del solo corpo, attualmente punito con una sanzione amministrativa. 

Se verrà approvato questo DDL sarà penalmente perseguibile chiunque impedisca la libera circolazione su strada, ostruendola con il proprio corpo, se il blocco «risulti particolarmente offensivo e allarmante, sia per la presenza di più persone sia per il fatto che sia stata promosso e organizzato preventivamente».

È evidente come la progressiva riscoperta di questo reato (introdotto nel 1948 ma depenalizzato nel 1999 pe quanto riguarda il blocco su strada ordinaria)  sia servita per attaccare diversi settori di lotta, particolarmente attivi negli ultimi anni, come quelli della logistica che, grazie all’attività dei sindacati di base, si sono politicizzati e hanno avanzato rivendicazioni spesso ricorrendo al picchetto davanti ai magazzini o come quelli antisfratto, che provano a rimettere all’ordine del giorno la questione dell’emergenza abitativa, agendo nel concreto e impedendo l’accesso dell’ufficiale giudiziario.

Detto questo, non può sfuggire come proprio in questo ultimo periodo al centro dell’attenzione mediatica ci siano stati dei veri e propri blocchi stradali che, tuttavia, non sono mai stati trattati come tali né dai media, né dal sentire comune né soprattutto da questo Governo che anzi ne ha accolto parte delle rivendicazioni (anche se non si dubita che qualche zelante magistrato abbia immediatamente iscritto il procedimento penale). Si tratta ovviamente della c.d. rivolta dei trattori i cui protagonisti ossia gli agricoltori formano una delle basi elettorali più solide di questo esecutivo.

Il caso è importante perché dimostra come non tutte le pratiche di lotta vengano considerate automaticamente reato, nemmeno da questo Governo (!), che il giudizio cambia in base ai rapporti di forza esistenti in un determinato periodo e che la criminalizzazione è una evidente scelta politica.

Rimanendo nell’ambito delle lotte non si può non notare il riferimento nel DDL alle condotte degli attivisti climatici di Ultima Generazione, con l’introduzione di una fattispecie aggravata di imbrattamento nel caso in cui si deturpino beni qualora il fatto sia commesso con la finalità di ledere l’onore, il prestigio o il decoro dell’istituzione cui il bene appartiene, con inasprimento della reclusione in caso di recidiva.

Tuttavia, in questo caso, il Governo ha agito su più fronti perché aveva già in cantiere un altro disegno di legge ad hoc, approvato a inizio anno, contro quelli che vengono definiti ecovandal

Tra le norme appare oltremodo esagerata, rispetto alle pene edittali solitamente individuate nel nostro ordinamento, quella che prevede sanzioni amministrative che vanno dai 20 ai 60mila euro per chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui. 

Ma quello che allarma maggiormente e contro cui occorre davvero mobilitarsi sono le disposizioni che riguardano le persone detenute in carcere e nei CPR, ree di aver alzato la testa e di essersi ribellati negli ultimi anni.

A parere di questo Governo, evidentemente, i 13 detenuti morti a Modena e Rieti e la mattanza di Santa Maria Capua Vetere (e chissà quante altre ce ne sono state che non sono state inquadrate dalle telecamere di sorveglianza) non sono stati una punizione sufficiente per le rivolte del 2020, durante la pandemia, ritenendo necessario dover introdurre alcune fattispecie di reato ad hoc, di cui non si sentiva il bisogno e tantomeno la necessità.

Basti, infatti, pensare come, in caso di rivolte nei luoghi di detenzione, venga ora utilizzato l’ormai famigerato reato di devastazione e saccheggio, essendo ormai sdoganato il suo utilizzo, dopo i fatti di Genova 2001, al di fuori delle ipotesi per i quali è sopravvissuto all’interno del codice Rocco dopo l’approvazione della Costituzione.

Si tratta del delitto di rivolta in istituto penitenziario, che punisce con pene elevate, chiunque all’interno di un istituto penitenziario, mediante atti di violenza o minaccia o mediante atti di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti dalle autorità, posti in essere da tre o più persone riunite, promuova, organizzi, diriga o partecipi a una rivolta. Con tale norma si inizia così a punire anche la resistenza passiva, che fuori non viene mai considerata reato (chissà per quanto ancora).

A preoccupare è inoltre la genericità della disposizione che potrebbe essere interpretata nella maniera più estesa possibile ricomprendendovi anche le quotidiane rimostranze delle persone detenute che, già ampiamente ricattate dal sistema della premialità, si vuole del tutto silenziare. 

Insieme al reato di rivolta, deve essere letta l’ulteriore previsione sull’aggravamento della pena prevista per il delitto d’istigazione a disobbedire alle leggi, già presente nel codice, se commesso al fine di far realizzare una rivolta all’interno di un istituto penitenziario, a mezzo di scritti o comunicazioni dirette a persone detenute.

Si tratta di una gravissima erosione dell’agibilità politica mediante la configurazione di reati di solidarietà, con il quale si vogliono spezzare i legami di complicità con le persone detenute e qualunque tipo di rapporto tra dentro e fuori le mura dei luoghi di detenzione.

Reati di solidarietà che ormai vengono sempre più spesso contestati da parte delle Procure soprattutto nel caso dei migranti e tramite l’utilizzo del delitto di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare che viene imputato sia gli attivisti, ma anche e soprattutto agli stessi migranti che non rinunciano a gesti di solidarietà all’interno delle proprie comunità e nei confronti di chi è appena arrivato in Italia.

Rimanendo in materia, con il DDL si vuole introdurre una norma identica a quella prevista per gli istituti penitenziari anche per i disordini che potrebbero verificarsi nei CPR, che – vale sempre la pena ricordarlo – sono dei veri e propri lager di Stato, o nelle strutture per richiedenti asilo o in altre strutture di accoglienza o di contrasto all’immigrazione illegale.

E ciò appare ancor più allarmante se si considera quanto previsto nel decreto Cutro, in cui viene rafforzato l’utilizzo dei CPR, con l’approvazione di un piano per la costruzione di nuove sedi e l’aumento del tempo di permanenza al loro interno, fino a un massimo di 18 mesi

Ciò nonostante, sia più che noto quali siano le condizioni di detenzione all’interno degli stessi, ben peggiori di quelle che si vivono all’interno delle nostre sovraffollate galere, così come riferito da chi vi è stato ristretto ma anche come emerso, per esempio, dall’indagine penale sulla gestione del CPR di via Corelli a Milano, che è stato sequestrato, emersa grazie a chi vi era rinchiuso e agli attivisti che si sono mobilitati, e soprattutto dai fatti di cronaca come il recente suicidio di Ousmane Sylla, di soli 22 anni, nel CPR di Ponte Galeria. 

In chiusura, non si può non citare la riforma costituzionale pensata da questo esecutivo e avallata anche da altre forze politiche sul c.d. premierato, ossia sull’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri, che determinerebbe un ulteriore accentramento dei poteri nelle mani dell’esecutivo e rivoluzionerebbe l’equilibrio di poteri sancito in Costituzione.

Arrivando finalmente alle conclusioni, la risposta alla domanda iniziale, sul concreto rischio di una torsione autoritaria del Governo Meloni, dopo l’analisi dei provvedimenti approvati, appare davvero scontata.

I problemi sociali, che prima vengono alimentati da un liberismo selvaggio e da un capitalismo sfrenato, vengono trattati solo ed esclusivamente come una questione penale, rinunciando ormai a politiche di inclusione e di welfare. Per non parlare del dissenso sociale che si vorrebbe criminalizzato in tutte le sue espressioni.

Il livello d’allarme, per contro, appare ancora troppo basso. Bisognerà vedere se saremo in grado di avviare campagne diffuse di denuncia di quanto sta avvenendo e di mobilitazione, con l’obiettivo minimo di impedire che il DDL sicurezza diventi legge.

Immagine di copertina di Michele Lapini per Dinamopress, Bologna sgomberi 6 dicembre 2023