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Gerusalemme: una storia di metal detector, simboli e disobbedienza civile

Alla fine di due settimane di tensione, con morti e feriti, proprio mentre scrivo queste righe, le agenzie battono la notizia che il ministero degli interni israeliano ha deciso di rimuovere i metal detector posizionati, due settimane fa agli ingressi della spianata delle moschee di Al Aqsa, a Gerusalemme.

In conseguenza di questi metal detector, per giorni e giorni notevoli proteste continue e una dura repressione avevano travolto tutta la città vecchia e la zona est della città.

Non è una notizia da poco, Israele si è dovuta arrendere davanti alla violenza generata dalla sua stessa arroganza, e ha deciso di fare un passo indietro. L’esperienza insegna che queste mosse sono sempre frutto di un bieco calcolo politico e quindi bisognerà capire quale sarà il passaggio successivo, ma intanto questo momento è passato, e le migliaia di persone che hanno protestato per due settimane possono, nel loro piccolo, cantare vittoria.

E’ legittimo chiedersi perché alcuni metal detector abbiano generato un’ondata di proteste così ampia, soprattutto in un paese, Israele, dove è normale passare per un metal detector per entrare al ristorante, in stazione, in un locale, e gli abitanti di Gerusalemme Est affrontano costantemente metal detector nella loro quotidianità. Perché allora ad Al Aqsa si è ha generata questa risposta?

Nora Levy su 972mag.com scrive intelligentemente che la differenza sta nel “framing” e nella simbologia. Dal 1967 esiste un organo specifico il Waqf, che è responsabile degli ingressi e della sicurezza nella spianata delle moschee. Il Waqf è una sorta di istituzione civile/religiosa, nata per accordo tra Israele e Giordania, per tutelare per tutto il mondo musulmano quei luoghi sacri. Questo organo è stato interamente ignorato nella scelta di posizionare le barriere con metal detector. Il Waqf fu similmente ignorato quando Sharon fece la sua famosa passeggiata nella spianata delle moschee che divenne la scintilla per l’inizio della seconda intifada, nel settembre 2000.

Ma vi è un altro aspetto importante, con questa mossa è stato colpito l’immaginario e il simbolico. I metal detector sono il simbolo dei check point, sono metafora della politica di “closure”, di restrizione dello spazio e di confinamento umiliante della popolazione palestinese, ottenuta attraverso un vasto dispositivo securitario e altamente militarizzato. Aver scelto di posizionarli in un luogo così importante, appunto, a livello simbolico, per la popolazione palestinese e per l’intero mondo islamico, ha determinato la ferma reazione dei musulmani, che hanno visto assoggettare il proprio luogo sacro alla violenza e al sopruso tipico dell’occupazione militare.

In un luogo del mondo dove la simbologia ha un ruolo così determinante come in Israele/Palestina, non devono perciò stupire le conseguenze di simili scelte. Meno scontato invece è stato vedere quello che nessun media internazionale ha coperto, cioè la scelta di massa della disobbedienza civile da parte di migliaia di palestinesi. Infatti prima di subire l’escalation dell’esercito, con i quattro morti durante le manifestazioni e ben prima dell’uccisione a sangue freddo di tre coloni israeliani, i palestinesi hanno sperimentato forme allargate di protesta che hanno incluso il rifiuto di entrare nella spianata delle moschee, la creazione di momenti di preghiera improvvisati nelle strade per dare fastidio e ricordare perché non potevano entrare dentro Al Aqsa e infine flussi constanti di persone fino ai metal detector senza poi entrare nella spianata.

Non è un elemento di poco conto: riuscire a perseverare in forme di disobbedienza civile, che è contraddistinta sempre da forte convincimento morale e resilienza, nonostante le difficoltà e lo scetticismo determinati da anni di occupazione e di umiliazione è un fatto notevole.

Non so se questa vicenda provocherà ulteriori effetti domino nelle prossime settimane. Senza dubbio però, non solo è una vicenda con forti tratti simbolici, ma è essa stessa un simbolo della costruzione dell’apartheid. Gerusalemme è una città dove l’apartheid è palpabile in ogni angolo di strada, una città dove puoi muoverti ovunque ma sei sempre distinto tra “cittadino di Israele” e “residente di Gerusalemme Est” questi ultimi sono costantemente discriminati nei propri diritti civili politici e sociali (casa, servizi sociali, voto etc.). A Gerusalemme hanno cercato di immettere l’ennesimo strumento di apartheid e la risposta è stata una sorprendente disobbedienza civile di massa che alla fine ha costretto il governo israeliano a fare marcia indietro. Speriamo la popolazione palestinese sappia ancora reagire in modo così efficace.

Foto:Alkharouf Mostafa/Anadolu Agency – via Nena News