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I Veleni di Roma
Un estratto dal libro Il Paese dei Veleni, per fare i conti con la monnezza della Capitale.
E’ partito il conto alla rovescia per la chiusura della discarica di Malagrotta e, dopo decenni di malgoverno e malaffare, Roma fa i conti vis a vis con la sua monnezza. Per capire cosa c’è dietro e come ha funzionato il sistema Malagrotta e i risultati di anni di gestione commissariale del ciclo dei rifiuti, anticipiamo una parte del capitolo Lazio di Mala e Monnezza di Nello Trocchia (attualmente collaboratore de Il Fatto Quotidiano e autore con altri del libro Roma come Napoli, CastelVecchi Edizioni) , contenuto nel libro Il Paese dei Veleni – Biocidio, viaggio nell’Italia contaminata (Round Robin Edizioni) curato da Andreina Baccaro e Antonio Musella, in uscita il prossimo 27 settembre. Il libro è una cartografia da nord a sud di un paese avvelenato da un capitalismo che ha inseguito la crescita ad ogni costo sociale e ambientale, grazie alla complicità della politica e dello Stato, e spesso grazie ai servigi della criminalità organizzata. Paesaggi e territori devastati, dove nascono lotte importanti per la dignità e la giustizia ambientale e sociale, dove si disegna un modello di sviluppo diverso.
A salvare Roma per anni c’è stato il monopolista Manlio Cerroni, indagato dalla procura di Roma per diversi reati, come la truffa e la tentata estorsione, dopo che l’indagine, inizialmente condotta dalla Procura di Velletri, è stata trasferita per competenza nella capitale. Il gruppo di Cerroni ha sempre rivendicato la correttezza dell’operato e l’estraneità alle ipotesi di accusa. Quello che emerge è uno spaccato di intrecci e interessi soprattutto politici che, in questi anni, hanno preferito usare la discarica di Malagrotta come ancora di salvataggio per evitare di affrontare la questione rifiuti, avviando un efficace ciclo di gestione secondo le disposizioni delle autorità europee.
Anche Malagrotta ha esaurito i suoi giorni. L’Europa ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia perché la capitale continuava a scaricare rifiuti non trattati in discarica. Da aprile è arrivato lo stop, a giugno per Malagrotta era prevista la chiusura dopo anni di proroghe contra legem. Ma proprio a metà giugno, i comitati della valle Galeria consegnano alla Procura di Roma un dossier fotografico che proverebbe come gli accordi sottoscritti con l’Europa siano stati largamente disattesi. Le instantanee, alla base di un esposto che ha portato all’apertura di un fascicolo, proverebbero che dentro l’invaso i rifiuti non trattati continuerebbero a trovare posto. Sarà la magistratura ad accertare evenutali irregolarità, mentre il gruppo Cerroni ha prontamente replicato: “Non è vero. Nella discarica di Malagrotta dall’11 aprile scorso entrano solo i residui di lavorazione dei rifiuti indifferenziati trattati nei vari impianti”.
L’immondezzaio resta ancora la soluzione contro leggi, accordi e ultimi barlumi di civiltà. Questo quadro diventa ancor più imbarazzante se si pensa che il Lazio dal 1999 al 2008 è stato commissariato con risultati zero per l’aumento di differenziata e riduzione di rifiuti prodotti. Non solo. Dal luglio 2011 un nuovo commissario è stato scelto per indicare il sito per il post-Malagrotta. Insomma non bastava una pubblica amministrazione inadeguata, si è pensato bene di affidare, in questi anni, un ruolo anche ad un commissario che aveva il compito di trovare una discarica per il post-Malagrotta. Tentativo fallito prima dal prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro che aveva pensato bene di realizzare una discarica a un km dall’area di protezione della Villa di Adriano, patrimonio dell’Unesco, prima di lasciare l’incarico. Esito fallimentare anche per l’attuale commissario Goffredo Sottile, nominato dal governo di Mario Monti. Sottile ha puntato sulla cava di Monti dell’Ortaccio come nuova discarica, a poche centinaia di metri da Malagrotta, ipotesi poi congelata. La commissione parlamentare sulle ecomafie, nella XVI legislatura, aveva descritto così il lavoro di Sottile in Calabria dove, per due anni, era stato commissario all’emergenza pattume: «Nel corso della sua audizione Sottile ha rivelato in modo drammatico tutta l’incapacità del suo ufficio ad affrontare l’emergenza rifiuti in Calabria».
E di nuovo ci si affida al monopolista Manlio Cerroni, proprietario di Malagrotta, che si mette all’opera per completare la costruzione di un tritovagliatore capace di trattare le mille tonnellate non trattate. Alla domanda perché ogni impianto viene costruito dal privato e non dal soggetto pubblico, il commissario Goffredo Sottile risponde al cronista: «Giusta osservazione, vogliamo farlo io e lei un impianto?»1. L’attività commissariale dovrebbe puntare all’autonomia del ciclo e all’uscita da logiche emergenziali e di dipendenze da soggetti privati ancor più se in posizione di monopolio. La situazione impiantistica a Roma e nel Lazio, è schizzofrenica, spiegabile solo come moltiplicatore di business privati e interessi di comitati d’affare. Sono 5 mila le tonnellate di rifiuti prodotti dalla capitale ogni giorno e l’intera regione ne produce 3 milioni e 332 mila tonnellate ogni anno. Differenziata ferma che ha comportato un perdita di benefici pari a 850 milioni di euro in dieci anni2, assenza di filiera del riciclo, impianti utilizzati per sprecare soldi che producono frazione di rifiuti che finiscono ugualmente in discarica, ma pagati due volte dalla collettività quando vengono prodotti (cdr) e quando vengono smaltiti in discarica. Un quadro che la commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, XVI legislatura, nella relazione finale sul Lazio, spiega così: «I vari impianti di produzione del cdr finiscono prevalentemente in discarica in quanto di scarsa qualità e non idonei per la termovalorizzazione. Nonostante ciò, per la gestione integrata del ciclo, si continua, anche con il piano della nuova giunta regionale, a scommettere troppo sugli impianti di termovalorizzazione che sembrano sovradimensionati e che lo saranno ancora di più con il raggiungimento di obiettivi accettabili di raccolta differenziata». In assenza di nuove discariche, di differenziata, di politiche efficaci di gestione, la nuova giunta regionale guidata da Nicola Zingaretti si è vista costretta nell’aprile scorso a sottoscrivere due accordi con la Regione Toscana per il trasporto, in caso di necessità, di 450 tonnellate di rifiuti al giorno in impianti extra-regionali. La chiusura del cerchio, il marchio sul fallimento di una classe politica.