ITALIA
Godere del presente
Ieri sera ci ha lasciato Franco Piperno. Un ricordo, singolare e comune, di un amico: nostro e delle stelle
Incontrammo Franco una prima volta leggendolo. Volgevano al termine gli anni Novanta, dopo il “pacchetto Treu” e, con esso, l’avvio della precarizzazione del mercato del lavoro, il centro-sinistra aveva deciso di non risparmiarsi con l’università: “bozza” Martinotti, prima (1997), riforma Zecchino-Berlinguer, a seguire (1999). Fu allora che Franco, sollecitato dai collettivi studenteschi meno dogmatici, scrisse un articolo che segnò la nostra formazione politica. Si trattava, a suo avviso, di «dimorare tra le rovine» dell’università voluta, in Europa, da Wilhelm von Humboldt. E di farlo respingendo lo specialismo idiota che il modello americano stava imponendo al mondo. Tra le proposte, la più accattivante era la seguente: farla finita con gli steccati disciplinari; prevedere percorsi di studio nei quali fosse possibile, al contempo, dedicarsi alla fisica della materia e alla filologia romanza. Fu dinamite, per noi.
A seguire, Franco lo incontrammo, e conoscemmo davvero, nel movimento di Genova, negli anni immediatamente successivi. Amministratore locale, si batteva per il «diritto alla città», il federalismo municipale, per la «buona vita» urbana. Avevamo letto i suoi testi brevi degli anni Settanta, approfondito le gesta operaiste e ci stupiva, quindi, con il suo Aristotele degli anni zero: felice, il vivente che parla e delibera in piazza. Di Marx, Franco preferiva conservare la celebrazione della Comune, dal mandato imperativo, e breve, all’autogoverno dei produttori. Non il lavoro, al centro della discussione politica e organizzativa, ma il non-lavoro, l’attività, il gioco; Fourier, forse, meglio di Marx. Le sferzate sarcastiche tra Franco e Toni Negri, ad Architettura a Venezia, dal 2002 al 2004, riattualizzavano la polemica ottocentesca.
Quando occupammo Esc, Franco intervenne nell’assemblea cittadina con la quale davamo conto delle ragioni e delle proposte: era gennaio, freddo, venti anni fa esatti. Con Paolo Virno e Franco, organizzammo il primo seminario della Libera Università Metropolitana. Il tema, proposto da un paio di relazioni iniziali di Paolo, era l’innovazione. Fu divertente, perché Franco fece uno speech contro la contemporanea nozione di “nuovo”. In verità, nelle divaricazioni non banali, i due amici di sempre concordavano su un punto, il loro comune e non rinnegato ateismo: non esiste creazione ex nihilo; il nuovo è, sempre, un inedito modo di trattare, o combinare, la materia eterna, la prassi della specie. Franco tendeva poi a esagerare, cercando il comunismo nella Grecia classica o nelle prime comunità cristiane, ma lo faceva – ne sono certo – per far saltare in aria l’ossessione dell’epoca per il futuro. Se c’è qualcosa che distingue il materialista dagli altri, insisteva, è senza dubbio il rapporto col tempo: intenso, pulsato; proprio ora, e non nei «domani che cantano».
Sempre quell’anno, venti anni fa esatti, ripresero i movimenti studenteschi; contestavamo la riforma Moratti. Poi arrivò la crisi finanziaria del 2007-2008 ed esplose l’Onda. Franco era entusiasta, letteralmente. Raggiungeva spesso Roma, veniva a Esc, andavamo a cena a San Lorenzo, frequentava quando poteva le assemblee, attraversava i cortei. A Cosenza, da professore faceva la sua parte; a Roma, era lieve, godeva di una sorta di sentimento ambientale, atmosferico. Quando emergevano i contrasti aspri nel movimento, lui, che senz’altro ne aveva conosciuti di peggiori, ci suggeriva mitezza, autoironia. Un po’ lo ascoltavamo, un po’ no, convinti allora che la presidenza di un’assemblea valesse uno scazzo: col senno di poi, ma forse è così per i militanti in ogni epoca, tempo buttato.
«Allargamento qualitativo del tempo presente»: questo, il motto col quale ci suggeriva di guardare a ciò che eravamo già, alla forma di vita conquistata, ai luoghi della nostra prassi. Franco non si dedicava allo sport preferito della sinistra antagonista ultima: gettare fango sui centri sociali. Intendiamoci, i limiti di una esperienza politica ormai quarantennale non sfuggono a nessuno, ma quasi nessuno, come Franco, sapeva cogliere i pregi dell’autogestione. Limite del movimento operaio, sosteneva, era stato l’abbandono delle sue forme originarie, tra camere del lavoro, università popolari, mutualismo. I centri sociali, a suo avviso, potevano tenere assieme Aristotele e Fourier, democrazia diretta e gioco, retorica e scienza sperimentale, politica e vita comune.
Franco e le stelle. Franco ellenistico, allora: l’osservazione del cielo come terapia, «esercizio spirituale». Delle stelle ci parlò durante C17, la conferenza mondiale sul comunismo che organizzammo, a Roma, a cento anni dalla Rivoluzione. Lo fece alla Galleria Nazionale di Arte Moderna, ma poi venne anche a Esc: fu comico, uscimmo in via dei Volsci, nel suo ultimo tratto prima del Verano, per sfuggire alle luci, ma c’erano le nuvole e non si vedeva niente; poco male, Franco ci raccontò i miti legati alle stelle e il cielo divenne una costellazione, nonostante tutto. Le parole, di Franco, sapevano ammaliare, anche quando il disaccordo balzava in primo piano.
Franco epicureo. Con le parole di Pierre Hadot:
«Diversamente dalla tesi degli stoici, per guarire l’anima non bisogna esercitarla a tendersi, ma, al contrario, esercitarla a distendersi. Anziché rappresentarci i mali in anticipo, per prepararci a subirli, dobbiamo, al contrario, staccare la nostra mente dalla visione delle cose dolorose, e fissare lo sguardo sui piaceri. Occorre fare rivivere il ricordo dei piaceri passati e godere dei piaceri del presente, riconoscendo quanto siano grandi e gradevoli tali piaceri del presente. Si tratta di un esercizio spirituale ben determinato: non più la vigilanza continua dello stoico, che si sforza di essere sempre pronto a salvaguardare, ogni istante, la sua libertà morale, ma la scelta deliberata, sempre rinnovata, della distensione e della serenità, e una gratitudine profonda verso la natura e la vita che, se sappiamo trovarli, ci offrono incessantemente il piacere e la gioia».
Così, Franco, non ti dimenticheremo. Mai.
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