ITALIA
«Una falsa buona notizia»: il dibattito sulle terapie ormonali sostitutive
La decisione di Aifa di rendere gratutiti i medicinali per le terapie ormonali sostitutive è stata salutata dai media e da parte dell’associazionismo trans come una conquista. Il rischio, però, è di rimanere dentro un quadro interpretativo patologizzante
Le delibere dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), che mercoledì 23 settembre ha inserito i medicinali per le terapie ormonali sostitutive (Tos) nell’elenco dei farmaci erogabili gratuitamente dal servizio sanitario nazionale (Ssn), hanno suscitato reazioni diverse e contrastanti tra le associazioni per i diritti delle persone trans. Ci spiega subito Antonia Caruso, attivista e direttrice di Edizioni Minoritarie: «Sarà stata forse la semplice menzione di una “gratuità” nel titolo, ma ho l’impressione che ci sia stato un eccessivo entusiasmo da parte della stampa. Come spesso succede quando la narrazione mediatica si sovrappone al fatto in sé».
Rumi Evangelista, del collettivo pisano De-Ragliamento Ferroviario e di Libere Soggettività, il nodo trans-femminista di Non Una Di Meno, è più specifico ed esprime forte delusione: «È una sorta di falsa buona notizia: gli ormoni diventano gratuiti perché inseriti in fascia H, quella dei farmaci solitamente distribuiti in ospedale. Per gli ormoni nelle determine si identificano come possibili prescrittori equipe di professionisti specializzati in identità di genere: è difficile dunque che vi rientri qualsiasi endocrinologo, tanto meno un medico di base. Invece una delle nostre battaglie più sentite era proprio quella di potersi fare prescrivere gli ormoni non da un endocrinologo ospedaliero o da un equipe autorizzata, ma semplicemente dal proprio medico di base».
«Inserirli in fascia H è stata una scelta di Aifa, di cui noi siamo rimasti all’oscuro fino alla pubblicazione il 30 settembre quando abbiamo appreso della determina, come tutti, dalla Gazzetta Ufficiale», ci spiegano dal Movimento Identità Trans (Mit).
Sommersa infatti dalle numerose critiche per il sostegno alle due determinazioni all’Aifa, inizialmente annunciato con entusiasmo anche nei social, la storica associazione bolognese ha poi deciso di pubblicare un video di chiarimento. In esso la presidente Porpora Marcasciano ha ricostruito l’intero percorso, con tanto di date, avviato ancora nel 2017, che ha visto il Mit «intessere con Aifa la complessa trattativa che ha portato i tanto attesi risultati». Più volte, nei sei minuti della clip, Marcasciano ribadisce le richieste presentate ad Aifa: «Accessibilità, gratuità e uniformità a livello nazionale».
Non del tutto accolte nelle determine, protesta ancora Evangelista: «Le nuove norme indicano come potenziali prescrittori delle equipe specializzate: è molto probabile che così si finisca per favorire i centri già attivi. Inevitabilmente sarà molto più difficile per un endocrinologo qualsiasi prescrivere gli ormoni. Anche per psicologi e psichiatri sarà più complesso fare diagnosi. Inoltre i centri già attivi non coprono neanche tutto il territorio italiano, ad esempio la Sardegna, le Marche, l’Abruzzo non hanno nessun centro di questo tipo. In questo modo i medici che non hanno ancora avuto possibilità di lavorare con persone trans praticamente non potranno fare più esperienza, se non entrando o magari formando un’equipe. Questa è una problematica che ci porteremo anche in futuro». Anche il Mit si dice molto preoccupato riguardo la copertura a livello nazionale, ma assicura che «l’obiettivo, condiviso anche dall’Istituto Superiore di Sanità, è di avere almeno un centro per ogni regione».
Il timore delle associazioni di fronte alle nuove determinazioni è anche quello di una rinnovata patologizzazione delle persone trans.
«Questa misura è una sorta di censimento: la maggior parte delle persone trans sarà indirizzata verso un passaggio obbligato, le equipe specializzate. È un modo per aumentare il controllo bio-politico e soprattutto esplicitare la psichiatrizzazione delle persone trans», approfondisce Evangelista. «Per accedere alla gratuità ci vuole una diagnosi di disforia o incongruenza di genere: ancora una volta noi veniamo trattati da malati. Non dovrebbe assolutamente essere necessaria una diagnosi».In Italia è l’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (Onig) a dettare gli standard sui percorsi di affermazione di genere. «Il protocollo Onig è inutilmente lungo e psichiatrizzante. Tra le altre cose, prevede la necessità di una diagnosi per accedere alla terapia ormonale.
Prima c’erano alcuni modi per evitare di passare dalla diagnosi psichiatrica di disforia o incongruenza di genere. Con questa determina invece si rende legge una situazione di fatto: adesso per accedere agli ormoni ci vuole una diagnosi di un’equipe specializzata. Ancora una volta l’Italia è il fanalino di coda dell’Europa su questi temi. Non siamo avanguardia né dal punto di vista della legge né per quanto riguarda le pratiche e i protocolli ospedalieri o l’erogazione dei farmaci. A Malta, per esempio, non è neanche necessaria la diagnosi. In altri paesi per il cambiamento anagrafico basta una procedura amministrativa. Ci sono nazioni poi in cui i farmaci si trovano, erogati dal servizio sanitario nazionale, tranquillamente in farmacia».
Una parte delle critiche alle due determine Aifa si è dunque concentrata sulla modalità e le condizioni necessarie per ottenere la gratuità, ma queste non rappresentano gli unici punti problematici della questione.
Oltre a obbligare alla «diagnosi di disforia di genere/incongruenza di genere formulata da una equipe multidisciplinare e specialistica dedicata» per accedere alla gratuità, le due delibere parlano rispettivamente di «processo di virilizzazione di uomini transgender» e «di femminilizzazione di donne transgender». Questo rigido e anacronistico binarismo ha generato altrettante polemiche, proprio a partire dal linguaggio utilizzato, che sembra escludere tutte le soggettività non binary.
«È difficile chiamare conquista un provvedimento che non porta avanti in nessun modo la depatologizzazione dell’esperienza trans, che setta in maniera rigida dei valori ormonali di riferimento per rientrare in un supposto binarismo di genere», afferma Antonia Caruso. È d’accordo anche Evangelista: «Ciò per cui si stava lavorando era stabilire una prassi di trattamento ormonale che fosse modellata sulle necessità fisiologiche e organiche e sulla volontà della persona, sui risultati che voleva ottenere. Con i valori consigliati, quindi di fatto imposti, si allontana ancora di più la possibilità di un’autodeterminazione. Si predetermina ancora una volta su criteri cisgender. Non è assolutamente un passo avanti».
Immagine di copertina da Pexels da Pixabay