EUROPA
In Europa vince l’agribusiness. Il voto finale sulla Politica Agricola Comune
Al Parlamento europeo prevalgono ancora gli interessi dei grandi allevamenti intensivi e delle grandi imprese agricole. Un voto che dimostra scarsa attenzione alle problematiche ambientali, nonostante il loro collegamento con la crisi pandemica
Nei giorni scorsi è arrivata a conclusione una parte importante del lungo processo che porta ad approvare la Politica Agricola Comune (Pac) dell’Unione Europea. Dopo mesi di buoni propositi, il voto finale ha visto vincere gli interessi dei grandi allevamenti intensivi e delle grandi imprese agricole: un gravissimo colpo per il pianeta e per la piccola agricoltura. Intervistiamo Simona Savini, campaigner Agricoltura di Greenpeace.
Ci puoi spiegare in cosa consiste la Pac e ogni quanto si rinnova?
La politica Agricola Comune (Pac) è uno dei pilastri dell’Unione Europea, individuata fin dai trattati fondativi come una misura volta a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari e contemporaneamente un equo sostentamento agli agricoltori europei. Un impegno cui l’Unione dedica poco meno del 40% del suo bilancio annuale, sulla base di regole condivise tra gli Stati che vengono rinnovate ogni 7 anni e allineate con l’evoluzione della normativa europea. Ma se all’epoca uno dei principali obiettivi era quello di incrementare la produttività dell’agricoltura di un sistema rurale scarsamente industrializzato, oggi sono stati affiancati a quelli originali anche obiettivi ambientali e climatici, con esplicito riferimento alla tutela dell’ambiente nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile, ed è quindi necessario anche utilizzare i fondi pubblici alla luce delle diverse priorità.
Cosa è accaduto nel voto finale sulla Pac?
Il Parlamento europeo aveva il compito di emendare e votare la proposta della Commissione Ue sulla nuova Pac. Gli emendamenti erano quelli emersi dai lavori delle Commissioni Agricoltura e Ambiente, e altri aggiunti dalle diverse forze politiche per la fase plenaria. Tra questi è spuntato un “maxi emendamento”, frutto di un accordo tra i vertici del partito popolare (Epp), del gruppo Socialisti e Democratici, e di Renew, per respingere tutte le principali proposte della Commissione Ambiente, come quella di tagliare i sussidi per il sistema degli allevamenti intensivi o di aumentare sostanzialmente i finanziamenti per le misure ambientali. Un accordo controverso che ha creato molto malumore tra i parlamentari appartenenti alle stesse forze che l’hanno promosso, ma che è stato approvato calando come una pietra tombale sulle decine di emendamenti che potevano essere discussi e votati per rendere la Pac più verde ed equa, in linea con il Green Deal, cioè l’insieme degli impegni in tema ambientale in discussione a Bruxelles.
Quali sono gli aspetti più gravi di questa Pac?
Segnaliamo solo alcuni dei punti che riguardano gli aspetti ambientali, senza dimenticare gli obiettivi di giustizia sociale che comunque questo testo non riesce a cogliere, continuando a destinare, di fatto, la maggior parte dei fondi alle grandi aziende intensive. Per riassumere si può affermare che questa Pac non rappresenta in alcun modo un cambio di rotta e un avvio di transizione della politica agricola. Non aumenta le sue “ambizioni verdi” e anzi vincola gli Stati membri a non farlo, proibendo l’adozione di standard ambientali più rigidi o l’aumento del budget ambientale oltre i limiti fissati a livello europeo.
Per citare alcuni esempi, non si interviene in nessun modo sugli allevamenti intensivi, continuando come prima a foraggiare questo sistema i cui effetti su clima, ambiente e salute sono ormai noti e anche il tanto sbandierato 30 per cento (che i ministri europei, compresa la ministra Bellanova, hanno già chiesto sia fissato al 20 per cento) dedicato agli eco schemi è, purtroppo, una falsa illusione. Va ricordato che anche la precedente formulazione prevedeva una percentuale di sussidi (destinati a agricoltori e allevatori) dedicati a migliorare il clima e le prestazioni ambientali delle aziende agricole, con un meccanismo che aveva però bisogno di essere rafforzato per diventare realmente efficace. L’attuale testo ha invece annacquato questo strumento, non vincolando l’ammissibilità degli interventi finanziabili a reali benefici ambientali, introducendo addirittura criteri economici, per cui questi fondi dedicati a misure ambientali, potranno invece essere spesi anche per interventi che migliorano le prestazioni economiche di un’azienda.
Con questo voto si supporta un sistema agricolo che è tra le concause dell’attuale emergenza pandemica, e non solo perché gli allevamenti intensivi creano le condizioni che facilitano zoonosi, ma anche perché si sono registrati decine di focolai nelle fabbriche di carne. Quali sono dunque le ragioni di questa scelta a tuo parere?
Il sistema zootecnico è ormai una macchina complessa: gli allevatori sono stati spinti, soprattutto da politiche come la Pac, a intensificare le proprie produzioni e parallelamente alcune politiche sono state dirette ad aumentare i consumi interni e le esportazioni. Questo sistema si era già parzialmente incrinato prima della crisi dovuta alla Covid-19, soprattutto a danno del primo anello della filiera (gli allevatori), con un forte protagonismo delle aziende che si occupano di trasformazione e commercializzazione dei prodotti di origine animale. Questo meccanismo è stato palese durante il lockdown: non sono state chiuse alcune aziende di trasformazione (macelli), anche laddove queste erano focolai del contagio, nonostante si fosse ridotto in modo drastico lo sbocco sul mercato di tali prodotti e, di conseguenza, il prezzo pagato agli allevatori, costretti comunque a vendere per non affollare ulteriormente i propri allevamenti. Allo stesso modo, il voto sulla Pac ha reso evidente come gli interessi dei principali attori del mercato della carne e dei latticini abbiano pesato sulle scelte politiche più di quelli dell’ambiente, e quindi della collettività e degli allevatori con aziende di minori dimensioni.
L’esito del voto chiama in causa responsabilità anche a livello italiano. La Ministra Bellanova e i parlamentari in primis come si sono comportati nella trattativa?
I parlamentari italiani, a differenza ad esempio dei loro colleghi tedeschi, hanno votato in modo compatto secondo le indicazioni dei loro vertici di partito, con pochissime eccezioni. Uno dei principali artefici dell’accordo che ha affossato le ambizioni verdi della Pac è stato proprio Paolo De Castro, membro del gruppo Socialisti e Democratici e voce politica molto ascoltata sui temi agricoli in Italia. La Ministra Bellanova, pur non avendo ovviamente responsabilità diretta sul voto del Parlamento Ue, sta portando avanti una narrazione di contrapposizione tra il concetto di sostenibilità economica e quello di sostenibilità ambientale, sottolineando spesso come i maggiori vincoli ambientali richiesti dal Green Deal e dalla strategia Farm to Fork siano un peso per il settore produttivo in questo momento di crisi economica. Una visione parziale e poco lungimirante, dato che proprio l’attuale crisi sanitaria ed economica dimostra come la devastazione dell’ambiente abbia conseguenze economiche ben più pesanti degli sforzi richiesti per la sua protezione, come ribadito dall’ultimo rapporto Ipbes sulle strategie per prevenire le future epidemie.
Il partito della ministra sembra particolarmente avverso alle tematiche ambientali, pochi giorni fa ha bloccato l’iter di una legge contro i crimini ambientali che riguarda anche gli allevamenti intensivi, ci puoi spiegare di che si tratta?
Su forte impulso del Ministro Costa è stato redatto il disegno di legge “Terra mia” sugli ecoreati: un tentativo di rafforzare la normativa sui reati ambientali, anche attraverso l’introduzione di pene più severe come, ad esempio per le aziende zootecniche che scaricano illegalmente reflui nei corsi d’acqua. Questo articolo sembra essere scomparso dalla versione che il Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto discutere a ottobre, discussione peraltro mai avvenuta. Nel frattempo la stampa ha pubblicato, attraverso dichiarazioni di membri di Italia Viva, la critica da parte di questa forza politica all’impianto complessivo del disegno di legge, considerato un freno alle attività produttive, e la richiesta dell’annullamento in particolare del punto sui reflui zootecnici – articolo 2 – considerato un colpo finale alle aziende in una fase storica complicata. Parole che non sono state pronunciate esplicitamente dalla Ministra Bellanova, ma che sembrano ricalcare perfettamente molte sue dichiarazioni in tema di vincoli ambientali.
Rispetto alla Pac quali sono i prossimi passi e si può fare ancora qualcosa?
Anche se la proposta della Pac è stata approvata dal Parlamento Ue con 425 voti a favore, sono stati ben 263 i voti fra contrari e astenuti (ovvero il 38 per cento, un numero altissimo per una politica così importante) e con un fronte sociale che ha compreso benissimo come siano stati anteposti gli interessi dell’agribusiness a quelli della collettività. Un fronte che dovrà far sentire il suo peso durante il “trilogo”, cioè i negoziati a tre tra Commissione europea, Parlamento europeo e governi nazionali, che si svolgeranno nei prossimi mesi per definire la Pac. Non solo, c’è anche spazio per un rigetto dell’attuale testo da parte della Commissione europea: non è mai successo nulla di simile, ma il meccanismo dell’Ue lo prevede e sarà una partita da giocare.
Di tutto ciò si è parlato molto poco sui media. C’è stato spazio solo per brevi commenti entusiastici di esponenti politici e associazioni di categoria, alcuni dei quali hanno salutato questo accordo addirittura come una svolta verde, e per la diatriba sul divieto di utilizzare per prodotti vegani o vegetariani termini come “burger vegano”, che richiamino cioè i loro cugini a base di carne, divieto che è stato bocciato. È stato un pò come guardare il dito, mentre dietro c’era la luna di un dibattito che segnerà il sistema agroalimentare europeo per i prossimi 7 anni. Quasi 400 miliardi di fondi pubblici che per come è strutturata ora la proposta, tuteleranno solo gli interessi dei maggiori produttori industriali e dei proprietari terrieri più ricchi, mentre agricoltori virtuosi, natura e ambiente sono stati messi da parte, insieme agli obiettivi climatici dell’Ue che sono ora a rischio. Miliardi di euro pubblici che spingeranno ulteriormente l’agricoltura verso la catastrofe climatica, a meno che questa proposta non venga radicalmente modificata e si ricominci da zero la trattativa. La strada è tutta in salita, ma la partita non è ancora chiusa.
Immagine di copertina di Jemzo da Pixabay.com