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OPINIONI
Il 2024 è stato l’anno più caldo della storia, ma la politica dimentica il clima
Le implacabili statistiche degli enti di ricerca segnalano un nuovo anno record, tra aumento della temperatura ed eventi estremi, con una crescita superiore alle già pessimistiche previsioni. Eppure mai come oggi la politica di ogni schieramento sembra avere altre priorità, tra regime di guerra globale e avanzata delle destre negazioniste
Il 2024 che si è appena concluso è stato l’anno più caldo a livello globale da quando si registrano in modo sistematico le temperature, ossia dalla metà dell’Ottocento. L’anno precedente più caldo era stato il 2023. La temperatura media nel 2024 è stata di 1,525 gradi superiori alla temperatura media all’inizio dell’epoca industriale secondo dati del 7 novembre 2024 che verranno a breve aggiornati con le rilevazioni degli ultimi due mesi.
Mantenere l’aumento della temperatura al di sotto del grado e mezzo era il famoso obiettivo degli Accordi di Parigi del 2015. Tuttavia per arrivare ad affermare che quell’obiettivo è mancato, è necessario che la temperatura si stabilizzi in modo permanente oltre il grado e mezzo. Per questa ragione molti studiosi ripetono come un mantra che «è tecnicamente ancora possibile raggiungere quell’obiettivo o quantomeno rimanere sotto i 2 gradi di aumento», cioè una condizione molto preoccupante ma che permetterebbe una forma di adattamento.
L’ affermazione, di per sé vera, spesso è ribadita anche per non cadere nel nichilistico e arrendevole «tanto non si può più far nulla», ma al tempo stesso trasuda un ottimismo non facile da sostenere visto come si stanno orientando le politiche globali. Bisognerebbe infatti ridurre drasticamente l’emissione di gas climalteranti almeno del 50% entro il 2030, per poi azzerarla entro il 2050. Invece quella produzione è ancora in crescita, anche nel 2024, +0,8% su scala globale, il +10% negli ultimi 20 anni, e la temperatura media del futuro dipende proprio dai gas che continuiamo a immettere nell’atmosfera oggi.
Il biennio appena trascorso può fare paura, soprattutto perché la crescita della temperatura che si è verificata è stata superiore ai calcoli di alcuni scienziati che prospettavano una maggiore gradualità. Le ragioni sono molteplici, chi studia il clima si divide ancora sull’argomento.
Un tema che è ampiamente condiviso è che, in presenza di effetti a catena imprevedibili, la linearità di crescita della temperatura viene meno e si possono verificare progressioni e drammatiche accelerazioni.
Chi è più ottimista collega l’accelerazione principalmente al fenomeno del Niño, ossia il periodico e naturale riscaldamento del Pacifico meridionale che ha conseguenze a catena su scala globale per un paio di anni. Il Niño però si è concluso nell’aprile 2024, mentre invece i dati statistici continuano a preoccupare anche nei mesi successivi. Il secondo fenomeno che potrebbe essere causa di questa situazione è la diminuzione della capacità di albedo, ossia della capacità di riflettere e respingere la luce e il calore solare: una caratteristica di fenomeni atmosferici quali nuvole, nebbia, ghiacciai e neve.
La neve diminuisce perché nevica di meno o nevica in stagioni in cui questa non resiste a lungo. I ghiacciai, lo sappiamo, stanno scomparendo in ampie zone montuose di entrambi gli emisferi così come nelle calotte artiche e antartiche che sono ormai ai loro minimi storici. Inoltre a causa del riscaldamento globale, negli ultimi anni il fenomeno meteorologico della nebbia si è ridotto a pochi giorni invernali – chi vive in Pianura Padana lo riconosce. Per le nuvole, la ragione è simile alla nebbia, con le temperature più alte queste tendono a dissiparsi più facilmente e quindi non rifrangono abbastanza la luce e il calore. Si può quindi dire che oggi gli effetti del cambiamento climatico autoalimentano il cambiamento stesso in una sorta di spirale incontrollata.
Vi è poi una ulteriore teoria che dimostra che ormai abbiamo costruito un sistema incapace di reggere anche i nostri tentativi di ridurre l’impatto climatico delle attività umane. Negli ultimi 10 anni le leggi marittime hanno imposto cambiamenti alla tipologia di carburante. Questo cambiamento ha ridotto le emissioni di alcuni gas (zolfo in particolare) da parte delle navi in circolazione, che creavano vere e proprie scie di inquinamento sulfureo lungo le principali rotte. Alcuni studiosi ritengono che tra gli effetti paradossali di questa misura – nelle intenzioni finalizzata ovviamente a una diminuzione dell’inquinamento – vi sia la riduzione della capacità di albedo, ossia la capacità di queste particelle di zolfo, rilasciate lungo le rotte, di respingere i raggi solari e così raffreddare il pianeta.
Il cambiamento climatico non è solo aumento complessivo della temperatura ma anche aumento della frequenza di eventi estremi a cui i territori sono sottoposti. Legambiente nel suo rapporto annuale ha monitorato 351 eventi meteorologici estremi in Italia, il 458% in più di quanti se ne contarono nel 2015.
Il 2024 è stato un anno di crisi idrica estrema in Sicilia e Basilicata ed è stato l’anno della seconda alluvione in Emilia Romagna nonché del ciclone Boris in Europa dell’Est e della strage di Valencia – solo rimanendo in Europa. Nel caso di eventi estremi la crisi climatica si intreccia strettamente con la tutela del territorio (o meglio con l’assenza di tutela) che amplifica gli effetti dell’evento estremo, sia nel caso della siccità che nel caso delle alluvioni. In queste situazioni di conseguenza vi sono responsabilità immediate, oltre a quelle di chi decide le politiche globali per il clima, e sono quelle di amministrazioni complici che scelgono di cementificare ovunque, tagliare alberi, o utilizzare in modo insensato la risorsa idrica.
Nel dibattito pubblico, in questo 2024 così drammatico, si è ulteriormente ristretto lo spazio dato al tema della transizione ecologica e del cambiamento climatico, complice pure il fatto che pressoché l’intera maggioranza di governo ha fatto del negazionismo, esplicito o sfumato, il proprio posizionamento.
Tuttavia colpisce vedere che l’aggravarsi della situazione non stia smuovendo dalle proprie posizioni neppure l’intellighenzia liberal nostrana. Caso emblematico l’ultimo numero di “Limes” dedicato al cambiamento climatico. Nonostante i contenuti degli articoli presentino una serie importante di analisi di scienziati e studiosi, il numero è introdotto da un video- editoriale di Lucio Caracciolo che riesce ad avere addirittura toni velati di negazionismo. Facta News ne ha fatto una disamina nei singoli particolari, qui sottolineiamo solo le due componenti più gravi: il reiterare che è inutile preoccuparsi del problema in termini globali perché è un problema che determina effetti differenti a seconda delle zone del pianeta (sic!) e arrivare ad affermare «Dico effetti perché, a parte che il dibattito sulle cause resta abbastanza aperto anche se la traccia umana sui cambiamenti climatici è ormai abbastanza assodata, quello che conta è capire che la battaglia contro la CO₂, contro i gas serra, è una battaglia persa, perché mentre noi discutiamo questa concentrazione di nell’atmosfera continua ad aumentare».
Non sappiamo quale studioso abbia detto a Caracciolo che il dibattito sulle cause è abbastanza aperto, visto che la scienza unanimemente ha definito le ragioni del cambiamento climatico da almeno 30 anni. Non sappiamo neppure perché definisca la battaglia contro la CO₂ una battaglia persa. Sembra quasi una versione del nichilistico «tanto non si può fare nulla» menzionato all’inizio, ma qui ben più grave perché è un «tanto non si può fare nulla e gli effetti da noi non saranno mai terribili come in Africa o Oceania», visto che si ripete l’inutilità di occuparsene in termini globali. Peccato che le Nazioni Unite 29 anni fa compresero che, al contrario, solo un approccio globale al tema poteva portare qualche effetto, facendo nascere la COP, strumento al tempo innovativo, oggi paralizzato e obsoleto.
Non si può dire che Caracciolo sia l’unico pensatore liberal in Italia, ma neppure che sia l’ultimo arrivato o il meno influente. Se scrive certe cose indirizzando un numero della sua rivista lo fa per parlare a un certo pubblico. Il posizionamento di Caracciolo poi fa pendant con quanto accade a Bruxelles, dove il nuovo governo von der Layen ha già espresso l’intenzione di voler mettere da parte il Green New Deal, con buona pace dei socialisti di ogni paese. La presenza della coppia Trump/Musk alla Casa Bianca sarà poi ovviamente ulteriore elemento a favore di uno stop a qualunque velleità di transizione energetica.
Va infine ricordato un ulteriore fattore. Siamo in un regime di guerra, con bilanci di guerra, priorità di guerra tanto nel fronte esterno quanto in quello interno che vede leggi securitarie, riduzione dello spazio democratico, tagli drastici al welfare, spese per armamenti e tutto il resto che la finanziaria Meloni rispecchia. La transizione ecologica che il pensiero liberal ci aveva prospettato – per quanto moderata, iniqua, parziale – non può più avere spazio perché le risorse necessarie sarebbero comunque ingenti e le priorità di spesa sono altrove. Lo sanno tanto a Bruxelles come nella redazione di “Limes” e, in virtù di questa consapevolezza, probabilmente, formulano i propri orientamenti.
A partire da questo scenario si stanno orientando molti gruppi ecologisti di base in tutto il mondo, in un processo di ripresa e di riorganizzazione dopo il periodo di risacca e con una repressione vissuta ancora molto forte.
Senza smettere di criticare radicalmente la gestione globale del clima e il sistema capitalista che ha prodotto la crisi ecologica, molti gruppi si stanno impegnando contemporaneamente in lotte per politiche di adattamento climatico immediate e sopratutto eque.
Si è consapevoli che l’adattamento climatico sarà un campo dove l’ingiustizia sociale si manifesterà in tutta la sua violenza. Per queste stesse ragioni stanno crescendo in tutta Europa movimenti che si oppongono alle amministrazioni ignave che continuano a cementificare, a consumare il suolo, a non favorire il trasporto pubblico, a tagliare alberi, o a non salvaguardare la risorsa idrica. La lotta contro una nuova miniera a carbone e quella per difendere un parco dalla speculazione – un tempo percepite parallele se non antitetiche – stanno trovando un terreno comune.
Ci aspetta un 2025 di ulteriore crisi climatica e di lotte, in cui la nostra controparte sarà agguerrita e violenta e in cui creare convergenze sarà fondamentale ma forse anche facilitato dalla gravità del contesto che affronteremo.
Foto di copertina di Guillame Falco, licenza creative commons, da Pexels.
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