EUROPA

Gianluca Costantini

Giustizia per Nahel: una settimana di rivolte in Francia

Nahel un ragazzo di 17 anni viene fermato a un posto di blocco e ucciso con un colpo di pistola dalla polizia, la scena viene filmata, e dal 27 giugno scoppiano rivolte in tutta la Francia. Cosa sta succedendo, quali sono le risposte della sinistra e cosa è cambiato rispetto alle rivolte del 2005

Il 27 giugno a un posto di blocco Nahel, un ragazzo di 17 anni che probabilmente guidava senza patente, viene ucciso perché “il refuse d’obtempérer”, cioè rifiuta di obbedire a quanto richiesto, in altre parole compie una resistenza a pubblico ufficiale. Appena la notizia diventa pubblica, esce un video molto chiaro della situazione: Nahel viene fermato da due poliziotti che subito gli puntano le armi addosso, e gli urlano: «Levati! Ti spariamo in testa!… Spara!». 

Il video diventa virale ed espone la verità dei fatti, oltre ogni parola. Da quella notte la Francia è in fiamme. Il 3 luglio il Ministero dell’interno conta 11.113 incendi di bidoni della spazzatura, 5.662 incendi di automobili, 1.059 edifici bruciati o degradati in qualche modo, almeno 254 commissariati di polizia attaccati. Nelle strade sono stati mobilitati 45.000 poliziotti, con corpi speciali come i RAID (corpi d’assalto) e la BAC (brigade anticriminalità per i “quartieri sensibili”). Sono state arrestate 3.354 persone, di cui 1.282 nella regione parigina, e almeno un terzo di essi avevano meno di 18 anni. Le manifestazioni si sono diffuse per tutta la Francia in almeno 220 comuni e anche in alcuni territori d’oltremare, in più di 20 città è stato imposto il coprifuoco. 

Nahel è la 13esima persona a essere uccisa in un posto di blocco dall’inizio del 2023 in Francia, altre tre sono rimaste uccise dopo un inseguimento con le forze dell’ordine. Sul sito Basta – media indipendente che raccoglie i dati della violenza della polizia – si trovano i numeri: nel 2020, l’anno dei lockdown, sono state uccise 40 persone, nel 2021, 52 persone, nel 2022, 39 persone.

Sono aumentate considerevolmente le persone uccise non armate: «La polizia ha ucciso quattro volte più persone per essersi rifiutate di conformarsi agli ordini in cinque anni rispetto ai vent’anni precedenti». Secondo le associazioni delle vittime questo è un problema dell’articolo 435-1 del Codice di Sicurezza Interna che dopo la riforma del 2017 ha allargato le maglie sull’uso delle armi da parte della polizia e della gendarmeria. 

Nahel era di origini algerino-marocchine ed è stato ucciso da un solo colpo di pistola, da un’ inchiesta di Reuters si evidenzia che la maggior parte delle vittime ai posti di blocco dal 2017 a oggi erano nere o di origine araba. Esiste una «presunzione di colpevolezza per i giovani uomini razzializzati che vivono nei quartieri popolari» in Francia, scrive il Front2Meres, il primo sindacato dei genitori, nato nel 2016, che lotta contro le discriminazioni e le violenze subite dai bambini e ragazzi nei quartieri popolari, e non ha paura di visibilizzare la questione di razza, genere e classe di chi subisce questa violenza. Il sindaco di Trappes (Yvelines) intervistato da Mediapart spiega di aver girato tra le strade della sua banlieue in preparazione agli scontri: «ogni ragazzo faceva riferimento a un’esperienza vissuta in maniera precisa, ragazzi di quartieri anche diversi che non si conoscono tra loro, potevano citare i nomi di poliziotti conosciuti, qualche volta anche da molto tempo, che attuano comportamenti devianti». 

Dati elaborati da Basta media

Il poliziotto che ha sparato è sotto inchiesta per omicidio volontario e in custodia cautelare in carcere dal 29 giungo, pochissimi sono i casi in cui questo avviene. Nessun tipo di provvedimento, invece, è stato portato avanti nei confronti del secondo poliziotto presente sulla scena del crimine. Per il primo è stata aperta una raccolta fondi online da Jean Messiha sostenitore dell’estrema destra francese e delle politiche anti-immigrazione, la raccolta ha superato il milione di euro in qualche giorno (qui la raccolta fondi della madre di Nahel con numeri decisamente più bassi). Segno di una frattura sempre più grande nella società francese. 

Il 29 giugno si è tenuta a Nanterre la manifestazione in bianco, con alla testa la madre di Nahel accompagnata dalla sorella di Adama, ucciso dalla polizia nel 2016, durante un controllo delle forze dell’ordine, a cui ha tentato di scappare, è stato bloccato ed è morto sotto il peso dei tre gendarmi che lo immobilizzavano. Questa vicenda ha creato un enorme movimento popolare, portando alla nascita del Comitato Vérité pour Adama, con grandi manifestazioni pubbliche e inchieste dal basso, intessendo nuove relazioni tra movimenti e associazioni popolari delle banlieue e il resto dei movimenti sociali, sindacati e partiti di sinistra.  

Ieri Macron ha chiamato a raccolta all’Eliseo i sindaci delle municipalità colpite, nelle foto sono tutti con la fascia tricolore al petto e si stringono intorno al Presidente, tentando di essere il simbolo dell’ordine repubblicano ristabilito, mentre in banlieue continuano a fumare commissariati di polizia, sedi delle municipalità, ma anche scuole e sedi dei servizi sociali.

Come scrive Joseph Confavreux: «Una specificità delle rivolte urbane in Francia, rispetto ad altri Paesi, è quella di prendere di mira le istituzioni pubbliche, anche perché c’è – o c’era – ancora una speranza nella loro efficacia ed efficienza».

La Francia difatti rimane un stato centralizzato, con dei servizi pubblici presenti su tutto il territorio (anche se in profonda crisi dopo le riforme neoliberali degli ultimi venti anni), un riferimento onnipresente alla laicità e ai valori repubblicani, e un processo di decolonizzazione violento e doloroso. 

Come scrivevano Hugues Lagrange et Marco Oberti in Émeutes urbaines et protestations nel 2006: «Strano paradosso. La maggiore efficienza della società francese nel combattere le disuguaglianze sociali e nel garantire contemporaneamente una migliore protezione sociale produce un forte sentimento di esclusione, soprattutto nei quartieri più segregati della classe operaia e migrante». Paradosso al centro delle strategie contraddittorie della sinistra francese nei confronti dei quartieri popolari. Così le manifestazioni studentesche contro la riforma del Contrat de première embauche nel 2006, scoppiate pochi mesi dopo le rivolte delle banlieue del 2005, non ebbero alcun contatto con queste e, anzi, spesso vennero portate ad esempio di movimenti sociali costruttivi contro le rivolte, sommosse, tumulti, e riot distruttivi. 

È chiaro che le nuove strategie della polizia francese dopo essere state messe alla prova nelle “zone sensibili” sono state poi utilizzate contro tutti i movimenti sociali, come si è visto con i Gilet gialli, nelle manifestazioni contro la riforma delle pensioni e del Soulèvements de la terre contro i bacini idrici.

Una violenza che fa eco nei comunicati dei due sindacati di polizia che parlano di «orde selvagge dannose», esistenti «da decenni», «la polizia è in combattimento perché siamo in guerra. Domani saremo in resistenza e il governo dovrà esserne consapevole».

Gruppi di estrema destra (e non ultras del calcio come scrive il “Corriere della sera” nei suoi video diffusi via instagram) sono scesi in strada in alcune città francesi, in aperto supporto alla polizia e per ristabilire l’ordine. 

Questo luglio, a differenza del 2005, si sono notati due tipi di movimenti: da un lato la France Insoumise (il partito più a sinistra del Parlamento francese) non ha mai chiamato “alla calma”, Mélenchon ha più volte evidenziato il valore politico di queste manifestazioni, attirando su di sé le critiche di ciò che rimane del Partito Socialista; dall’altro le stesse manifestazioni hanno cercato di uscire dalle banlieue, per lambire il centro, questo è successo a Parigi, dove diversi negozi centrali sono stati saccheggiati e dove una sera si è cercato di arrivare fino agli Champs-Elysées, così come a Marsiglia, Bordeaux, e Rennes dove gli scontri sono arrivati fino alle vie centrali delle città. 

Come dice Louisa Yousfi intervistata sul “Manifesto“: «C’è dunque un blocco a sinistra che si sta ricostituendo. Bisogna essere prudenti, ma può crearsi un’alleanza tra quelli che noi chiamiamo “boeufs” e “barbares”, cioè tra bianchi della classe popolare e i neri e gli arabi delle banlieue». Un’ alleanza inedita, che stenta a nascere in Francia, come negli Stati Uniti, e nel resto del mondo occidentale bianco, perché ha bisogno di un profondo riconoscimento dei propri privilegi, ma anche la possibilità di intravedere lotte comuni e orizzonti migliori. Un’ alleanza alla quale si contrappone una nuova estrema destra presente nelle istituzioni e nei media, come nelle piazze, che sostiene uno stato più repressivo e “più bianco”. 

Immagine di copertina di Gianluca Costantini