editoriale
Gli spazi sociali e la marcia su Roma del ministro Salvini
La lista degli sgomberi stilata dal Viminale contro le occupazioni non è solamente l’ultimo atto di una storia di ritorsioni contro la realtà autogestite romane. E neanche solo una mossa elettoralistica. È il segnale di una riorganizzazione autoritaria del governo delle città. Contro di questa, serve una nuova politica degli spazi sociali
Sarebbero 88 gli stabili occupati da sgomberare nella città di Roma. 22 con estrema urgenza. Tra questi figurano luoghi storici dell’autogestione romana, come il Nuovo Cinema Palazzo, Acrobax, Strike e molte occupazioni abitative.
L’annuncio arrivato in questi giorni sulla stampa nazionale di una nuova lista di sgomberi stilata dalla Prefettura, sembra essere solo l’ultimo capitolo di una storia decennale di minacce e ritorsioni contro gli spazi autogestiti romani.
Ma in questo caso, non bisogna farsi ingannare troppo dalle apparenze.
La lista arriva nel punto più intenso dello scontro tra il Ministro Salvini e la Sindaca Raggi sulla città di Roma. Negli stessi giorni in cui si produce in una serie insistente di dichiarazioni contro l’amministrazione romana («a Roma mi sembra che ci sia un sindaco che non ha il controllo della città»), Salvini stralcia il “Salva-Roma” dal Decreto Crescita, rischiando così di innescare una crisi nel governo nazionale.
La campagna denigratoria che il leader della Lega ha deciso di organizzare contro il Campidoglio ha dei motivi evidenti: quello di preparare la campagna elettorale mettendo in tensione il rapporto con il partner di governo puntando sulla più debole (e più importante) esperienza governativa dei Cinque Stelle (quella della Capitale) e, al contempo, avviare la marcia su Roma della nuova destra a trazione leghista, tesa alla conquista politica del Campidoglio. Ora, con la lista degli sgomberi, il Viminale interviene direttamente a destabilizzare gli equilibri della città, marginalizzando il potere di mediazione conferito al Sindaco.
Ma c’è di più: dietro il conflitto apparentemente solo elettoralistico su Roma, si nasconde in realtà un progetto di riorganizzazione in senso autoritario dei poteri dello stato nei confronti delle realtà urbane per disciplinarli, in nome della sicurezza, alle logiche del profitto e della rendita. La lista degli sgomberi degli edifici occupati a Roma arriva infatti a pochi giorni di distanza dalla direttiva contro il degrado, con la quale il Ministero conferisce ai Prefetti poteri speciali di intervento sulla gestione delle città, scavalcando e commissariando così di fatto il ruolo di mediazione delle amministrazioni comunali, mettendo a punto strumenti eccezionali atti a prevenire e ad intervenire contro un possibile conflitto con i sindaci in merito all’applicazione di misure dal sapore autoritario.
Alla campagna propagandistica contro il governo capitolino, corrisponde dunque qualcosa di più serio, come uno stato d’assedio delle città. È dentro questo cambio di quadro che si iscrive oggi la difesa degli spazi occupati e autogestiti, in quanto laboratori di democrazia e argine ai meccanismi di privatizzazione.
«Dove non arrivano i sindaci arriviamo noi»
Finora, l’unica reazione della Giunta capitolina alle minacce di Salvini è affidata alla foglia di fico di Casapound, come se l’invocazione dello sgombero di un covo fascista – non per la sua matrice anti-democratica e la sua usuale pratica squadrista, ma per problemi di abusivismo – fosse in grado di mettere in difficoltà il Ministro degli Interni sul suo stesso terreno. Il fatto che ad oggi si usi questo come l’unico argomento per respingere l’offensiva del Viminale, è la dimostrazione più evidente della parabola suicida del legalitarismo pentastellato
Il salto di qualità impresso dal Ministro Salvini nella lotta contro gli spazi sociali e abitativi romani, può essere infatti inteso come la conseguenza “estrema” di una lunga storia di attacchi contro le realtà autogestite iniziata dal centro-sinistra romano e proseguita con zelo dalla stessa amministrazione Cinque Stelle. Del resto, quando il legalitarismo più cieco viene assunto come asse centrale del governo di una città, questo apre la strada a chi può disporre della legge stessa con strumenti d’eccezione.
L’annosa questione delle occupazioni nella città di Roma ne è un esempio da manuale.
Negli anni, la proliferazione delle occupazioni abitative e sociali nella Capitale è stata il segno di un processo di riorganizzazione “dal basso” e solidaristica di una città martoriata dalla cronica mancanza di spazi di socialità, servizi e cultura. Pur senza limitarsi affatto a una funzione di mera supplenza e compensazione delle inefficienze dell’amministrazione comunale, gli spazi hanno in ogni caso impattato con la situazione di strutturale squilibrio nell’accesso a una cittadinanza sostanziale per i cittadini romani – specialmente nelle zone più periferiche – radicando nuove relazioni sociali e nuove forme di vita, innescando un conflitto contro l’appropriazione dello spazio urbano da parte dei privati e la rivendicazione del suo uso comune. Invece di riconoscere il valore sociale di questo immenso patrimonio e l’autonomia politica di queste esperienze, le amministrazioni che si sono succedute non hanno fatto altro che passare l’intero universo dell’autogestione romana sotto il setaccio della legalità. Quando la sindaca Raggi è stata eletta, ha ereditato una situazione già di conflitto aperto tra l’amministrazione e le realtà sociali: invece di stabilire una qualche negoziazione di fronte a un movimento che aveva nel frattempo riempito le piazze a difesa della città solidale, ha preferito trincerarsi dietro il rispetto delle regole, dimenticandosi che governare una città vuol dire poterle modificare, le regole. È su questa situazione ancora aperta ma paralizzata dagli equilibrismi della Giunta che si iscrive l’affondo del Ministero degli Interni, che ora usa gli sgomberi per destabilizzare lo stesso governo della Capitale: «dove non arrivano i sindaci arriviamo noi». In fondo, lo Stato di Polizia salviniano non è altro che la continuazione del legalitarismo con altri mezzi.
Una nuova politica per gli spazi sociali
Che lo sgombero degli spazi sociali diventasse il campo scelto dal Ministro degli Interni per scontrarsi contro la Sindaca Raggi e per “prendere” Roma, era un fatto evidente almeno dall’ottobre scorso, quando Salvini, giunto a San Lorenzo sul luogo del delitto di Desirée Mariottini, invece di usare il solito spartito contro i migranti, aveva dedicato il suo consueto richiamo all’ordine per dichiarare guerra alle occupazioni abusive. Non senza una strizzata d’occhio alle forme più efficienti di speculazione edilizia, che mirano alla gentrificazione di edifici e aree esistenti sbarazzandosi di ostacoli fastidiosi e di usi diversi dello spazio urbano. Gli ultimi passaggi di questi giorni, non fanno che radicalizzare quelle intenzioni e quel programma politico.
È per questo che quella degli spazi sociali e delle occupazioni non è solo la difesa delle esperienze storiche dell’autogestione, ma si inserisce di fatto all’interno di uno scontro politico di natura più generale: questo sarà il terreno su cui si sperimenterà l’applicazione di una gestione emergenziale dei territori urbani agita direttamente dal ministero degli Interni che avrà conseguenze sull’intera vita democratica delle città. Di fronte a questo scenario, saranno necessarie forme di “resistenza non resistenziale” che sappiano aprire una contesa all’altezza della sfida. Qualsiasi tentennamento o imbarazzo delle forze politiche e sociali, sarà un lasciapassare alla spirale autoritaria.