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ITALIA

Fachile: «Modifiche ai decreti sicurezza continuano a ridurre diritto d’asilo»

I cambiamenti appena introdotti nei cosiddetti “decreti Salvini” apportano alcuni miglioramenti, ma lasciano intatta la logica di criminalizzazione dei migranti e della solidarietà in mare spingendo verso un’ulteriore riduzione del diritto d’asilo nel nostro paese

Il 5 ottobre il consiglio dei ministri ha approvato la proposta di modifica dei cosiddetti decreti Salvini, i due decreti sicurezza che il primo governo Conte aveva emanato tra il 2018 e il 2019. Il nuovo decreto immigrazione, sollecitato sin da giugno dal Partito Democratico, è arrivato soltanto dopo i risultati incoraggianti delle elezioni regionali di fine settembre, complici le resistenze dell’altro partito al governo. Le norme fortemente volute dal precedente ministro degli interni coprivano una vasta area di argomenti, dalle questioni di ordine pubblico a quelle ovviamente riguardanti immigrazione e accoglienza. Le nuove modifiche intervengono su numerosi punti, andando a riformare, e non annullare, le due leggi precedenti. Abbiamo provato ad approfondire assieme all’avvocato Salvatore Fachile dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) i principali cambiamenti introdotti col nuovo decreto sul piano legale.

 

Si possono considerare le modifiche appena introdotte dei passi avanti?

Il decreto cosiddetto Lamorgese modifica in senso positivo due dei tre pilastri su cui erano costruiti i precedenti. Il primo è quello legato alla tipologia di protezione che può essere accordata a un cittadino straniero che richiede asilo in Italia. Viene reintrodotta, pur con un altro nome e contorni non identici, la protezione umanitaria: questo è assolutamente positivo. Le persone potranno ottenere una forma di protezione dallo stato italiano, per questioni che richiedono l’asilo, anche qualora non siano rientranti esattamente nel quadro della Convenzione di Ginevra. Quindi non solo coloro che vengono perseguitati o che vivono in uno stato di guerra o conflitto permanente, ma anche chi presenta condizioni che rispondono a obblighi, nazionali, costituzionali e internazionali, che l’Italia si è impegnata a sottoscrivere.

Il secondo aspetto positivo riguarda un altro pilastro del decreto Salvini: l’abrogazione del sistema di accoglienza Sprar/Siproimi, molto più sviluppato rispetto a quello prefettizio dei Centri di accoglienza straordinaria (Cas). Nel decreto Salvini veniva tolta allo Sprar la competenza ad accogliere i richiedenti asilo, che passava appunto ai Cas, i quali sono però molto meno specializzati.

 

Che cosa, invece, non convince?

Il decreto Lamorgese va invece considerato in maniera molto negativa in relazione al terzo pilastro, il meno vistoso della riforma Salvini, ma allo stesso tempo quello che più incide sul diritto di asilo e che è relativo alle procedure di frontiera, alle procedure accelerate, alla detenzione dei richiedenti asilo. Un complesso meccanismo, chiaramente voluto dalla commissione europea che spinge l’Italia a costituirsi come “avanguardia” nella modifica e riduzione dello spazio di garanzia del diritto di asilo.

Parliamo di un insieme di norme giuridiche poco conosciute, che prevedono un funzionamento del diritto di asilo assai diverso rispetto a come lo conosciamo. Un sistema che blocca i richiedenti asilo appena arrivati alla frontiera, li detiene in maniera totalmente incostituzionale per lunghissimo tempo, fino a sei mesi, anche solo a scopo identificativo. Una detenzione per noi di chiara natura anti-democratica. Durante questo periodo i richiedenti asilo sono sottoposti a una procedura di valutazione della loro domanda estremamente rapida, con pochissime garanzie e in condizione di totale isolamento all’interno degli hot spot di frontiera.

Questo fa sì che pochissime persone possano poi ottenere una forma di protezione, perché effettivamente non sono pronte ad affrontare l’esame. Chi lo sarebbe in stato di isolamento alla frontiera con nessuna effettiva capacità e possibilità di relazionarsi con la società civile? Questo terzo pilastro, che più va a impattare con la nostra concezione del diritto di asilo e sulla possibilità reale di un richiedente di ottenere una forma di protezione, non viene modificato assolutamente dal decreto Lamorgese. Anzi tutto questo apparato giuridico è reso ancor più duro e lontano dai nostri valori costituzionali. Quello che due anni fa ci era sembrato un obbrobrio giuridico, adesso viene ratificato definitivamente.

 

Sono dunque completamente immotivate le numerose reazioni favorevoli che hanno accolto il nuovo provvedimento?

Questo decreto accoglie le istanze della società civile sulla protezione umanitaria e sull’accoglienza negli Sprar: due questioni, politicamente e strategicamente poco interessanti, che alla commissione europea interessano molto poco. Invece va a confermare l’apparato, il posizionamento giuridico-politico del decreto Salvini su quello che è l’aspetto più importante, quello che cambia le sorti del diritto di asilo come pilastro fondamentale della nostra società. C’è stata e c’è tuttora, secondo me, una fortissima miopia da parte della società civile nel non capire che questo decreto Lamorgese è uno strumento violento per riaffermare il piano non solo italiano ma soprattutto europeo di progressiva riduzione del diritto di asilo. Lo fa con delle concessioni, vero, ma sono concessioni che non riescono ad avere una portata incisiva. Personalmente ritengo questo decreto un’occasione persa per smontare i decreti Salvini nella parte in cui risultavano assolutamente più pericolosi.

 

 

Le modifiche fin qui analizzate riguardano principalmente le varie tappe del percorso legale di integrazione per chi arriva sul territorio italiano. Per quanto concerne invece il controllo delle frontiere, su cui molto insistevano i decreti Salvini?

È stato introdotto uno spostamento di competenza dal ministero degli Interni a quello delle Infrastrutture per la decisione di vietare l’ingresso di una nave dentro le acque territoriali, però a parte questo e il passaggio dell’illecito dall’amministrativo al penale (più grave, ma con più garanzie) l’approccio non è cambiato. Viene confermato l’assetto attuale che rimanda a un processo di criminalizzazione del salvataggio delle Ong, un processo iniziato con il ministro Minniti, su spinta della commissione europea che riteneva erroneamente le Ong un fattore attrattivo.

L’idea che il governo – ed è questo il punto fondamentale – possa bloccare una Ong che sta operando un soccorso e vietarle di compiere un’attività umanitaria che fino a due anni fa tutti ritenevamo di grandissimo pregio e assolutamente condivisibile rimanda al modello introdotto nel 2018.

Una Ong che opera un salvataggio, rischia una sanzione penale e il divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane perché le persone che sono a bordo sono prive di visto, mancanti di una autorizzazione amministrativa quale visto o permesso di soggiorno. Conseguentemente la Ong deve rispettare gli ordini della guardia costiera. Ma, come sappiamo, quella italiana dà indicazione di contattare gli omologhi libici. Questo poiché l’Italia considera la Libia come soggetto legittimo che opera in una zona search and rescue di competenza della Libia. È chiaro che così si sta sostanzialmente condannando le Ong, che mai potranno rispettare l’indicazione della guardia costiera italiana e consegnare il soggetto soccorso alla guardia costiera libica.

 

Tra le modifiche si segnala anche la riduzione del tempo in cui un cittadino straniero può essere trattenuto nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr): da un massimo di 180 giorni si passa ora a novanta (con una possibile proroga di ulteriori trenta giorni per coloro che provengono da paesi con cui l’Italia ha accordi di rimpatrio). È introdotta però la flagranza differita per chi organizza proteste e danneggia cose o persone all’interno dei Cpr. Che cosa significa l’introduzione di questa norma?

Noi riteniamo gravissima questa nuova norma. Di fatto consente di punire in maniera pesante, tramite un arresto a distanza di giorni e con un processo per direttissima, persone accusate di aver creato danni non solo a terzi, ma anche a oggetti all’interno di un centro di permanenza. Stiamo parlando di persone che protestando possono aver causato danni, soprattutto, come spesso accade, alle strutture del Cpr. Quello che viene consentito è un ulteriore strappo al nostro assetto costituzionale, che prevede l’arresto in flagranza e il processo per direttissima solo nel caso in cui la persona venga colta nel momento esatto in cui opera una certa azione: questo perché c’è l’evidenza della prova e allora si possono derogare una serie di garanzie processuali. Inoltre è chiaro che un possibile arresto fatto giorni dopo, verrà eseguito sulla scorta di delazioni da parte di altri cittadini stranieri che sono imprigionati e che versano dunque in una condizione di grandissima ricattabilità.

Tutto ciò va a incentivare un meccanismo di potere, attuato in una situazione di isolamento e di lontananza dalla società civile, da parte delle forze dell’ordine, con deroghe a quelle che sono le ordinarie garanzie giurisdizionali. Per cosa poi? Per un reato che per il nostro ordinamento costituzionale dovrebbe essere di pochissima rilevanza, cioè il danneggiamento a cose. È una norma gravissima che ci si aspetta da esponenti di correnti di pensiero tipicamente destrorse e non da chi propugna il rispetto della costituzione.

 

In molti hanno criticato la riduzione di un solo anno per la concessione della cittadinanza: secondo lei per quale motivo non si è voluto, se non proprio fare un passo avanti, neanche tornare alla condizione pre-Salvini che parlava di due anni?

È sempre lo stesso approccio: sono processi di normalizzazione. Si lascia alla destra il compito di portare avanti delle riforme che sono in realtà condivise. Si lascia che la destra lo faccia in maniera eclatante, a volte quantitativamente enorme, per poi sostanzialmente comparire con una posizione mediana, trovando una soluzione che comunque riafferma il principio mosso dal governo di centrodestra. Ancora una volta ci si trovava danti a una riforma insensata, che portava a quattro anni la conclusione di un processo amministrativo (quando noi italiani abbiamo la regola che i procedimenti amministrativi si concludono in trenta giorni) dai due. Era già una situazione discriminatoria. Si è voluto dare un segnale di chiusura sulla cittadinanza.

 

Immagine di copertina da Democrats.eu