OPINIONI
Giulia Cecchettin, ennesimo femminicidio: di chi è la colpa?
Lo sapevamo già che Giulia Cecchettin non sarebbe stata trovata viva quando abbiamo letto della sua scomparsa, ma non volevamo dirlo. La morte di Giulia è una morte politica e va riconosciuta in quanto tale
Lo sapevamo già che Giulia Cecchettin non sarebbe stata trovata viva quando abbiamo letto della sua scomparsa, ma non volevamo dirlo. Con lei il numero di femminicidi nel 2023 sale a 107: un bollettino di guerra. Secondo i dati prodotti dall’Osservatorio nazionale di “Non Una Di Meno”, il 45,1% dei femminicidi di quest’anno è stato commesso da mariti o partner, il 15,9% da ex mariti o ex-partner. Sono dati che non hanno bisogno di essere interpretati, eppure ci arrivano come numeri da catastrofe provocata quasi da un imperscrutabile fato su cui non abbiamo potere.
Lutto, tragedia, dolore: è facile depoliticizzare la violenza patriarcale con la semantica tragica dell’evento subìto e imprevedibile. Nella narrazione patetica dei nostri media – dal “patire” davvero etimologico, come sofferenza senza scampo né riscatto – l’emergenza sociale degli uomini che uccidono le donne è equiparata a un’alluvione o a un terremoto: partecipa al caso, possiamo solo piangerne le conseguenze.
Ma davvero le catastrofi naturali sono tutte imprevedibili? Senza scadere in eccessi di retorica, noi crediamo di no, così come non crediamo che sia giusto parlare della morte di Giulia come un lutto intorno cui stringersi, come si legge nei centinaia di comunicati condivisi nella giornata di oggi da politici e giornalisti. Crediamo, al contrario, che la morte di Giulia sia una morte politica, la centoquattresima di quest’anno, e che vada riconosciuta innanzitutto in quanto tale.
Crediamo inoltre che sia inaccettabile il processo di “mostrificazione” mediatica del carnefice a cui stiamo assistendo, poiché trasferisce il fenomeno sociale della violenza di genere sul piano dell’irrazionale – e quindi dell’inspiegabile e del “patibile” senza possibilità di contrasto. Ce lo dimostra l’intervista de “Il Messaggero” del 18 novembre all’allenatore di volley dell’assassino: «Siamo sconvolti, quello che per noi era Filippo, un ragazzo d’oro, in realtà a questo punto appare come il dottor Jekyll e mister Hyde».
Dall’altro lato questa tendenza apologetica alle letture “irrazionalizzanti” e refrattarie a un inquadramento socio-politico si traduce anche, sul polo opposto, nel racconto del “bravo ragazzo”, quello da cui non ci si aspetterebbe mai un gesto del genere: «Non ha mai saltato un allenamento, veniva anche con la febbre», ha detto il capitano della squadra Nicolò Bronzato. Conoscevano tutti anche Giulia che in diverse occasioni era andata ad assistere alle partite dell’ex fidanzato. «Ricordo benissimo quel giorno, era il 2 marzo 2022 e avevamo appena vinto 3 set a 0» – racconta Zecchino – «Giulia era venuta a fare il tifo per i ragazzi e poi Filippo ce l’aveva presentata. In quell’occasione l’avevo visto veramente felice, Giulia aveva fatto anche una foto con tutti noi».
È un sottotesto che conosciamo bene: anche ai bravi ragazzi succede di impazzire. Cosa dobbiamo dedurne? che in fondo non è un problema sistemico, non è una nostra responsabilità. Succede, è frutto del caso. O in altre parole: la violenza di genere non esiste. Mostri o esseri umani, i nostri media e i nostri governi fanno di tutto per “passare la palla” a un responsabile invisibile, che sia il fato, la follia o l’educazione familiare. Di fronte a fatti di cronaca di questa portata i giornalisti si affollano come paparazzi davanti alle case delle rispettive famiglie.
Se il dolore dei familiari della vittima viene documentato morbosamente come in un reality, i genitori del carnefice vengono sottoposti a indagini ossessive. Siete sicuri di aver fatto bene il vostro dovere? Non vi sentite responsabili di nessuna mancanza nell’educazione dei vostri figli? Il motto “educate i vostri figli” – risposta provocatoria a chi esorta invece di “proteggere” le proprie figlie – rischia però di delegare il problema della violenza di genere ai singoli nuclei familiari, per evitare che i governi se ne assumano la responsabilità con una messa a punto davvero efficace della norme restrittive e punitive verso i colpevoli e dell’assistenza sociale e psicologica alle donne colpite.
Forse l’ossessione dei nostri governi per la religione della famiglia tradizionale si intravede pure in questi risvolti: perché affrontare un problema come sistemico se ad averne la colpa sono i singoli? Deresponsabilizzazione da ogni fronte: il mostro ineluttabile, il bravo ragazzo impazzito, l’educazione familiare scarsa. Ma allora chi è responsabile delle nostre morti e del nostro costante senso di pericolo?
La neutralizzazione politica del femminicidio infanga la memoria di Giulia e di tutte le donne che prima di lei sono state strappate alla vita da un uomo. Finché chi detiene il discorso politico continuerà a piangere il femminicidio come un lutto di quartiere, la nostra morte è solo aggiornata alla prossima vittima. Ma non ci arrendiamo, per Giulia e per le altre 103 che non sono più con noi.
Si mañana soy yo, si mañana no vuelvo, destruyelo todo
Immagine di copertina di Milano in Movimento, corteo a Milano, 23 novembre 2023