cult
TERRITORI
Ho comprato una birra e pensavo fosse droga
Esperienze e percezioni in una città governata dal PD. Tra sgomberi, decoro, proibizionismo, ordinanze, piazza chiuse e musica in vendita.
Pisa*, piazzale della stazione centrale, orario aperitivo. Entro in un minimarket per cercare un po’ di birra a basso prezzo. Peroni, 33cl, 1 euro. Vado verso la cassa, intenzionato a finirmela nel tempo di arrivare a casa. Faccio per pagare, scontrino, gli chiedo di aprirmela. Il commesso mi guarda con faccia tra lo sconsolato e l’intimorito. Già me l’immaginavo che avrebbe fatto storie, ma non solo.
Mi indica di fronte a lui, alle mie spalle, in alto. Una telecamera. Non posso aprirla mi fa, mi riprendono. Dentro al suo negozio. Una telecamera di videosorveglianza interna alla propria attività per controllare LUI mentre sta alla cassa. Ci penso, gli chiedo se ha un accendino o qualcosa di simile. «Me la apro da solo, qui in strada», gli faccio. Non è convinto. Il suo sguardo fisso sulla camera. Prende la birra, sottobanco, si guarda attorno, controlla all’esterno, apre con fare losco, richiude, me la passa chiedendomi di aprirla fuori. Ringrazio. A vedere la scena, uno spettatore, avrebbe potuto tranquillamente immaginare che non stessi comprando birra.
Sembrava più un acquisto di una qualche sostanza psicotropa, o chessò delle armi, o un rene da un trafficante d’organi. È come se il livello dell’asticella della definizione di illegalità si stia alzando inesorabilmente, giorno dopo giorno, silenziosamente. Prima passa come normale che per 5 grammi vai ai domiciliari, poi diventa normale che uno non può chiedere assistenza sanitaria perchè senza documenti rischia il rimpatrio, poi se siete in più di dieci persone a trovarvi in piazza è manifestazione non autorizzata (in 5 è direzione PD), e poi arriva l’estate e via di ordinanze a caso per farti spendere quello che vogliono, come vogliono, nei tempi che vogliono. E vai di militari nelle piazze, decoro e birrette calde**. Che poi se vuoi bere alcol per strada puoi farlo eh, basta che vai poco più avanti, verso Corso Italia e i suoi barettini hipster milanesizzanti. C’è solo una differenza: la peroni da 33c costa ben più di un euro.
Poche sere dopo passo per Cavalieri, in cerca di caciara, schitarrate e compagnia. Trovo l’ingresso chiuso da transenne, presidiate da guardie con pettorina e walkman. «Cosa succede?», chiedo. «C’è un concerto» mi fa il tipo. Organizzato dal Comune. Si entra solo da Ulisse Dini. «Mmm… ma è gratis no?». «No, vendono i biglietti», risponde sereno. Ma forse ormai sono pure finiti. «Ah, e quanto costano?». «18 intero, 12 ridotto, e se hai il libretto uni…». «18 euro?! 18 euro per entrare in Cavalieri?! Per un concerto?!». «Sì, si entra da Ulisse Dini…».
Ripiego in zona Vettovaglie, un po’ perplesso, più incazzato che perplesso. Di fronte all’ingresso in Ulisse Dini le facce esprimono il mio stesso dissenso. Il bello di Vettovaglie, ho sempre pensato, è che è una piazza dove c’è tutto quello che in città esiste. Sarà che Pisa è piccola e non c’è spazio per una piazza degli studenti, una per gli autoctoni, una per i migranti… Si sta insieme, si vive la piazza. Minimarket, frigo, birra. «C’è la nuova ordinanza» – mi fa il venditore – «Da due giorni. Non posso vendere alcolici«. Che palle. Mi indica lo zaino. Apro. Mette dentro. Nessuno vede. Misfatto compiuto. Pago, esco, torno in strada.
Stasera la piazza è piena di felici criminali.
* Come ogni estate, a Pisa tornano le ordinanze anti-movida. Arrivano con la loro solita retorica anti-degrado e pro-decoro, accompagnate da pratiche più repressive del solito. Ordinanze che fanno parte di un contesto ben preciso che è quello di una primavera calda, che ha visto un grosso corteo cittadino per l’8 marzo, quindi l’occupazione di due spazi femministi poi sgomberati (1) (2) senza interlocuzione da parte delle istituzioni, le stesse istituzioni che avevano affisso al terrazzo del comune lo striscione di Non Una Di Meno. Allo stesso tempo il sindaco preferisce blindare Piazza delle Vettovaglie per allestire un siparietto in occasione del 2 giugno, mentre Piazza dei Cavalieri viene chiusa al pubblico per svolgervi concerti al prezzo di ingresso intero di 18 euro. Questo è il quadro: un uso privatistico e machista degli spazi pubblici, nel quale i discorsi su cocci di vetro e lattine abbandonate non sono che un pretesto per non parlare dei problemi reali. Come se non bastasse, dopo mesi di silenzio la maggioranza al governo della città scrive un comunicato per invitare a “non abusare della libertà di espressione”. Ed è proprio per riprendere il diritto di parola e riportare al centro le varie istanze sociali, dall’abitare alla salute, dal welfare alla socialità, che il 10 giugno si terrà un grande e partecipato corteo cittadino frutto del percorso Decide La Città, per rivendicare una sempre più espropriata decisionalità sullo spazio pubblico che noi tutt@ viviamo.
** Per chi volesse approfondire la questione del decoro come dispositivo di potere, segnalo questo articolo di Wolf Bukowski uscito su Internazionale l’anno scorso riguardo le ordinanze bolognesi, ma che torna incredibilmente attuale, anche in altre città di governo PD, ad ogni solstizio estivo.