POTERI
I signori degli appalti militari
Così nella più grande base navale italiana sul Mediterraneo si ingrassano gli appetiti degli imprenditori
“Lui ha pagato il catering per la festa, poi altre cose, i computer, i telefoni, insomma, le cose che già si sapevano” racconta il Capitano di Vascello della Marina Militare, Giovanni di Guardo, alla sua compagna Elena Corina Boicea. Quindi, “praticamente tutto”? chiede la donna. E lui risponde: “si, l’unica cosa che non ha pagato, ma che ha pagato quell’altro, l’altro amico di Marcello che si occupa delle pulizie – Antonio Bruno – è il dentista”. La coppia ora si trova rinchiusa nel carcere di Taranto dopo che un’inchiesta del nucleo locale di polizia tributaria della Guardia di Finanza (diretto dal colonnello Renato Turco) coordinata dal Pubblico ministero Maurizio Carbone sta squarciando il velo sull’ennesima storia di tangenti, imprenditoria di rapina, saccheggio delle casse pubbliche “ambientata” nella città di Taranto.
Telefonate compromettenti. Sono centinaia le conversazioni telefoniche già depositate agli atti che inchiodano decine di persone. È svelato il sipario così, il “retroscena in cui si muovono ufficiali e dipendenti civili della Marina Militare, insieme con imprenditori, locali e non, per accaparrarsi commesse a discapito del buon andamento della pubblica amministrazione”; tutto ciò è messo nero su bianco nell’ordinanza di custodia cautelare di centodiciannove pagine firmata due giorni fa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto, Valeria Ingenito. In carcere stavolta ci sono finiti in otto, e un carabiniere è ai domiciliari. I primi sono tutti accusati di aver costituito e partecipato ad una associazione a delinquere promossa dal capitano Giovanni Di Guardo, che, nella sua qualità di direttore dell’ufficio Maricommi di Taranto (si tratta dell’ente che bandisce le gare d’appalto per le forniture) insieme alla sua compagna e a un dipendente civile dell’Arsenale Militare: “custodivano e raccoglievano il denaro consegnato dagli imprenditori titolari o gestori di fatto delle imprese affidatarie di appalti di beni e servizi per conto della Marina Militare”. Non solo. C’era un vero e proprio cartello di imprese tra loro collegate – secondo gli inquirenti: “per pilotare l’assegnazione a loro favore di tutti gli appalti gestiti dalla Direzione Maricommi Taranto, con l’ estromissione delle altre ditte concorrenti”.
Le condotte contestate sono la corruzione aggravata e la turbativa d’asta, l’aver ricavato profitti illeciti per un ammontare pari a quattro milioni di euro, da gennaio fino al quattordici settembre di quest’anno. Quando scatta la prima tranche dell’operazione di polizia tributaria. Perché è alle 17.30 di quello stesso giorno che la vita del capitano Di Guardo muta improvvisamente. Una cimice nascosta nel suo iphone 6 lo localizza all’interno di un appartamento di proprietà dell’imprenditore e sindaco del comune di Roccaforzata, Vincenzo Pastore “ras delle pulizie” con le sue cooperative in molte basi militari italiane; che a Taranto gestisce, tra proroghe e affidamenti diretti – da trent’anni e più – diversi appalti per le pulizie degli uffici comunali e ovviamente delle basi militari. I finanzieri erano sulle loro tracce da mesi. Così si appostano e all’uscita dalla casa perquisiscono i due. In tasca al Capitano di Guardo i militari trovano una busta gialla contenente duemila e cinquecento euro in contanti. Nel borsello di Enzo Pastore, invece, la Finanza di Taranto scopre tre cd rom, all’interno il progetto tecnico con cui una delle cooperative da lui controllate, la Teoma Srl mirava ad aggiudicarsi l’appalto per il Servizio di pulizia e sanificazione presso Enti, Distaccamenti e Reparti vari della giurisdizione di Marina Sud Taranto (Puglia e Campania).
Per dare l’idea del tenore dei lavori da fare, dei profitti da conseguire per chi se la sarebbe aggiudicata, la gara è suddivisa in quattro lotti. Comprende la pulizia delle basi militari di Grottaglie, Brindisi e Taranto e quelle della provincia di Napoli. Il quantitativo totale dell’appalto aggiudicato è pari a oltre undici milioni di euro. È un fatto che il bando di gara in questione, pubblicato il 20 Maggio è firmato dal direttore di Maricommi. Punto di contatto – si legge sul sito del ministero della difesa – dove il bando di gara è reperibile – la tenente di vascello Francesca Mola, 31 anni, “una a cui piacciono i soldi” la definisce così il Comandante di Guardo in una intercettazione telefonica. Quattro giorni dopo l’arresto del suo Capo, il 18 settembre la tenente Mola consegna alla città di Taranto un altro dei suoi tanti record negativi. È la prima donna militare ad essere arrestata in Italia. Ma non è questo il punto.
Francesca Mola è soprattutto una pedina importante del presunto piano corruttivo. È la stessa donna che incontra più volte l’imprenditore Pastore dandogli istruzioni su come modificare l’offerta tecnica, a buste già chiuse. “È lei che detiene tutte le offerte tecniche presentate dalle imprese partecipanti alla gara” – scrive il gip Valeria Ingenito nell’ordinanza che ha portato in cella la tenente di vascello della Marina. Già allora ( all’atto del suo arresto) invece, l’indagine della Finanza sembrava tutt’altro che chiusa, anzi, lasciava intendere l’esistenza di “una struttura associativa in grado di pilotare diversi appalti”. Circa un mese dopo se ne ha conferma, a giudicare dai nove arresti di qualche giorno fa. E a leggere le carte dell’inchiesta ancora zeppi di omissis in tantissime pagine, dunque, i signori degli appalti militari sembrano ancora molti da stanare. Tuttavia, la carne già messa a cuocere dagli inquirenti è davvero tanta. Una parte di questa, però, è già cotta in abbondanza. Come dimostrano proprio i dodici arresti, in quella che appare una tangentopoli con le stellette, in continua evoluzione.
Truffe, imposizioni e il 10 per cento. Un sistema collaudato Ed è proprio da una fornitura di carne, per la nave Cavour, registrata e mai avvenuta, che è partita un’ altra indagine su un altro signore degli appalti militari. L’imprenditore Antonio Bruno (quello che ha pagato il dentista) viene arrestato il 26 settembre insieme a tutta la famiglia. Padre, moglie e sorella. Accusati a diverso titolo di bancarotta fraudolenta e false fatturazioni, di operazioni finanziarie truffaldine, in pratica, avvenute con la complicità di un commercialista molto noto in città. È la truffa aggravata che viene contestata, tuttavia, a riportarci nel dorato mondo degli appalti made in Taranto. Infatti, la famiglia Bruno, “attraverso false attestazioni per prestazioni mai rese o eseguite in misura inferiore di quanto dichiarato avrebbero truffato il Comune di Taranto, la Marina Militare (sedi di Taranto, Brindisi e Napoli) e l’Aeronautica Militare tutti enti per i quali gestivano servizi di sanificazione ” – scrive il giudice per le indagini preliminari Vilma Gilli – motivando gli arresti dei Bruno e i sequestri per equivalente richiesti. Pari a un milione e duecentocinquantamila euro. Ma c’è di più. Perché Antonio Bruno è un nome che ritorna spesso in molti appalti che riguardano servizi per enti pubblici, come la ristorazione, appunto. La denominazione di una delle società a lui riconducibili, l’ItalPulizie srl, la rintracciamo nella relazione predisposta dagli ispettori della Ragioneria generale dello Stato a margine della verifica amministrativo-contabile presso il Comune di Taranto eseguita dal 15 settembre al 14 settembre 2015, la quale ha proiettato ombre funeste sul bilancio del Comune di cui appena dieci anni orsono fu già dichiarato il dissesto finanziario. Sotto la scure degli ispettori ministeriali ci sono finiti: i compensi dei vigili urbani, le premialità indebite corrisposte ai dirigenti, alcuni affidamenti avvenuti contra legem a professionisti esterni all’amministrazione, i valzer di bilancio nella gestione di municipalizzate e partecipate. Ma soprattutto – ancora qui – la fornitura di beni e servizi. In particolare, “le proroghe reiterate negli appalti disposti dalla Direzione Patrimonio del Comune in favore della società ItalPulizie srl, relativamente al servizio di pulizia di aree demaniali e di manutenzione del patrimonio edilizio comunale sono illegittime” scrivono gli ispettori ministeriali.
Un mago della truffa, dell’imposizione, Antonio Bruno. Perfettamente inserito – pare – anche nel sistema del dieci per cento. Cioè, nel meccanismo delle premiali corrisposte dagli imprenditori fornitori agli alti ufficiali della Marina. Anche per lui è arrivato il secondo arresto in pochi giorni. È uno degli otto indagati a cui è contestato il vincolo associativo. Ed è uno di quegli imprenditori ad aver fatto più affari nell’ultimo anno con l’ente militare tarantino. Si era già aggiudicato il 22 aprile 2016 l’appalto per il servizio di ristorazione del Circolo Sottoufficiali della Marina. Un’altra sua società si è aggiudicata la scorsa estate la gestione della spiaggia sottufficiali, a San Vito. L’imprenditore, inoltre, è coinvolto, anche nella vicenda dell’appalto per il Servizio di pulizia e sanificazione presso Enti, Distaccamenti e Reparti vari della giurisdizione di Marina Sud Taranto (Puglia e Campania) per cui sono stati arrestati, il 14 settembre, Pastore e Di Guardo. Infatti, nel corso degli interrogatori di convalida degli arresti, entrambi hanno ammesso che la somma rinvenuta addosso a quest’ultimo rappresentava un acconto versato dal Bruno – attraverso il sindaco – imprenditore – di una maxi tangente, che avrebbe poi permesso l’aggiudicazione della gara alla cooperativa Teoma Srl e consentito all’Italpulizie Srl di Bruno di subentrare nei lavori. Partite di giro, insomma. Al centro sempre loro, i signori degli appalti militari.
Sono almeno cinque, dal 2014 ad oggi, le inchieste giudiziarie che hanno riguardato episodi di corruzione o concussione avvenuti nella Direzione Maricommi di Taranto. Due indagini sono già chiuse e tra meno di un mese comincerà il processo. Alla sbarra ci saranno una decina di alti ufficiali. I due comandanti che hanno preceduto Di Guardo, nell’incarico, e anche nella stessa sorte giudiziaria. Anzi, in verità, le accuse per l’ultimo comandante della base sono ben più gravi. È come se si assistesse, come se fossimo di fronte, cioè, ad un miglioramento, un avanzamento del quadro corruttivo, cioè del sistema già abbondantemente collaudato del dieci per cento. In effetti, rispetto alle prime inchieste condotte dallo stesso magistrato Maurizio Carbone, risalenti al 2014, che avevano già rivelato all’interno della Base navale militare di Taranto, la più importante postazione italiana nel Mediterraneo, “l’esistenza nell’ambito di un collaudato e stabile accordo criminoso, di un vero e proprio sistema, che andava avanti da anni”; per dirlo ancora con le parole dei magistrati: “ fatti di concussione continuata posti in essere nel corso degli anni in modo sistematico e diffuso, con ferrea determinazione a delinquere, invariabilmente, nei confronti di tutti gli imprenditori assegnatari di appalti di servizi e forniture da parte del V Reparto Maricommi di Taranto”. Di pubblici ufficiali che avrebbero agito “sostanzialmente alla stregua dell’agire della malavita organizzata”. Chiedendo il pizzo agli imprenditori.
Ora, rispetto a quei fatti, c’è un cambio di paradigma. Gli imprenditori e gli alti ufficiali appaiono un tutt’uno. Concordano prezzi, quantità. Lo fanno in incontri segreti in cui ci si pone l’obiettivo di porsi al riparo da eventuali possibili contestazioni da parte di altri imprenditori esclusi, “talvolta fruendo delle informazioni di compiacenti rappresentanti delle forze dell’ ordine”. Cercando di conoscere in anteprima l’esistenza di eventuali indagini nei loro confronti o di evitare rapporti con imprenditori “inaffidabili”, quelli che “ se la sono cantata l’altra volta”. Si, “perchè con i Carabinieri siamo coperti” (un carabiniere, Paolo Cesari è ai domiciliari). “Con quell’altro siamo coperti” ( nelle carte compare il nome di poliziotto, ma che non risulta indagato ) “Gli unici…. coperti fino a un certo punto con la Guardia di Finanza” ammette uno degli indagati, considerato il collante tra gli ufficiali e gli imprenditori e rivolgendosi al capo del gruppo, il capitano di vascello Giovanni Di Guardo che era stato mandato dall’allora Capo di Stato Maggiore, (ora in pensione) generale De Giorgi, da Roma, per moralizzare la base militare di Taranto! Ed è proprio verso Roma che è puntata ora l’attenzione gli investigatori. Verso gli uffici dove Di Guardo avrebbe incontrato alcuni imprenditori, prima del suo arrivo nella città pugliese, chiamato a mettere ordine dopo gli arresti dei suoi precedessori. Dunque dalle basi militari della Puglia agli uffici romani dei ministeri della Difesa sono in tanti ora a tremare. Si lamentava, invece, il Capitano, di un imprenditore “infedele” al cospetto di un altro, invece, amico, Valeriano Agliata – destinatario nell’ultimo anno con le sue cinque società di commesse pari a quasi due milioni di euro: “quando io vengo fisicamente con i mobili, con le valigie da Roma, ti dovresti far trovare al casello, a Massafra, prima ancora che apro la bocca dovresti dire: scusa questo è quello ti devo dare“. È questo il modo di entrare nel giro – secondo il Sultano di Maricommi: “per cui c’è Valeriano, c’e Gianni e c’e pure Piero“. E Agliata risponde: “certo”.
Così Taranto, dunque, la terza città meridionale per estensione ed abitanti ( isole escluse) è continuamente ferita dall’operato di un blocco granitico, politico, militare, imprenditoriale e sociale, rappresentativo di interessi e affari spesso inconfessabili, tutti a danno della collettività. In questo modo, da circa trent’anni è una città laboratorio dei crimini commessi dai colletti bianchi. È un altro fatto che a valle di una cruenta e fratricida guerra di mala che a cavallo tra gli anni’80 e ’90 provoca centosessanta morti, emerge un ceto, una classe dirigente che elegge prima Giancarlo Cito (poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa) sindaco e parlamentare. Poi, quella stessa classe saccheggia le casse del Comune provocando il dissesto finanziario più imponente nella storia della Repubblica. Sono parte di uno stesso agire politico – imprenditoriale criminale, inoltre, le arcinote vicende che hanno portato al gravissimo disastro sanitario e al sequestro della fabbrica più grande in Europa; in cui, nonostante ciò, sono morti sette operai negli ultimi quattro anni. Così come è la stessa tendenza politica a “fottere il Pubblico, ciò che è Comune” che ha portato i magistrati a scoprire la più pervasiva tangentopoli con le stellette degli ultimi venti anni.
È il sistema Taranto. E forse non c’è nessun altra classe dirigente locale, oggi, in Italia, capace di eguagliare questi record.