approfondimenti
![](https://www.dinamopress.it/wp-content/uploads/2025/02/15_novembre_2014._Goma_Nord-Kivu_RD_Congo._Une_vue_aérienne_de_la_ville_de_Goma._16927160596-1114x557.jpg)
MONDO
Goma è solo l’ultimo capitolo di una tragedia trentennale
Da 30 anni la Repubblica Democratica del Congo è dilaniata da guerre civili sostenute dagli stati confinanti per la rapina di risorse minerarie essenziali per la tecnologia più avanzata. La cronaca degli ultimi feroci episodi
Negli ultimi 30 anni a fasi alterne, sempre scandite dal numero dei morti e di catastrofi, da qualche parte, in fondo a qualche giornale si parlava e si parla di Repubblica democratica del Congo (RDC). Un paese martoriato da guerre infinite, come praticamente infinite sono le sue risorse minerarie. In queste tre decadi la sete di ricchezza e la spasmodica ricerca del profitto hanno portato a più di 10 milioni di morti e allo sfollamento di più di 8 milioni di persone, senza dover parlare delle centinaia di migliaia di donne che hanno subito violenze e dei bambini arruolati nei vari gruppi armati o di quelli che sono costretti a lavorare per 12 ore al giorno nelle miniere che forniscono tutti i materiali indispensabili per cose che noi diamo per scontate. Telefoni, batterie, computer ed elettrodomestici, passando per cavi della corrente e arrivando fino ad anelli e collane che tanto desideriamo.
La maggior parte, se non tutti, questi oggetti sono fatti sulla pelle di milioni di persone che non vediamo, lontane nel cuore di quella che chiamavamo, ma che ancora senza dirlo ad alta voce, ci piace pensare che sia, l’Africa nera.
Nel 2022 è iniziato uno di quei momenti in cui i morti sono aumentati e l’opinione pubblica internazionale si è indignata. Tre anni fa l’M23, una delle più di 100 milizie presenti in RDC, ha ricominciato la sua avanzata nelle province del Nord e Sud Kivu, ricche di tutti quei minerali come tungsteno, coltan, tantalio, stagno e rame indispensabili per la fabbricazione delle batterie elettriche. La milizia già nel 2012 aveva sferrato una pesante offensiva che aveva portato alla conquista della capitale provinciale del Nord Kivu, Goma, abbandonata dopo pochi giorni sotto la pressione internazionale. Ma non si può capire quello che oggi si racconta della devastante crisi del Congo senza prima chiarire che i gruppi armati presenti sul territorio sono per la maggior parte foraggiati dalle nazioni, vicine e lontane, che vogliono impossessarsi delle ricchezze congolesi. L’M23, come ormai confermato da diverse indagini indipendenti e delle Nazioni Unite, è sostenuta dal piccolo vicino della RDC, il Ruanda. Dal 1994, quando in Ruanda nel giro di poco più di due mesi estremisti di etnia hutu hanno massacrato più di un milione di cittadini di etnia tutsi e hutu moderati, la presenza di uomini di Kigali in territorio congolese non è mai cessata. Dopo il genocidio ruandese si sono susseguite due grandi guerre regionali, la prima dal 1996 al 1997 e la seconda, ricordata anche come Prima guerra mondiale africana, dal 1997 al 2003: entrambe combattute entro i confini della RDC. In queste guerre Kigali ha ricoperto un ruolo cruciale nella caduta del regime di Mobutu Sese Seko, dittatore trentennale della RDC, durante il primo conflitto e nell’appoggio alle milizie ribelli durante il secondo.
Oggi sembra che la possibilità dell’esplosione di un’altra grande guerra regionale non sia così remota. Negli ultimi tre anni la milizia M23 e le bande alleate, riunite sotto il nome di Alleanza del Fiume Congo (AFC), hanno sbaragliato la resistenza dell’esercito congolese e dei gruppi armati filo governativi.
La presa di Goma
I ribelli hanno conquistato i più importanti centri minerari nel Nord Kivu arrivando, la scorsa settimana, a conquistare per la seconda volta Goma. Nelle scorse settimane durante la sanguinosa battaglia che ha portato ad almeno 3.000 morti nella capitale regionale del Nord Kivu, molti cittadini di Goma hanno dichiarato ad Ap e Reuters di aver visto soldati ruandesi per le strade della città. Con l’ultima grande offensiva iniziata con il nuovo anno l’AFC si è assicurata il controllo di una discreta parte di territorio congolese nel quale ha già impiantato un suo sistema di governo e tassazione. All’inizio della settimana, dopo che il portavoce dell’M23 e il comandante dell’AFC avevano minacciato di continuare ad avanzare verso la capitale regionale del Sud Kivu e addirittura di muovere i proprio uomini contro la capitale nazionale Kinshasa, è stato annunciato un cessate il fuoco unilaterale: «L’Alleanza del Fiume Congo (AFC/M23) informa il pubblico che, in risposta alla crisi umanitaria causata dal regime di Kinshasa, dichiara un cessate il fuoco a partire dal 4 febbraio 2025 per motivi umanitari», hanno affermato i ribelli in una dichiarazione pubblicata su X.
In meno di un mese l’avanzata dell’M23 ha portato allo sfollamento di almeno 400.000 persone, di cui molte vivevano negli enormi campi profughi alla periferia di Goma. Gli ospedali della capitale provinciale sono al collasso con la città tagliata fuori da tutte le vie di approvvigionamento.
Finiti gli scontri il personale sanitario, e non solo, si è velocemente adoperato per bruciare almeno 2.000 corpi, che senza energia elettrica per tenere accesi i refrigeratori degli obitori, rischiavano di creare focolai di malattie. Resterà da capire se questo cessate il fuoco verrà rispettato da entrambe le parti e per quanto tempo, anche se già il giorno successivo all’entrata in vigore sembrerebbe che le milizie siano avanzate verso importanti centri minerari nel Sud Kivu.
Sul campo poi non ci sono solo le milizie, le truppe ruandesi e le Forze armate congolesi. Infatti oltre alla missione di pace dell’ONU (MONUSCO) presente da 20 anni nel Congo orientale, ci sono anche diversi contingenti di paesi africani come Sudafrica, Burundi, Kenya e Malawi. Contingenti schierati, con l’obiettivo di proteggere la popolazione civile, a seguito di accordi presi dai gruppi regionali di cui fa parte la RDC, come l’East Africa Community (EAC) e la South Africa Development Community (SADC). Ci sono anche truppe dall’Uganda, nazione di confine anche lei per un motivo o per un altro sempre con un piede nella RDC. In suolo congolese nel quadro di una missione contro un’altra milizia, l’Allied Defence Force (ADF), legata allo Stato islamico dell’Africa orientale, le truppe di Kampala giocano un ruolo nel controllo delle risorse. Con l’inasprirsi del conflitto nelle ultime settimane e con la perdita del controllo di importanti centri minerari da parte di Kinshasa, l’Uganda ha deciso di schierare sul campo altri 1.000 uomini a contrasto dell’ADF. Quanto il contrasto alla milizia islamista vada di pari passo alla possibilità di contrabbandare minerali non è dato saperlo.
La scorsa settimana sono stati uccisi in combattimento almeno 13 soldati sudafricani. Cyril Ramaphosa, Presidente sudafricano ha accusato direttamente il Ruanda, avvisando che, se le truppe sudafricane saranno ancora bersaglio delle forze ruandesi e dei loro alleati, verrà considerato «come una dichiarazione di guerra».
Di guerra aperta ha parlato anche la ministra degli Esteri della RDC, Therese Kayikwamba Wagner, che alla riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza dell’ONU di 10 giorni fa ha affermato che, se «le truppe ruandesi entreranno a Goma, allora sarà una dichiarazione di guerra». Di altro tenore sono invece le dichiarazioni del presidente keniano William Ruto, oggi presidente di turno dell’EAC, che ormai da giorni chiede alle parti in conflitto di trovare una soluzione. Per il prossimo fine settimana Ruto ha convocato una seduta straordinaria dell’EAC dove è atteso un confronto tra Paul Kagame, Presidente ruandese e il Presidente della RDC Felix Tshisekedi. Un incontro che più volte negli ultimi tre anni si sarebbe dovuto fare sotto l’egida del Presidente angolano João Lourenço, incaricato dall’Unione Africana come mediatore per il conflitto in RDC, ma che non ha mai portato a nessun cambiamento, quelle poche volte che si è svolto.
Il nodo centrale di queste trattative è il categorico rifiuto dei Kinshasa di sedersi al tavolo con i comandanti dell’M23, che il governo congolese reputa solo come il braccio armato di Kigali. Quanto le milizie riunite nell’AFC siano completamente soggette agli ordini del Ruanda non è dato saperlo, quello che è certo è che la gestione di molte delle più importanti miniere della regione permette alle milizie di fare affari con molti attori internazionali, cinesi, europei e americani.
Affari che, secondo un’indagine delle Nazioni Unite pubblicata a dicembre, valgono quasi 800.000 dollari al mese, tra la vendita dei minerali e le tasse sulla produzione.
Gli affari dell’Occidente
Le potenze del mondo occidentale, G7, EU, US e ONU, condannano aspramente le atrocità che avvengono nel Congo orientale, chiedendo a Kigali di ritirare il proprio supporto all’M23 e alla milizia ribelle di lasciare le posizioni conquistate. Ma se da una parte arriva la condanna, dall’altra si fanno affari. La scorsa primavera il Ruanda ha firmato un memorandum d’intesa con l’Unione Europea, proprio per la commercializzazione di quei minerali di cui però il piccolo paese africano dispone in quantità esigue. Ma anche le grandi aziende dell’elettronica cercano il prezzo più conveniente a cui comprare i materiali. Ed è così che il governo di Kinshasa ha fatto causa ad Apple, dopo che un indagine indipendente ha mostrato come i minerali usati dalla big tech americana provengano in parte dal contrabbando diretto dalle milizie e in parte dal Ruanda. Apple ha sempre negato le accuse e ha ribadito che la sua catena di approvvigionamento è controllata e sicura, ma non ha mai prodotto una documentazione che sostenga l’ affermazione d’innocenza.
Le potenze occidentali sono ritenute responsabili di quello che sta accadendo in RDC e proprio per questo la scorsa settimana migliaia di persone sono scese in piazza a Kinshasa prendendo di mire le ambasciate di Francia, UK, Stati Uniti e altre.
Alcune delle strutture sono state date alle fiamme con la popolazione che accusava l’Occidente di complicità con Kigali e di perseguire interessi economici prolungando l’instabilità nel Congo orientale.
Oggi più di ieri sembra impossibile trovare una soluzione a un conflitto che a molti fa comodo. I minerali che si nascondono nella pancia della RDC, indispensabili per la transizione energetica di cui tanto si parla, fanno gola a chi più della transizione interessa il profitto. Una transizione mondiale, che di comune ha ben poco: da una parte le Tesla che sfrecciano per le vie delle grandi metropoli, dall’altro milioni di persone senza volto che muoiono per far muovere quella macchina, senza poterla mai nemmeno vedere.
Immagine di copertina: wikimedia commons
SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS
Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno