approfondimenti

ITALIA

Gli algoritmi di ricerca Google e la solidarietà femminista

Perché l’algoritmo di ricerca non riconosce il valore della solidarietà femminista? Riflessioni sui nuovi aggiornamenti del core update di Google

Riempire lo spazio virtuale per creare comunità operative anche “al di fuori” del web e utilizzare gli strumenti digitali per condividere saperi dal basso è una sfida enorme. Da molti anni, collettivi e gruppi transfemministi hanno sperimentato nuove forme di solidarietà e potenti forme di empowerment con la messa in Rete di esperienze e di conoscenze mediche che superano i normali recinti imposti dal sapere medico-scientifico tradizionale. Tuttavia in questi nuovi spazi, la lotta tra pratiche di mutualismo dal basso e la censura che violentemente cade dall’alto è sempre accesa per via della mancanza di neutralità delle tecnologie informatiche a nostra disposizione.

Lo hate speech su Instagram e Facebook contro soggettività LGBTQIA+, donne e persone razzializzate, ma anche i gruppi di revenge porn su Telegram, nei quali viene perpetrata una quotidiana violenza sui corpi delle donne, sono pratiche accettate e raramente ostacolate dai colossi della tecnologia. Allo stesso tempo, account di divulgazione sessuale vengono sospesi perché condividono contenuti contrari alle “norme della comunità”, come denunciato da @jouissance.club, account Instagram con più di 130mila followers, disattivato insieme a diversi altri. Anche le/i sex workers denunciano da anni di dover combattere contro la censura dei loro contenuti autoprodotti.

 

A metà strada tra piattaforme digitali, siti web e comunità fisiche, esistono diverse esperienze femministe che garantiscono l’accesso ad informazioni e servizi sulla salute sessuale e riproduttiva.

 

La comunità di Obiezione Respinta ne è un esempio: dalla nostra nascita, abbiamo sfruttato la visibilità della Rete e dei social media per far conoscere e diffondere a livello nazionale un progetto, raggiungibile dal sito obiezionerespinta.info, che è ospitato su server autogestiti.

 

 

Come altri progetti online, anche il nostro è stato colpito dalla scure della censura e da attacchi violenti: nel 2018, Facebook ha rimosso un post perché raffigurante un’immagine, considerata “oscena”, pubblicata nel 1975 dal quotidiano “L’Espresso” mentre il movimento anti-choice, col supporto politico dell’estrema destra, ha approfittato dell’emergenza sanitaria per denunciare a mezzo stampa la nostra attività di supporto alle donne il cui accesso all’IVG è stato fortemente limitato dal lockdown sperimentato nei mesi scorsi.

Esistono poi realtà attive su scala globale come Women on Web, un’organizzazione senza scopo di lucro che fornisce supporto a tutte le donne e le persone incinte per un accesso sicuro alla contraccezione e all’aborto.

Women on Web è composta da medici, ricercatrici, attiviste, donne e persone che hanno o non hanno necessariamente avuto un’esperienza personale di interruzione di gravidanza [4], una realtà decennale che garantisce l’aborto farmacologico telemedico in decine di paesi del mondo grazie a un help-desk multilingue e a molte reti di solidarietà affiliate. È un progetto che nasce per fornire assistenza a chi vive in aree del mondo in cui l’accesso sicuro alla contraccezione d’emergenza e alle tecniche abortive non è garantito o, come in Italia, è fortemente limitato. Insieme alla questione prettamente “legale” vanno necessariamente sommati gli ostacoli familiari, di lingua e di classe che spesso impediscono l’accesso ai servizi anche laddove sono garantiti per legge. Per questo motivo, l’accesso immediato ad informazioni affidabili fornite da associazioni che non fanno capo a movimenti anti-choice è fondamentale per la vita di molt*.

 

“I need an abortion!”: il titolo di womenonweb.org non è casuale, ma ha lo scopo fondamentale di raccogliere il grido disperato di chi ha bisogno di abortire nel più breve tempo possibile, di chi non può aspettare perché si tratta della sua vita e del suo futuro.

 

 

Un grido raccolto spesso nell’unico spazio in cui si possono porre domande passando inosservate: quello virtuale del motore di ricerca. Dal momento in cui quel grido viene digitato sulla barra di ricerca di Google, passano pochi secondi prima di ricevere una risposta, formulata dal motore di ricerca in base a un algoritmo che dà visibilità a un sito specifico piuttosto che a un altro. Per anni, la ricerca scientifica si è soffermata a descrivere come i motori di ricerca siano influenzati fortemente dalla personalizzazione algoritmica e dalla risultante segregazione in ambienti digitali che riflettono le proprie preferenze, chiamati filter bubble. Ma quando lo sguardo e il punto di enunciazione cambia e si vanno a interrogare le attiviste su come è utilizzato il motore di ricerca, ci rendiamo conto che molt* utenti del web non sono alla ricerca di notizie o acquisti online ma di un contatto diretto con reti di solidarietà che sappiano ascoltare e dare accesso a informazioni sicure. Una connessione che viene garantita solo nel momento in cui il sito è accessibile attraverso una rapida ricerca su Internet. Qual è il meccanismo che permette questo collegamento?

 

L’algoritmo di ricerca è il fulcro di ogni motore di ricerca: immettendo in ingresso una stringa di testo, o search query, Google restituisce in uscita una lista di siti web ordinati per rilevanza o indicizzati. Dalla sua nascita, l’algoritmo di ricerca di Google è stato modificato più di una volta l’anno dall’azienda.

 

Alcune modifiche vengono chiamate core update, o aggiornamenti di base, e modificano l’importanza ed i pesi relativi ai valori dei fattori che servono a indicizzare una pagina web. Negli ultimi anni, Google ha assunto migliaia di persone, chiamati rater, al solo scopo di dare una valutazione ai siti web e registrare il loro valore all’interno di una scala di fattori. Non viene valutato il singolo sito web ma l’algoritmo impara dai dati acquisiti dal gruppo dei rater attraverso un procedimento autonomizzato di apprendimento.

Una sezione significativa delle linee guida usate dai rater per valutare un sito web è occupata da tre parametri di valutazione che sono indicati dall’acronimo E-A-T: Expertise, Authoritativeness e Trustworthiness (Competenza, Autorevolezza e Affidabilità).

Il primo fattore misura la competenza del creatore del contenuto in base alla quantità di riferimenti di qualità, il secondo l’autorevolezza del contenuto in base a citazioni e riferimenti esterni al sito e il terzo è molto simile al primo ma più centrato sull’affidabilità del contenuto. Poiché i criteri di indicizzazione dei siti web sono in costante evoluzione, molte aziende o attività commerciali assumono figure specializzate nell’ottimizzazione per i motori di ricerca (Search Engine Optimization o SEO), ossia in tutte quelle attività finalizzate al miglioramento del contenuto di un sito web all’unico scopo di aumentare il suo posizionamento nelle pagine di risposta alle search queries degli utenti (Search Engine Results Page o SERP).

 

Senza approfondire ulteriormente l’argomento, in seguito all’ultimo core update dell’algoritmo avvenuto il 4 maggio, il sito Womenonweb.org ha registrato un calo pari al 90% del traffico al sito.

 

 

Come denunciato dalle attiviste, si tratta della variazione più significativa mai osservata dopo un aggiornamento dell’algoritmo di ricerca. È evidente che il contenuto di un sito di un’associazione come Women on Web che si occupa da più di 15 anni di supporto e mutualismo non risponde a questi criteri, puramente funzionali a logiche di mercato e profitto, fondate sulla verificabilità diretta dei contenuti e creati appositamente per amplificare la visibilità di siti istituzionali.

L’affidabilità e la competenza di una rete informale di solidarietà sono caratteristiche riconosciute da tutte coloro che hanno avuto accesso alla contraccezione o all’aborto grazie ad essa ma non sono misurabili attraverso i parametri imposti da Google.

Il valore di pratiche di mutualismo non è un parametro all’interno della valutazione dei raters e, pur diffondendo informazioni certificate da personale medico-sanitario che opera all’interno dell’associazione, la loro autorevolezza non viene certificata per via della mancanza di un numero sufficiente di riferimenti esterni e studi scientifici riportati in riviste di settore. D’altronde, come certificare l’efficacia di una rete informale quando i Paesi e i contesti in cui si opera impongono riservatezza per tutelare chi non ha possibilità di esporsi?

 

L’attivismo digitale non può essere imbrigliato con logiche di mercato laddove esistono relazioni, saperi e comunità da difendere e riprodurre, una ricchezza non misurabile ma non per questo meno rilevante.

 

Core update, censura e movimenti anti-choice: non sarà certo per questo che la nostra realtà, come quella di Women on Web, cederà di fronte agli ostacoli dei grandi colossi del Web.

Continueremo a vivere i luoghi virtuali con le nostre regole, praticando resistenza attiva online e offline, senza cedere nonostante le pressioni della censura, dei core update dei movimenti anti-choice. Siamo una interferenza digitale che reclama spazio e legittimità e agisce per unire laddove l’algoritmo vuole rinchiudere in steccati informatici.

Rispondiamo quotidianamente alle bolle generate dall’algoritmo di Google con nuove forme di mutualismo che si creano dall’incontro virtuale tra chi chiede supporto per una esistenza degna e tutte le reti che, come la nostra, praticano solidarietà attiva in ambito digitale.

 

Foto di copertina: Daniele Napolitano. Immagini nell’articolo: Obiezione respinta e Womenonweb.