OPINIONI
Giovanna e l’arte degli incontri
«Ovunque fosse possibile, ci ricordava il “fuori tema”; col sorriso, sempre. Battere la tristezza, d’altronde, non è importante quanto battere la fame?». Salutiamo la nostra compagna Giovanna Ferrara
La notizia è arrivata a tradimento (bene era andato il trapianto, «esperienza estrema»). Tutte le perdite lo sono, ma, nel caso di Giovanna, il senso di ingiustizia sembra maggiore. Compagna di quella “famiglia” larga – spazi, assemblee, pensieri, libri, i luoghi del fare comune. Ha scritto, di sé giornalista, che voleva fare il mestiere in «maniera umanissima». Il punto era «l’incontro con l’altro, altro ingiustizia, altro differenza, altro possibile. Le trame della vita hanno un ordine così più alto di quello che appena sfioriamo».
Negli ultimi anni l’hanno conosciuta molti senza incontrarla: la malattia aveva coinciso con un tempo sbagliato, iniziato con la pandemia, e lei questo tempo l’aveva disseminato di scrittura. La stessa sensibilità con cui trattava la cultura, la politica, la critica, l’aveva riversata in messaggi e post con cui sembrava tenere insieme una trama, le fila di una città che si era sparpagliata, di cui perdevamo i luoghi e le abitudini, in cui non era scontato riuscire a fare le cose insieme. Metteva in parole la possibilità di riannodare, ogni volta e di nuovo, quello che veniva via, e questa pratica lei l’aveva resa pubblica.
Cercare costantemente orizzonti larghi, il mare, l’acqua, il suo Sud; e dunque vino, il cielo terso, le cozze, gli amici, il sole, il tempo, i libri: per Giovanna, la struttura materiale delle cose più importanti. Emergeva nelle descrizioni smarginate: il fare eretico, il modo che aveva di raccontare la meraviglia, la politica che faceva solo se poteva partire dalla bellezza.
«Il rumore che fa una peonia che cade mentre si mischia al canto sui motorini che corrono verso il mare». E poi: «il dolore fisico è qualcosa di cui si parla troppo poco. Ma sono anche più bella perché devo scoprire profondamente il mistero di questa vita impervia e splendida che insultiamo di continuo». Scrisse di una «militanza medica»: «riprendersi la sovranità sul proprio corpo». E con la sua gratitudine, insisteva. Sarebbe tornato il mare, (e lei che ballava). Era il «tempo della latitanza, quasi spirituale».
Con diversi di noi, Giovanna ha organizzato la conferenza internazionale sul comunismo, a cento anni da quel 1917 che ha cambiato la storia dell’umanità. Serate a rileggere Il manifesto di Marx ed Engels, in preparazione dell’evento; poi il bagno di folla, con migliaia di attivisti provenienti da tutto il mondo. Giovanna, ovunque fosse possibile, ci ricordava il «fuori tema»; col sorriso, sempre. Battere la tristezza, d’altronde, non è importante quanto battere la fame?
Giò, non dimenticheremo mai di sorridere, nonostante tutto. Promesso.
«il sole rosso si riflette sulle gambe che sembrano abbronzate e queste tapparelle creano il chiaroscuro delle cabine di legno, di quelle estati passate nascosti in questi luoghi inventati solo per un po’.
il gioco della memoria è un gioco imprevisto mischia il tempo come i vecchi le carte.
come i romanzi che leggo, sui comodini altari, biblioteche personali, il necessaire (e il superfluo più necessario del necessario).
Il reparto è pigro, un reparto cammello, si ferma a bere acqua, a volte si Accascia a terra è un reparto dove si impara l’inconsistenza del brulichio. Reparto gatto. Qualche piano più in là c’è la mia amica, ora so che condividiamo un segreto. Il fuori è un orizzonte con i suoi emissari. Tutti sembrano venire da una serie tv. Solo qui la realtà non è reality, solo qui si prova a costruire il senso del mondo, solo qui siamo umori e carne e riscosse e sconfitte, solo qui la rivoluzione è un fatto permanente e materico, ma senza mai dimenticare di esser un FATTO spirituale».