approfondimenti
EUROPA
Guida pratica all’aborto in Polonia
Nonostante le forti limitazioni legislative, in Polonia esistono numerosi gruppi, collettivi e “reti informali” che si occupano di rendere l’aborto un diritto libero e accessibile per tutte. È grazie a loro se tante donne riescono a effettuare un’interruzione di gravidanza, che è ancora un grande tabù nel paese.
In Polonia è possibile abortire solo in caso di stupro, gravi malformazioni del feto e rischi per la salute della donna, ma l’incidenza della obiezione di coscienza unita allo stigma sociale sulla pratica sono così forti da rendere, in alcune zone della Polonia, praticamente impossibile interrompere una gravidanza, nemmeno nel caso sussistano le condizioni che renderebbero legale l’aborto. Le donne polacche si ritrovano così costrette a percorrere delle vie alternative e “sotterranee” per esercitare il proprio diritto di scelta, le vie di una “seconda Polonia” fatta di complicità, “sorellanza” e reti solidali.
«Una donna polacca che decide di abortire può intraprendere tre percorsi differenti: assumere la pillola abortiva, sottoporsi illegalmente a un intervento chirurgico all’interno del paese, oppure abortire all’estero, in un paese in cui l’IVG è legale», spiega Liliana Religa (attivista di Federa, una delle prime organizzazioni polacche istituite a favore dei diritti femminili e i diritti riproduttivi). Dagli anni 2000 sempre più donne hanno scelto di affidarsi alla pillola abortiva, che può essere facilmente acquistata online e prevede un costo minore rispetto alle altre due alternative, oltre a essere – come spiega sempre Liliana – «un metodo sicuro raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Si tratta attualmente della pratica più comune al di fuori del sistema ufficiale». Attraverso reti come Kobiety w Sieci (che fa a sua volta riferimento a reti internazionali come Women on Waves o Women on Web) o Women Help Women (un’altra organizzazione simile) è possibile ordinare online la pillola abortiva, che viene recapitata direttamente a casa. Oltre all’aiuto logistico le piattaforme forniscono informazioni pratiche, anche sulla scorta del fatto che alcune delle donne che ne fanno parte hanno avuto esperienze con l’aborto farmacologico e condividono dunque con chi le contatta dubbi e consigli. L’intento degli/delle attiviste/i è quello di offrire un effettivo supporto virtuale alle donne che decidono di intraprendere questa strada, descrivendo dettagliatamente la corretta procedura di assunzione della pillola, spiegando come agire in caso di complicazioni e fornendo tutte le informazioni medico-scientifiche necessarie: a tal proposito è presente pure una hotline a cui chi sceglie di avere un aborto farmacologico può sempre fare affidamento.
I pacchi recapitati a casa contengono solitamente due medicinali (il Misoprostolo o il Mifepristone) che consentono di terminare in modo sicuro la gravidanza. Viene richiesta una donazione fra i 70 e i 90 Euro per coprire il costo della pillola, che dovrebbe arrivare nel giro di una settimana (a meno che non venga intercettata dalla Polizia di Frontiera). Misoprostolo e Mifepristone possono essere assunti fino alla dodicesima settimana di gravidanza e causano un processo simile a quello di un aborto spontaneo. Sono efficaci nel 98% dei casi quando utilizzati in modo corretto. Il Mifepristone è la pillola abortiva vera e propria, mentre il Misoprostolo è un antireumatico che ha come effetto collaterale quello di procurare un aborto. Una pratica utilizzata da alcune donne consiste infatti nel richiedere questo medicinale in farmacia fingendo che sia necessario per motivi di salute reumatica (che magari riguardano altri membri della famiglia). «Non dimenticherò mai la paura, quando la mia fidanzata ha dovuto ingerire questa pillola, senza alcuna assistenza medica su come e se si sarebbe svolto l’aborto farmacologico e senza garanzie riguardo a ciò che stava assumendo», racconta un ragazzo che preferisce restare anonimo e che, però, anche a partire da quell’episodio ha iniziato a prendere parte alle lotte per i diritti riproduttivi. Il fatto è che questo medicinale, se assunto in modo errato, può essere pericoloso per la salute della donna. È per questo che servizi come quello di Women on Web sono fondamentali per le informazioni e il supporto che forniscono a chi decide di intraprendere questa via.
«Prima i pacchi erano spediti direttamente dall’India, ma visto che molte pillole venivano intercettate, ora molte arrivano direttamente dall’Europa così sono sottoposte a minori controlli», afferma Liliana Religa. Ciò rende questa via molto rischiosa per le donne che la scelgono, in quanto se la pillola dovesse essere sequestrata dalla Polizia di Frontiera potrebbe rivelarsi poi troppo tardi per ricorrere a un metodo alternativo di interruzione della gravidanza. Inoltre, come puntualizza un’attivista di Varsavia che preferisce restare anonima, «si tratta di una via praticabile solo se si è già a conoscenza del sito e della possibilità che offre. Ho avuto un aborto nel 2012 e per me è stato più semplice perché parlo inglese, avevo già sentito parlare del sito di Women on Web e vivo nel contesto della capitale. Nelle città piccole invece non sei mai sicura di ricevere effettivamente la pillola e la maggior parte delle donne non sanno dell’esistenza di questa piattaforma».
Molte donne polacche scelgono quindi metodi alternativi nel momento in cui decidono di voler interrompere una gravidanza. «Ero spaventata che la mia salute o addirittura la mia vita sarebbero state in pericolo se avessi fatto qualcosa del genere da sola», racconta Marta Syrwid, autrice e giornalista che ha in seguito reso pubblica la propria esperienza scrivendone per il quotidiano Gazeta Wyborcza. «Per fortuna vivevo a Cracovia e quindi in solo 3 ore avevo la possibilità di raggiungere la clinica slovacca dove avrei potuto avere un aborto. Penso che questo sia il modo più sicuro, anche se non è accessibile a tutte per questioni sia economiche che di consapevolezza». La paura per la propria salute e di un aborto clandestino nel proprio paese fanno sì che ogni anno migliaia di donne scelgano l’alternativa, certamente più costosa rispetto a quella della pillola abortiva, dell’aborto all’estero.
Nei paesi confinanti con la Polonia esistono infatti cliniche ginecologiche private per l’aborto chirurgico che si prendono carico di tutto il processo, dal viaggio fino al rientro a casa per una cifra che va dai 400 ai 600 euro (in Polonia il salario medio è di 830 euro). Ci sono linee dedicate per prendere appuntamento e anche gli infermieri e i medici parlano polacco. «La partenza avviene di mattina presto, praticamente col buio» racconta Marta. «È difficile descrivere la sensazione che si prova a essere trasportati oltre la frontiera, per un’operazione così intima, su un pulmino guidato da sconosciuti. È tutto molto strano e asettico. Appena arrivata alla clinica, mi hanno fatto firmare un foglio scritto in un polacco sgrammaticato: dovevo dichiarare di essere andata lì perché avevo un aborto spontaneo in corso». Le normative di Slovacchia e Repubblica Ceca, principali destinazioni delle donne polacche, sembrano infatti essere contraddittorie: l’interruzione volontaria di gravidanza è in teoria riservata solo a chi risiede permanentemente nel paese e la dichiarazione di un aborto spontaneo in corso sarebbe dunque un espediente per agire nella quasi-legalità. Nonostante sia molto semplice trovare queste cliniche su internet («Io ho cliccato semplicemente sul primo risultato che ho trovato digitando aborto all’estero su Google», afferma Marta), la pratica viene poco pubblicizzata sia dalle cliniche che dai governi dei paesi in cui si trovano, probabilmente per prevenire qualsiasi conseguenza sul piano delle relazioni diplomatiche con la Polonia. Risulta infatti parecchio complicato ottenere dichiarazioni ufficiali dai medici e dal personale delle strutture sanitarie che offrono il servizio, i quali difficilmente si esprimono pubblicamente sul fenomeno. Va specificato che le legislazioni di paesi quali Repubblica Ceca o Slovacchia non sono al cento per cento chiare in merito: secondo il quadro normativo, infatti, il servizio di interruzione di gravidanza dovrebbe essere a disposizione solo di chi risiede permanentemente sul territorio di queste nazioni.
Ad ogni modo, il cosidetto “abortion tourism” non è però di facile accesso per tutte. Per molte donne infatti è molto difficile raggiungere le cliniche fisicamente, non solo per il costo dei trasporti, ma anche per la mancanza di collegamenti effettivi tra la clinica e la propria casa. È per questo che sono nati movimenti come quello di Ciocia Basia, a Berlino, o dell’Abortion Network Amsterdam, nella capitale olandese: gruppi di volontari e volontarie uniti a sostegno di donne, persone trans, non-binarie o queer. Il loro obiettivo è garantire a chiunque un aborto sicuro, al di là delle possibilità economiche, e offrono oltre all’intervento chirurgico anche supporto psicologico e logistico.
Cocia Basia mette a disposizione contatti e appuntamenti con counseller e medici professionisti che garantiscono l’aborto farmaceutico a 340 euro e l’operazione chirurgica a 470 euro. Offre inoltre mediatori polacchi e cerca di supportare chi non può permettersi economicamente i prezzi richiesti e il costo del viaggio. La stessa cosa viene offerta dall’Abortion Network Amsterdam con sede nei Paesi Bassi, che vuole creare una rete di supporto per le donne che non hanno accesso all’aborto sicuro nel loro paese. I Paesi Bassi ricevono sempre più domande per quanto riguarda questa pratica visto anche il fatto che, a differenza della dodicesima prevista come limite dalla maggior parte dei paesi europei, consentono l’interruzione della gravidanza fino alla 23esima settimana.
Ciò che spinge molte donne ad abortire all’estero è infine il timore dei possibili rischi legati all’aborto clandestino. «Ero troppo impaurita dalla possibilità di farlo in Polonia», spiega ancora Marta. «Non volevo ritrovarmi in qualche appartamento privato o qualche strano ufficio. In seguito, però, sono venuta a sapere che persone molto vicine a me si erano sottoposte anni addietro a una simile procedura nel territorio polacco. Mi hanno raccontato come avessero pagato in un ospedale 2000 zl (circa 500 euro) e quanto fossero state fortunate, nonostante lo spavento che provavano. Ma, in generale, non è difficile trovare un medico che operi un intervento di questo tipo. In alcuni casi, è magari la propria ginecologa a scrivere un foglietto con il luogo e l’ora dell’intervento: ci si reca all’ospedale indicato e si aspetta in sala d’attesa come una normale paziente».
Un altro metodo per trovare un medico che operi illegalmente è attraverso gli annunci sui giornali, che riportano fra gli annunci diciture come “ginecologia dalla a alla z” o “riprenditi il tuo ciclo”: una realtà comune e tacitamente accettata da quasi tutti, per quanto rimanga sommersa. Capita infatti che anche molti medici, che ufficialmente si dichiarano obiettori di coscienza, praticano aborti in clandestinità nei loro stessi studi privati o pubblici, registrando l’operazione sui referti medici come afferente ad altre categorie di intervento. Ciò conferma quanto avevamo sostenuto nel precedente capitolo: molti appelli all’obiezione di coscienza in Polonia non sono sinceri. I dottori spesso la invocano come precauzione più che per pura convinzione, per la paura di perdere il posto di lavoro o di essere vessati da colleghi e superiori.
È chiaro che ciascuna di queste soluzioni “alternative” per ottenere l’interruzione di gravidanza altrimenti non concessa dallo stato polacco presenta limiti e criticità. Ristrettezze economiche, isolamento geografico e scarso accesso alle informazioni rendono di fatto impossibile per molte donne anche solo tentare di praticare un aborto. È dunque solo garantendo che a esso si possa ricorrere in maniera libera, legale e sicura che è possibile sopperire alle differenze socio-economiche e territoriali e fare in modo che sia concesso a tutte e tutti di autodeterminarsi e scegliere sul proprio corpo. Perciò sono nati negli ultimi anni molti gruppi di attivisti/e , come la rete Aborcyjny Dream Team on Tour che si occupa di educazione e preparazione all’aborto farmacologico. L’intenzione è di creare una rete di supporto nazionale per le donne che hanno deciso di abortire, “per risparmiare la paura e l’ansia”. Sulla pagina facebook vengono condivisi consigli su come farlo da donne che l’hanno già provato, viene inoltre offerto supporto dalle stesse per le donne che stanno per abortire e hanno bisogno di qualcuno con cui parlare e confidarsi. Attualmente una delle principali attività dell’Aborcyjny Dream Team consiste in una serie di meeting (un tour per la Polonia) per parlare di aborto e rompere quel silenzio mediatico e della società civile sul tema, creando così un network forte di supporto alle donne. “Aborcja jest ok!”, ovvero “L’aborto è ok”, è lo slogan del movimento, ed è proprio attraverso la parola, il manifesto e lo shock mediatico che queste attiviste vogliono rompere il silenzio nel paese: grazie a loro si è arrivati nel 2018 alla prima manifestazione esplicitamente a favore di un pieno riconoscimento legale dell’interruzione volontaria di gravidanza. Durante il corteo nella capitale Varsavia che ha visto migliaia di partecipanti, erano presenti anche decine di militanti pro-life hanno provato a contrapporsi con slogan, canti religiosi e manifesti con immagini (fasulle) di feti abortiti. È il segno che esistono ancora divisioni profonde all’interno della società, spesso strumentalizzate dalle forze della destra conservatrice e ultra-cattolica. Ma intanto la “seconda Polonia” avanza, senza chiedere il permesso.
Testo pubblicato sul blog Le parole per dirlo, le parole per farlo, creato a seguito di un progetto del bando Fuori Rotta 2018, e quarto di una serie di interventi usciti su DINAMOpress. OnTheJanion è un collettivo nato in seguito a un viaggio di indagine sui movimenti femministi in Polonia. Ne fanno parte: Francesco Brusa, Alice Chiarei, Mara Biagiotti e Francesca Bonfada