ROMA

Il destino dell’ex-Fiera di Roma è segnato

Un’operazione immobiliare che consenta di coprire i debiti che strangolano la nuova Fiera di Roma viene presentata come una riqualificazione sostenibile di un brano di città in abbandono da anni. Si parla di una centralità legata alla formazione dei giovani, agli interessi delle bambine e dei bambini, a minimizzare l’impatto ecologico, ma in realtà si costruiranno ancora tante case, che non saranno destinate a chi una casa non ce l’ha

Il sogno di Veltroni di costruire il polo espositivo della Capitale in grado di competere con le maggiori realtà fieristiche europee si è materializzato nel 2006. L’investimento di 355 milioni di euro, supportato da un finanziamento di Unicredit, doveva essere coperto con la vendita della vecchia Fiera di Roma, localizzata lungo la via Cristoforo Colombo, abbandonata da anni. La società Investimenti Spa, le cui quote sono per il 58,5% di Camera di Commercio di Roma, per il 21,7% del Comune di Roma e per il 9,8% della Regione Lazio, realizza la nuova struttura su terreni limitrofi all’autostrada per l’aeroporto. Il progetto è dell’architetto Tommaso Valle, la realizzazione dell’impresa Lamaro Appalti dei fratelli Toti.

I terreni però si sono rivelati del tutto inadatti a ospitare quelle strutture, così come quelli dove è stata realizzata la terza pista dell’aeroporto di Fiumicino. Era noto che quella fosse l’area dello Stagno di Maccarese, oramai prosciugato, dove per trovare un terreno solido dove posare le fondazioni era necessario scendere molto in profondità e spendere molto denaro. Non è stato fatto e almeno quattro padiglioni stanno sprofondando nel terreno rendendoli inagibili. Il destino della Nuova Fiera di Roma sembra segnato dai pesanti danni strutturali e dal peso dei debiti.

Il sogno si è trasformato in un incubo. Oggi il quartiere fieristico di Roma appare un luogo aggredito dall’incuria. La situazione economica della società con i suoi 200 milioni di debiti, di cui 70 milioni di interessi con Unicredit, rappresenta una continua minaccia per l’occupazione dei dipendenti e per le centinaia di aziende dell’indotto.

Il piano che prevedeva di coprire il costo della Nuova Fiera con la vendita dei sette ettari della vecchia struttura di via Cristoforo Colombo è rimasto bloccato per anni. Le cubature da realizzare in quell’area sono cambiate con le varie amministrazioni. Con Alemanno il patrimonio edilizio di via Colombo è lievitato arrivando a prevedere il raddoppio della superficie esistente di 44mila metri quadri fino ad arrivare a 90mila. Nonostante questo non si è trovato un acquirente. Con Marino nel 2015 viene approvata una variante, senza tener conto di quella predisposta dai cittadini, dai movimenti e dall’associazionismo, che prevede la realizzazione di servizi e spazi pubblici. La delibera di Consiglio Comunale predisposta dall’assessore Caudo, che autorizza la realizzazione di 67.500 metri quadri, in maggior parte di edilizia residenziale, permette a Unicredit di tirare un respiro di sollievo. Ma Marino viene dimesso e con la giunta Raggi è Paolo Berdini, assessore all’urbanistica, a battersi  contro ogni operazione espansionistica riportando i metri quadri realizzabili da 67mila a 44mila. Investimenti spa non ci sta e presenta un ricorso che viene respinto dalla commissione arbitrale giudicando la delibera dell’amministrazione legittima. Unicredit vede sfumare le sue speranze di rientrare dei crediti concessi con molta generosità.

Solo nel 2020 l’area trova la sua destinazione definitiva con la variante urbanistica approvata dalla giunta Gualtieri che ha destinato l’area ad «ambito a trasformazione ordinaria prevalentemente residenziale» lasciando la possibilità di edificare solo i 44mila metri quadri stabiliti dalla precedente amministrazione.

Su una superficie utile lorda di oltre 44mila mq, l’80% (oltre 35mila mq) saranno destinati a uso abitativo, di cui solo 7mila mq vincolati per housing sociale; il 20% (oltre 8.800mq) destinato a uso non residenziale, di cui circa 6.800mq a servizi direzionali e 2000mq a commerciale. Previsti inoltre, ci assicurano, servizi pubblici, aree verdi e parcheggi.

Infine nel settembre del 2023 viene sottoscritto un accordo fra il Comune di Roma e il fondo Orchidea costituito per la riqualificazione dell’area e divenutone il proprietario. Orchidea srl fa capo a un’altra società veicolo di cartolarizzazione, Yanez srl, a sua volta di proprietà della società di diritto olandese Stichting Buckingham. Grazie a questa vendita, Investimenti spa ha in gran parte risolto il problema dei debiti risalenti al 2006. Restano ancora 84,3 milioni di euro di esposizione, che si ipotizza di reperire vendendo quattro padiglioni della nuova Fiera e convertendo il restante debito in strumenti finanziari.

Pochi giorni fa sono stati presentati i progetti vincitori del concorso bandito a febbraio scorso per la riqualificazione del complesso, con la demolizione degli immobili e la loro sostituzione con nuove funzioni. La maggior parte saranno residenze private (mq. 28.390) e housing sociale (mq. 7.098) il resto, quasi 9mila metri quadri, saranno servizi e spazi commerciali.

Il progetto vincitore è stato elaborato da Acpv Architects, Arup, Asset e P’Arcnouveau, con il titolo “la città della gioia”. Incomprensibile il riferimento al titolo del romanzo di Dominique Lapierre che racconta la vita nella più grande baraccopoli di Calcutta, caratterizzata da povertà estrema ed esperienze dolorose.

Incomprensibile anche l’entusiasmo degli amministratori che parlano di «dare nuova vita al quartiere, integrando la nuova area al tessuto esistente, nel segno di una riqualificazione sostenibile, in tutti i suoi aspetti. L’area, inoltre, rappresenterà anche un polmone verde per il quartiere: infatti il nuovo masterplan prevede che il 50% delle superfici sia destinato a verde e servizi, con un aumento della permeabilità del suolo di circa 3.9 ettari di superficie, circa la metà dell’area totale. L’area, interamente pedonale al suo interno, disporrà di due nuove piazze pubbliche: la Piazza del Sole a nord su viale Tor Marancia e la Piazza degli Eventi a sud su via Georgofili».

Tutto green ed ecosostenibile dunque, ma di fatto siamo di fronte ancora una volta a una “rigenerazione urbana” che parla di sinergia pubblico-privato ma in realtà affida a operazioni di speculazione finanziaria la trasformazione della città, utilizzando il territorio per estrarne valore. Si continuano a costruire case, ma l’edilizia destinata alle fasce più povere della popolazione è scomparsa. Oggi non si parla più di edilizia popolare, ma di social housing. Il privato è delegato alla costruzione di edilizia “sociale” attraverso incentivi promossi dallo Stato. Sono case destinate al ceto medio ed escludono chi è in attesa da anni di un alloggio a prezzi accessibili.

La casa è diventata una merce come le altre, un asset finanziario, un bene di scambio sottoposto alle esigenze di profitto della rendita e alle fluttuazioni del mercato e ha perso il suo valore di bene d’uso che deve essere garantito a chiunque, al di là della sua situazione economica e patrimoniale.

Far diventare la casa un bene finanziario ha trasformato la città e sta determinando il suo sviluppo, trasformandola in un immenso meccanismo di accumulazione e produzione di valore. Intanto gli abitanti sono costretti a vivere sotto l’incubo della rata del mutuo o del canone di locazione. Mentre c’è chi vive della rendita prodotta appunto su investimenti immobiliari.

A luglio del 2023 il Consiglio Comunale di Roma ha approvato il Piano strategico per il diritto all’abitare 2023-2026, con il quale si impegnava a investire risorse per superare la così detta “emergenza abitativa” attraverso il recupero del patrimonio pubblico e l’acquisto di immobili privati inutilizzati insieme a quelli che gli enti intendono dismettere. Mentre si costruiscono ancora case, restiamo in attesa di case per chi non ne l’ha e non può accedere al mercato privato.

Immagine di copertina: pagina Fb del coordinamento lotta cittadina per la casa

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