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Il complotto contro l’America
È uscito in questi giorni in Italia “Il complotto contro l’America”, miniserie firmata da David Simon ed Ed Burns (The Wire) che si immagina l’ascesa al potere negli Stati Uniti degli anni Quaranta di Charles Lindbergh, aviatore anti-semita e alleato del Reich hitleriano. Ma dietro all’ucronia del romanzo di Philip Roth da cui la serie è tratta non è possibile non scorgere i contorni lugubri della torsione autoritaria della presidenza Trump degli ultimi mesi
Questa non è una recensione.
Infatti non parliamo di una miniserie TV ma di una profezia mascherata da cronaca.
Parliamo di una serie che si interrompe sul più bello, ma il cui seguito sta nella realtà incombente e non in una seconda stagione.
Parliamo di un’ucronia che è il nostro tempo. Di una distopia che abbiamo davanti agli occhi, aggravata da eventi critici di tipo pandemico ed economico che Philip Roth manco si sognava.
Parliamo ovviamente di The Plot Against America, realizzato dagli autori di The Wire, David Simon ed Ed Burns, ispirandosi al romanzo di Philip Roth. Laddove il grande romanziere nel 2004 si limitava a stabilire una vaga connessione con Bush jr., gli autori della miniserie, uscita su Hbo nel marzo 2020 (e da pochi giorni disponibile in Italia su Sky-Atlantic) hanno a che fare con il Presidente Trump nella fase più acuta e incontrastata del suo suprematismo, all’immediata vigilia della pandemia Covid-19 e del conseguente disastro economico. La corrispondenza fra la parola d’ordine della campagna Lindbergh (America First) e quella ossessiva di Trump, raddoppiata dal nostalgico Make America great again) balza agli occhi, mentre per ora la miscela isolazionista e antisemita di Lindbergh è sostituita da un odio feroce verso neri e messicani (allora marginali nel corpo politico), femministe e Lgbt (del pari allora poco influenti), mentre all’antisemitismo interno d’antan (tutt’altro che sparito, come Roth ben fiutava) è subentrato lo sfrenato filo-sionismo in campo internazionale, gestito dal genero Jared Kushner.
Proviamo a dipanare la trama, distinguendo la fiction della miniserie e (con minimi scarti) del romanzo, A, e il piano degli eventi reali, B. Dato il carattere della (contro)storia, non ha senso evitare lo spoiling.
Nel 1940, A, il colonnello Charles Lindbergh, il primo trasvolatore solitario dell’Atlantico e ancor più popolare per il tragico rapimento e uccisione del figlio nel 1932, isolazionista e antisemita, è il candidato repubblicano allo scadere del secondo mandato di Roosevelt. Vince a sorpresa, grazie all’appoggio degli stati rurali del Sud e del Midwest, in ticket con il feroce senatore reazionario Burton K. Wheeler e nomina ministro degli Interni Henry Ford, il grande imprenditore filo-nazista. [B – Lindbergh era effettivamente contrario all’intervento in guerra e aveva simpatie per il regime nazista, da cui (al pari di H. Ford) aveva ricevuto la massima onorificenza conferibile a uno straniero; nel 1936 aveva assistito alle Olimpiadi di Berlino e incontrato Hitler; nel 1940 aveva fondato insieme all’ondivago ma storico isolazionista senatore Wheeler il comitato nazionale First America e l’ala radicale di destra dei repubblicani aveva pensato a candidarlo contro Roosevelt, ma non se ne fece niente. H. Ford era un accanito antisemita, aveva fondato un giornale specializzato in materia, “The Dearborn Independent”, i cui editoriali erano stati raccolti nel pamphlet The international Jew, considerato da Hitler una vera e propria Bibbia; il suo isolazionismo non era tanto di principio quanto volto a fare affari con entrambe le parti, fabbricò infatti fino al 1941 blindati e aerei per i tedeschi, senza disdegnare l’uso del lavoro forzato nelle sue fabbriche europee, e aerei per l’Inghilterra. Durante la guerra il suo filo-nazismo fu neutralizzato dalla stessa famiglia per non compromettere gli affari industriali].
La famiglia Levin, nel New Jersey, assiste incredula all’ascesa di un regime suprematista, che dichiara la neutralità dell’America con un incontro segreto in Islanda fra Hitler e Lindbergh e di fatto sostiene i piani espansivi del Terzo Reich, adottando in misura crescente una politica di discriminazione anti-ebraica anche negli Usa. I Levin decidono di resistere sul posto, da bravi patrioti americani, mentre molti altri ebrei emigrano in Canada per sottrarsi al clima persecutorio e il cugino Alvin si arruola addirittura nelle truppe d’assalto canadesi che combattono in Norvegia a fianco degli Alleati, rimettendoci una gamba. Ma anche la comunità ebraica e la stessa famiglia Levin si spacca, seguendo alcuni la tattica compromissoria del rabbino conservatore Bengelsdorf. che si mette alla corte di Lindbergh e della sua più liberale first Lady [B – in realtà ancora più antisemita, del marito], suggerendo una politica di “integrazione” che mira in realtà a diluire le comunità ebraiche disperdendole in un’America rurale e reazionaria dominata dal KKK. Bengelsdorf (uno straordinario John Turturro) è ispirato ai collaborazionisti degli Judenräte organizzati dai nazisti per controllare i ghetti e l’avviamento ordinato dei correligionari ai campi di sterminio. L’Fbi comincia a perseguitare la famiglia resistente Levin, accusata di “comunismo”, e in particolare Alvin, che è rientrato dal Canada storpio e ha commesso il “crimine” di violare la neutralità americana combattendo a fianco dei canadesi e dei britannici. [B – Nell’America reale, anche sotto la presidenza “progressista” di Roosevelt e perfino durante la guerra a fianco dell’Urss, la persecuzione dei comunisti, in discreta parte identificati con gli ebrei di sinistra, da parte del Fbi di Hoover non era mai cessata e una buona documentazione risulta dal dittico Perfidia–Questa tempesta di James Ellroy, ambientato nel 1940-1942].
Dopo l’uccisione di un candidato ebreo, il giornalista Winchell, alle elezioni di mid-term del 1942, la situazione precipita e si scatenano dei pogrom che causano 122 morti, senza che Lindbergh intervenga. A quel punto l’aereo del Presidente scompare (nella serie si mostrano le manovre dei servizi segreti inglese che reclutano Alvin, specialista in controllo aereo, mentre Bengelsdorf ipotizza che siano stati i tedeschi, insofferenti del nazismo troppo tiepido di Lindbergh e che in precedenza l’avrebbero ricattato sequestrando ed educando nella Hitlerjugend il figlio rapito e ritenuto morto). Il potere è assunto dal vice-presidente Wheeler, apertamente nazi, che instaura la legge marziale, ordina l’arresto degli esponenti democratici (per es. il sindaco di New York Fiorello La Guardia) e dei leader ebrei, compreso Bengelsdorf, e fa rinchiudere la First Lady in un manicomio. La signora riesce però a evadere e in un discorso trasmesso alla radio smaschera Wheeler e lo costringe a indire nuove elezioni presidenziali per il 1942. Nel libro di Roth le elezioni sono vinte da Roosevelt, i giapponesi attaccano Pearl Harbor e l’America entra in guerra contro la Germania e il Giappone, riconducendo la parentesi ucronica nell’alveo del corso storico reale; nella miniserie, invece (ed è il dato più inquietante) la soluzione resta aperta, anzi si vedono agenti governativi bruciare mucchi di schede votate Roosevelt e bande del KKK bruciare case di oppositori. Il mondo distopico non scompare, anzi si trasfonde nel presente, poiché evidentemente Wheeler è uno che non ama perdere.
Già, chi ci ricorda? Giusto ieri Trump ha twittato: «I’m not a good loser interview. I don’t like to lose», minacciando di rinviare le elezioni di novembre prossimo o di annullarne l’esito con la scusa della pandemia e del ricorso massiccio al voto postale, che sarebbe fraudolento. Il Pil è crollato del 33%, la pandemia fa strage e non lascia speranze di un recupero occupazionale: come evitare una sconfitta devastante a novembre? Una guerra salvifica contro la Cina sembra troppo rischiosa, più facile ma di minor impatto un’invasione del Venezuela, perché non far saltare o contestare anticipatamente le elezioni stesse? Impresa anche questa non facile, non trovano certo consensi almeno in un ramo del Congresso e un colpo di stato presidenziale potrebbe accendere una guerra civile che in forma strisciante sta già dilagando in tutti gli Us. Difficile interpretare le affermazioni di Trump, rapidamente ritrattate del resto: una minaccia reale? Un bluff? Una ritirata strategica mascherata e rancorosa? Per ora, a differenza del Wheeler finzionale, non ha proclamato la legge marziale, ha abbandonato (per la riluttanza del Pentagono) l’idea di impiegare le forze armate, si è limitato a inviare reparti federali di polizia a Portland e in altre città poco controllabili, ha messo le pittoresche guardie dei parchi a presidiare qualche statua minacciata. La seconda metà dell’anno forse non sarà la seconda stagione del Plot. O forse sì. Certo su Melanie e Ivanka non possiamo contare.
Per questo non ce la siamo sentiti di fare una recensione tradizionale, di confermare (come molti a buon diritto sostengono) che questa è la miglior serie dell’anno – né di meno c’era da aspettarsi da chi ha lavorato a The Wire e a The Deuce. Il fatto che alcuni prodotti culturali (ricordiamo, in altri contesti, Fahrenheit 451 o The Man in the High Castle) hanno un valore profetico o almeno sintomatico eccedente la riuscita artistica e richiedono una doppia lettura.
Oggi abbiamo provato sul primo versante.
Nell’immagine di copertina e nel testo, alcuni fotogrammi de Il complotto contro l’America di David Simon ed Ed Burns