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MONDO
Il caso dei mecheros nell’amazzonia ecuatoriana
«I mecheros, strumenti utilizzati per bruciare i gas residuali derivanti dall’estrazione di petrolio, distruggono la biodiversità e stanno portando alla morte le persone che vivono in Amazzonia. È ora di rimuoverli!»
«Si deve conoscere che ci sono 442 casi di cancro in Amazzonia e il 72% di essi colpiscono le donne. Il governo dice che in Amazzonia non ci sono casi di cancro e sapete perché? Perché in Amazzonia non ci sono ospedali oncologici. La gente dovrebbe recarsi nella capitale, Quito, per farsi curare. Il problema si pone perché la maggior parte della gente che vive in Amazzonia non ha il denaro sufficiente per permettersi questo viaggio. Mia madre è una di queste persone. Esigo quindi che si crei un ospedale oncologico in Amazzonia affinché la gente malata di cancro possa avere le giuste cure e i trattamenti adeguati. Credo che il governo abbia paura di noi, anche se siamo bambine perché noi diciamo solo la verità».
«Sono qui, in piedi, lottando e alzando la voce, perché il mio papà fu vittima del cancro e purtroppo morì. E sono qui per gli animali e le piante, perché voglio un ambiente pulito e sano. Voglio crescere con intorno animali vivi e non morti».
«Io vivo vicino a otto mecheros e vi assicuro che è orribile. C’ è sempre un odore lancinante. Ma allo stato non interessa, perché da quegli strumenti esce tutta la ricchezza del paese».
Queste sono solo alcune delle parole che hanno pronunciato quattro delle nove bambine, tutte con un’età inferiore ai 14 anni, che il 18 febbraio 2020 hanno impugnato contro lo stato ecuatoriano una causa per l’eliminazione dei mecheros (strumenti utilizzati per bruciare i gas residuali derivanti dall’estrazione di petrolio cominciata nel 1964 a causa dell’impresa trasnazionale Chevron-Texaco). Lo stato è infatti accusato di violare i diritti umani e ambientali in quanto i mecheros emettono sostanze tossiche nell’atmosfera che non solo stanno distruggendo la biodiversità in Amazzonia, ma stanno portando alla morte le persone che vivono in questa parte del paese.
La denuncia, in un primo momento rifiutata, è stata invece accolta il 29 luglio 2021 quando il tribunale di giustizia della provincia di Sucumbios ha condannato lo stato ecuatoriano per aver violato il diritto a un ambiente sano ed ecologicamente equilibrato e di non aver rispettato il diritto alla salute della popolazione amazzonica.
La sentenza stabiliva che entro il 29 marzo 2023 si sarebbero dovuti eliminare i mecheros vicini ai centri abitati ed entro il 2030 tutti quelli presenti nel paese. Prevedeva anche che se ne potessero installare di nuovi solo a due condizioni: la lontananza da agglomerati urbani e l’utilizzo di tecnologie amiche dell’ambiente. A ciò si aggiungeva l’obbligo per il Ministero dell’ambiente, dell’acqua e della transizione ecologica di monitorare annualmente lo stato della natura e della qualità dell’acqua e dell’aria nelle aree vicine ai mecheros, cosí da avere dei dati aggiornati e poter intervenire efficacemente. Il Ministero della salute pubblica invece avrebbe dovuto impegnarsi entro gennaio 2022 nella realizzazione di uno studio medico riguardo a come l’estrazione di petrolio stesse colpendo la salute della popolazione amazzonica e avrebbe dovuto implementare un’unità oncologica per trattare le persone colpite dal cancro nell’ospedale presente a Lago Agrio.
A quasi un anno dalle date stabilite nella sentenza, peró, nessuno degli impegni presi è stato rispettato (anzi i mecheros sono aumentati da 447 a 486). Non è stata conseguita nessuna delle risoluzioni che il tribunale aveva imposto, non è stato fatto nessun passo avanti per far in modo che l’Amazzonia ecuatoriana torni a essere un luogo sano e vivibile.
È per questo motivo che il 12 marzo 2024 si è tenuta a Quito una manifestazione contro i mecheros attivi, contro lo sfruttamento delle risorse e contro un governo che non si interessa della vita umana, animale e vegetale.
Gli attivisti e le attiviste presenti esigono quindi che quanto è stato dichiarato nella sentenza costituzionale venga portato a termine. Chiedono che ci sia maggiore coscienza e conoscenza delle conseguenze mortali che i mecheros stanno causando. Ognuno di essi infatti brucia circa 250 sostante tossiche che hanno un impatto fino a 10 km di distanza rispetto al luogo dove sono installati. Fra gli effetti principali vi sono, per esempio, la produzione di piogge acide, causate dalle sostanze tossiche emesse, che incidono sulla vita acquatica, degli animali e della vegetazione, ma anche su quella delle persone che bevono le acque contaminate. Si sono registrati numerosi casi di cancro, che colpiscono maggiormente donne e bambini, ma anche un aumento di problemi respiratori, cefalee, anemie. È stato inoltre rilevato un incremento di aborti spontanei nei luoghi piú vicini a questi strumenti industriali. Quest’ultimi contribuiscono in aggiunta al riscaldamento globale, al cambiamento climatico e piú in generale all’alterazione dell’equilibrio della natura. È stato inoltre evidenziato che bruciando i gas, invece che riutilizzarli (per esempio per generare elettricitá), il paese sta perdendo circa 500 milioni di dollari all’anno.
Foto di Caterina Goglio
Tutto ciò non si può non analizzare alla luce del contesto del paese e più in generale del mondo in cui la politica estrattivista del petrolio, la sua esportazione, il mantenimento di buoni rapporti con le grandi potenze economiche sembrano valere di piú della vita e della salute di tutti gli esseri viventi e della cura dell’ambiente. È proprio per questi motivi che fino a oggi spegnere i mecheros non è mai stata considerata una vera opzione per il governo ecuatoriano, perché è evidente che ancora una volta questo guardi maggiormente al denaro e all’arricchimento piuttosto che a garantire i diritti e il buen vivir della popolazione. L’unico interesse dello stato sembra quindi essere quello di rimanere all’interno di un sistema político-economico basato sull’estrattivismo, sull’esportazione e sullo sfruttamento delle risorse, che al contrario non protegge le persone e l’ambiente. Il governo mostrando la sua indifferenza nei confronti di questa criticità sociale, non rispettando le disposizioni e non prendendo delle risoluzioni concrete è complice e responsabile della morte di esseri umani e della biodiversitá.
La manifestazione di marzo, e con essa i vari incontri che si sono tenuti nei giorni seguenti, ha avuto quindi fra gli obiettivi principali quello di mostrare quanto i mecheros stiano danneggiando l’ecosistema, provocando effetti a livello micro e macroscopici. Al contempo si è rimarcata la totale assenza dello Stato e si è ribadito chiaramente come esso sia o non sia consapevole del fatto che in gioco ci sono la salute, i diritti, ma soprattutto la tranquillità e la dignità della vita di chi vive in quei luoghi.
Si invoca quindi un senso di giustizia e si esige che il caso mecheros sia trattato come urgente e prioritario: la lotta contro i mecheros è una lotta per la vita.
Foto in copertina di Caterina Goglio