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MONDO
«Il complesso militare digitale si impone per ottenere profitti monopolistici»
Intervista a Dario Guarascio sul nuovo assetto delle Big Tech della Silicon Valley all’interno del regime di guerra globale, tra discontinuità di posizionamento e consolidamento di ruoli egemonici
La cerimonia di avvio della presidenza Trump rimarrà nella memoria per l’evidente appoggio incondizionato ricevuto dai CEO delle maggiori major del big tech. Abbiamo deciso di intervistare Dario Guarascio, docente di Economia dell’Innovazione dell’Università La Sapienza di Roma per comprendere di più il significato di questa cerimonia, per individuare come il potere dell’informatica statunitense stia riconfigurandosi alla luce di un quadro politico globale di crescente militarizzazione e polarizzazione conflittuale. Il mezzo informatico non è mai stato neutro, ma lo scenario che si delinea richiede nuove analisi e strumenti di comprensione di alcune trasformazioni storiche.
Cosa significa in termini simbolici e concreti l’affiancamento dei big della Silicon Valley a Trump durante la cerimonia di inizio mandato?
Questo allineamento conferma un tratto distintivo e non nuovo del capitalismo, cioè una mutua dipendenza tra il grande capitale, che in questa fase storica è per buona parte legato alle tecnologie digitali, e gli apparati dello Stato. Un grande capitale che, nel caso statunitense, è rappresentato dalle Big Tech ed è assolutamente incline ad adattarsi ai mutamenti politici.
Soprattutto nella fase iniziale di Internet, tendevamo ad associare il capitale della Silicon Valley all’area liberal e democratica e abbiamo avuto anche esempi di forte supporto economico per presidenti e senatori democratici nei primi anni 2000. L’arrivo di Trump ci ha mostrato che il capitale non è interessato al colore politico del governo corrente ma a garantirsi un’alleanza che sia funzionale alla sua strategia espansiva e di accumulazione.
Un altro punto riguarda a mio giudizio la natura peculiare dei capitalisti più rilevanti, i CEO di quelle che chiamiamo Big Tech, che hanno una visibilità, un protagonismo anche di tipo estetico, individuale. Questa è in una certa misura, una discontinuità che porta a contendere la scena ai politici di primo piano, fino allo stesso presidente. Dimostra che il potere capitalistico plasma la realtà e che i confini tra questo e lo spazio dello Stato sono ormai rarefatti. Questo di solito avviene nell’ombra e non certo con una manifestazione palese come quella che abbiamo visto durante l’inaugurazione della presidenza Trump.
Con altri studiosi hai definito questa alleanza «complesso militare digitale»
Esatto, il «complesso militare digitale» è un sistema di interdipendenza e di convergenza tra poteri statali, apparato militare e grande capitale digitale. È interessante domandarsi per quale ragione proprio ora ci sia stata la necessità di una manifestazione palese di tutto questo. Al contrario negli ultimi 10 anni c’è stato negli USA un grande dibattito su come ridimensionare l’eccessiva concentrazione di potere economico dei grandi monopoli digitali, minacciando di frazionare queste imprese. Qualche giorno fa abbiamo visto ricompattarsi questo complesso militare digitale dove l’obiettivo di consolidare profitti monopolistici a livello globale si sovrappone con obiettivi legati all’egemonia militare rispetto al conflitto esistente tra polo statunitense e polo cinese. In Cina, infatti, fatte le dovute differenze culturali e storiche, tra il Partito Comunista e le grandi piattaforme si delinea una situazione direi speculare a quella americana.
In relazione a questo fatto simbolico come si inserisce il fenomeno all’interno dell’attuale regime di guerra mondiale?
Di fronte all’attuale scenario individuerei due tipi di discontinuità rispetto al passato nel modo di agire delle Big Tech. Una discontinuità di natura ideologica che è rappresentata dal fatto che molti dei capi sono storicamente soggetti sostenitori di un libertarismo anche abbastanza estremo, in alcuni casi definito anarco-capitalismo: una idea molto incentrata sul ruolo di Internet e delle comunicazioni digitali come elemento abilitante di una società orizzontale dove le opportunità individuali vengono magnificate, dove la possibilità di accedere in modo apparentemente libero alle informazioni avrebbe dovuto garantire la massima diffusione di opportunità economiche.
L’altra discontinuità è geopolitica. Nel momento in cui il contesto globale è segnato da forti conflitti, segnati anche da tensioni rispetto alle materie prime e all’accesso ai mercati e alle rotte commerciali, le Big Tech diventano favorevoli a una alleanza con lo Stato e con Trump. Il suo Stato interventista e assertivo non è più da demonizzare ma da salutare come importante alleato per entrare a far parte del complesso militare industriale in relazione alle imprese operanti nel comparto della difesa.
Le spese militari sono divenute una fonte strategica per l’accumulazione e sono di supporto all’attività innovativa delle Big Tech ora che contribuiscono direttamente all’attività militare. Questo è essenziale per lo Stato che ha bisogno delle tecnologie più avanzate e per le Big Tech a cui è consentito di rimanere sulla frontiera dell’innovazione e di accaparrarsi risorse molto rilevanti, come quelle messe in campo dal Ministero della Difesa. Oltre a evitare tasse sgradite o limitazioni che potrebbero ridurre l’accesso ai dati e alle informazioni.
Come ti immagini il ruolo dei social media tra tre anni? C’è il rischio che la manipolazione dell’informazione possa influenzare il processo democratico?
Ci sono elementi nuovi ma mi sembra più che altro l’approfondimento di una traiettoria che ormai va avanti da anni, ossia da quando i social media sono diventati essenziali per la comunicazione a tutti i livelli, anche e soprattutto politica, utile a determinare la forma e gli equilibri di potere nelle istituzioni. Come processo evolutivo, il capitalismo tende a permeare le aree relativamente libere, scevre da accumulazione e controllo privato. Con internet e con i social media e più in generale con le piattaforme digitali noi ormai accediamo a ogni servizio, compreso quello pubblico. Questo può rappresentare un processo di mercificazione e ulteriore rarefazione delle barriere tra pubblico e privato. Per quel che riguarda in particolare i social media, questi creano una rottura nell’ambito dell’informazione, della produzione di contenuti e conoscenza e della sua diffusione. Molti studi negli ultimi anni hanno messo in luce come il controllo privato di spazi nevralgici come possono essere Twitter o TikTok dia a questi soggetti capitalistici un potere immenso che non è solo economico ma è anche un potere di condizionamento e cattura della politica.
Come si pone Musk in questo scenario?
Musk nel tentare di avere una relazione privilegiata con lo Stato, rispetto agli altri capi delle piattaforme, tenta di diventare ancor più monopolista nel settore dei social media. Se Musk effettivamente comprasse il 50% di TikTok questo vorrebbe dire detenere una gran parte dello spazio rilevante della comunicazione in Occidente e non solo. E lo riesce a fare in una fase storica come questa nella misura in cui una parte del suo impegno la dedica a perseguire una strategia di tipo egemonico-geopolitico-militare del governo degli USA e quindi di Trump. L’uso dei social più violento – atto a indebolire i media tradizionali che per struttura tendono a essere meno esposti a una gestione spregiudicata – da parte del complesso militare digitale è anche un modo per tenere sotto controllo e in condizioni di subalternità i Paesi alleati. Difficile dire quale potrebbe essere l’evoluzione di Twitter e TikTok nell’ecosistema dei social e nella dialettica tra democrazia, stampa, informazione e social media perché il capitale spinge verso la maggiore concentrazione di potere che in questo caso ha anche una natura politico-militare. Pensiamo a Musk che interviene nel dibattito politico in Italia o in Germania, cercando di influenzarlo.
Il possibile accordo tra SpaceX di Musk e il governo italiano per accedere ai servizi satellitari di Starlink che insidie nasconde? Il sistema Iris 2 è una vera alternativa o no?
Se ci attestiamo a quanto dichiarato da Crosetto e Meloni, sebbene l’accordo non ci sia ancora, sembra ineluttabile. Va ricordato che Starlink avrebbe oggi come utilizzo maggiore quello militare e di sicurezza, oltre a offrire stabilità della connessione internet nel caso in cui le nostre infrastrutture non siano funzionanti. Il rischio è di fomentare una forte dipendenza tecnologica ed economica rispetto al capitale statunitense e concedere a questo una discreta permeabilità delle informazioni. Si accrescerebbe così una situazione di subalternità che già esiste nel comparto militare-digitale e si ridurrebbe l’indipendenza di cui l’Europa ha bisogno. Iris 2 è stata messa in campo dall’UE per ottenere autonomia strategica ma oggi non è adeguata per un ritardo infrastrutturale rispetto agli USA. Di fatto al momento non ci sono alternative a Starlink. Data l’entità del ritardo, il rischio è la saturazione dell’orbita dove sono già i satelliti di Musk, perché i tempi di Iris 2 non sono compatibili con la concorrenza.
Starlink è parte di Space X, soggetto paradigmatico di quel fenomeno per cui le imprese sono quasi sempre il prodotto di grandi investimenti pubblici e di trasferimento di conoscenza nelle mani di un privato che può posizionarsi come monopolista con un vantaggio economico e una posizione peculiare rispetto allo Stato. Starlink può funzionare non grazie a Musk, ma grazie a questo vantaggio. Musk è solo un capitalista che in modo predatorio si è appropriato di tecnologie e conoscenze nate in ambito pubblico, quando la NASA gli ha permesso di generare i lanciatori a basso costo che hanno inviato centinaia di satelliti. Questi lanciatori verranno usati anche per fini militari oltre che di esplorazione spaziale.
Trump lo abbiamo spesso associato ad altre lobby, quelle del fossile in primis visto il suo negazionismo climatico, ma pure dell’industria pesante. Che ruolo giocano questi settori nello scenario attuale ?
Io direi che le due cose sono assolutamente compatibili: l’energia è necessaria per far funzionare il digitale e in particolare l’intelligenza artificiale che è una delle tecnologie su cui le Big Tech puntano maggiormente per le loro strategie espansive e di accumulazione. L’energia proveniente da fonti rinnovabili potrebbe non essere sufficiente o adeguata per il tipo di domanda che le grandi imprese digitali manifestano per i data center e i centri di produzione dell’AI. Quindi, da questo punto di vista, c’è una compatibilità nefasta tra la volontà di Trump di blandire l’industria dei fossili e l’utilità di questa per i progetti di AI e di espansione delle Big Tech, con buona pace delle preoccupazioni ambientali.
Le idee libertarie che sembravano animare le Big Tech o anche l’idea che le tecnologie, come dicevano Steve Jobs e Bill Gates, non dovessero mai essere usate per scopi militari o per fare male a qualcuno, cambiano rapidamente nel momento in cui le esigenze di accumulazione riportano in auge il carbone e il petrolio o portano ad accettare di buon grado uno stato interventista e militarista con cui stringere un’alleanza funzionale agli obiettivi di entrambi. Poi c’è sicuramente un elemento legato al fatto che Trump e il partito repubblicano sono storicamente legati alle lobby del fossile e del petrolio in particolare. In una fase come questa, dove l’Europa è un vaso di coccio, avendo la guerra ai confini e non potendo più accedere a gas e petrolio russo, si ritrova a importare quantità sempre più grandi di gas naturale liquido dagli USA. Utilizzare i beni energetici come arma di coercizione per raggiungere obiettivi nei consessi internazionali è un tratto dell’attuale fase del capitalismo americano dove appunto Big Tech e Fossile possono senz’altro coesistere. È al contempo un altro pezzo di quella weaponized interdependance che Trump ha già esplicitamente manifestato quando ha detto che l’Europa, se non vuole che le vengano imposti dazi sulle merci che esporta verso gli USA, deve significativamente aumentare da questi l’acquisto di fossile.
Foto di Copertina da Wikimedia Commons
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