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NELLE STORIE

Estate 1936: inizia la guerra di Spagna

Nel luglio di 83 anni fa, l’Alzamiento contro la Repubblica in Spagna. Un grande movimento contadino, proletario e libertario sarà soffocato nel sangue della guerra civile, lasciando il campo ai lunghi anni del franchismo.

L’estate è la stagione della guerra di Spagna. L’Alzamiento contro la Repubblica, lanciato con un Bando nacional e guidato da quattro generali e numerosissimi colonnelli, iniziato con un pronunciamento dei tercios legionari marocchini il 17 luglio, il giorno successivo si è esteso a tutto il territorio della madrepatria. A settembre, i nazionalisti avranno già conquistato un buon terzo dell’intera penisola iberica. Nell’estate madrilena, la rivolta non ha però successo e i distaccamenti di militari insorti sono costretti a una resa spesso sanguinosa. Propaganda subito divenuta leggenda vuole che en el patio de un conviento il PCE abbia fondato all’istante il suo leggendario Quinto Regimiento – certo è che già il 19 luglio, mentre già almeno cinquanta chiese sono in fiamme, le masse repubblicane vanno costituendo le prime milizie popolari con le armi dei depositi clandestini dei sindacati e quelle distribuite dalle forze rimaste fedeli al governo. Intanto le sacas e i paseos dell’alba stanno decimando i prigionieri politici prelevati segretamente dalle carceri. Nelle città e nei paesi repubblicani, sono comunque i religiosi, preti e suore, a pagare il primo prezzo alla ferocia dello scontro in atto: le esecuzioni più efferate hanno come teatro SigüenzaLérida , CuencaBarbastro , SegorbeJaénTarragonaCiudad RealAlmería. Ma non è che l’inizio. A fine conflitto, verranno contati nel clero spagnolo, sacerdoti, monache e suore, almeno diecimila caduti, tra essi 13 vescovi: et pas d’une apostasie, affermerà in un suo martirologio l’ultracattolico francese Paul Claudel. La Chiesa riconoscerà tra essi 11 santi e 1512 beati. I morti in tutta la Spagna, comunque, si contano già a decine di migliaia da entrambe le parti.

A Badajoz le truppe ribelli al comando del colonnello Yagüe, che hanno preso la città dopo durissimi combattimenti, fucilano ai primi d’agosto almeno quattromila operai e contadini. Nella Plaza de Toros, teatro principale del massacro, il sangue corre a fiumi. Negli stessi giorni, Granada e le sue pietre piangono in silenzio, questa volta, l’uccisione, ancora oggi avvolta nel mistero, del suo grande cantore Federico García Lorca. L’Alcazar di Toledo, l’accademia militare dell’esercito, roccaforte dei nazionali, subisce un pesantissimo assedio sino al settembre, quando la sua liberazione a opera di José Enrique Varela, uno dei quattro generali ribelli, lo trasforma nel più celebrato monumento del primo franchismo.

Ma ancora d’estate: Brunete, baluardo repubblicano non lontano da Madrid, viene interamente distrutta nel luglio del secondo anno di guerra. Belchite, avamposto nazionalista a copertura di Saragozza, nelle stesse settimane, mentre imperversa una calura insopportabile, viene strenuamente difesa sino a essere interamente rasa al suolo: i repubblicani dell’esercito regolare, che hanno nello stesso momento provveduto a neutralizzare le colonne sempre meno disciplinate degli anarchici e del Poum, non riusciranno a occupare che un mucchio di macerie, poi a bella posta ostentate come “rovine nazionali” durante i lunghi anni del franchismo a venire. Alle soglie del terzo anno di combattimenti, è ancora nel luglio che la Repubblica lancia oltre l’Ebro la sua ultima, disperata offensiva. Per tre mesi questa darà l’illusione di una possibile salvezza, ma dovrà fermarsi di fronte a Gandesa, a non più di quaranta chilometri dallo schieramento iniziale.

Certo, in questi anni di guerra, anche l’inverno può vantare il suo carico di battaglie e di morte: come nel dicembre eroico della difesa di Madrid, o in quello disperato della sconfitta repubblicana di Teruel, inutile offensiva che nella neve e nel gelo subito si muta nel più grande errore tattico dell’esercito di Valencia e pone le premesse strategiche per la caduta della Catalogna dapprima, e di tutta la Repubblica tempo dopo.

E ben fuori da ogni calendario e senza termine appare in ogni caso per tutto il tempo della guerra, e anche ben oltre a esso, la piena stagione dell’odio e della paura, della ferocia e della crudeltà che segna le “ragioni” di entrambe le parti: “passioni” che persino il Novecento, il secolo delle guerre mondiali e dei genocidi, solo malvolentieri riconosce come proprie. 

Ma per il tempo e la storia in cui ci ritroviamo: l’estate è quella del 1936. Da cui però ci separano intanto 83 anni, ma poi la seconda guerra mondiale, l’Algeria, il Vietnam, il ’68, la caduta del Muro, la scomparsa dell’Urss, l’inizio di un nuovo millennio.  Eventi spesso dirimenti in termini storici e che spingono alcuni “chierici” verso più innovativi ma anche più cauti modi e metodi di lettura e di interpretazione del passato.  Per la Spagna e la sua guerra civile non sembra servire più, come anni fa, la logica (…il filtro!) del discrimine ideologico, rojos, anarquistas, euzko gudaris ed esquerra català da una parte; moros, azules, requetés e nacionales dall’altra, come nei vecchi (pur bellissimi) documentari alla Rossif o tra le pagine einaudiane del Thomas, chissà se ancora buon prolegomeno a ogni altra lettura in argomento. Troppe sgradevoli non consonanze, non corrispondenze: troppe giustificazioni da trovare, troppe motivazioni da addurre – laddove la sospensione del giudizio su molti, troppi episodi, può assomigliare, anche non volendolo, alla reticenza. Un tempo legata alle visioni da “massimi sistemi” allora vigenti, oggi non più accettabile.

Ma io dico, chiedendo subito perdono per tanto osare: troppe sono ancora per la mia generazione le passioni “spagnole” vive sotto la cenere, perché siano accettati come risolutivi e definitivi i giudizi storici oggi più correnti, quelli che si acquietano a parlare semplicemente di un’eclissi complessiva della democrazia europea, con un’incapacità non solo dell’Inghilterra conservatrice, ma anche e soprattutto della Francia socialisteggiante di Léon Blum e del Front Populaire a contrastare i fascismi e i totalitarismi di Italia e Germania e in qualche seppur diversa misura dell’Unione Sovietica.

Credo sia ancora possibile, e soprattutto legittimo, affermare che un grande movimento contadino, proletario e libertario, che poteva approdare alla seconda grande rivoluzione del XX secolo, sia stata soffocato nel sangue dall’alleanza tra un nascente capitalismo e un ancora potentissimo feudalesimo agrario, la Chiesa e la casta militare spagnola: con l’appoggio e il sostegno determinante dell’Italia di Mussolini e della Germania di Hitler. Grazie anche, in qualche misura, all’atteggiamento, come minimo discutibile, del novecentesco “comunismo reale” e della sua Unione Sovietica. Insomma, vivo e vitale può essere ancora oggi l’obbligo (e il piacere) di essere ancora, dico un noi che spero collettivo, certo idealmente, e malgrado tutto, dal lato giusto delle barricadas al Ponte dei Francesi o alla Città Universitaria – o anche, se necessario, con il Poum davanti all’Hotel Falcón o alla Telefónica di Barcellona. Noi, naturalmente con Picasso, Buñuel, Machado, Miguel de Unamuno, Robert Capa, Gerda Taro, Joris Ivens,  Ernest Heminway, John Dos Passos, Andrè Malraux, Pablo Neruda, Antoine de Saint-Exupéry, Samuel BeckettBertolt BrechtPearl BuckWilliam FaulknerPablo NerudaStephen SpenderJohn SteinbeckVirginia Woolf, Tina Modotti, George Orwell. Loro al massimo con Sánchez Mazas, Zuloaga Zabaleta o, ahimè, Ezra Pound e, ma non è nemmeno così sicuro, Ortega y Gasset.

 

 

Ora proviamo però a ragionare in termini più oggettivi. Delle cause innanzitutto. Quelle di lungo periodo vanno ovviamente ricercate nel complesso di una vicenda, spesso lontana da quelle del resto d’Europa, che inizia con la conquista napoleonica e la fine della monarchia assoluta dei Borbone e che per tutto l’Ottocento, a partire dal 1812 e dal cosiddetto “Costituzionalismo di Cadice” vede un susseguirsi di conflitti e di guerre tra liberali e un sempre forte schieramento clerico-reazionario, in un contesto reso sempre più complicato dall’alternarsi di fragili repubbliche e di anacronistiche monarchie e di almeno tre guerre dinastiche, carlistas contro isabelinos. Ma anche dei primi fermenti regionalistici e autonomistici e soprattutto da conflitti sociali sempre più espliciti e violenti. Una società sempre più arretrata, rispetto ai progressi della modernità industriale e sempre più divisa in classi, rigide come ordini feudali, con la casta militare, il latifondo e la proprietà terriera, nella piena ricchezza delle rendite fondiarie, da un lato; e i campesinos e i braccianti dall’altro, accomunati da una miseria insanabile e sempre più carica d’odio pauperistico contro curas, señoritos e tierratenentes. Con una Chiesa e un clero a far da occhiuti e spietati custodi quotidiani dell’ordine, e una limitata borghesia cittadina spesso incline a coltivare un radicalismo illuministico e massonico ma non sempre capace di vera incidenza nel reale. Instabilità e conflittualità istituzionale che vedono consolidarsi istanze esplicitamente indipendentiste in importanti regioni come i Paesi Baschi o la Catalogna; partiti liberali e repubblicani di ispirazione borghese; una coscienza socialista tra le masse di sempre più larghe proporzioni, ben interpretata dal PSOE, Partido Socialista Obrero de España, e dalla Unión General de Trabajadores (UGT); a tempo debito, un piccolo ma determinatissimo Partido Comunista e un puntiglioso e attivissimo (soprattutto in Catalogna) Partit Obrer d’Unificació Marxista (POUM), vagamente trotzkista; ma anche e soprattutto un movimento anarchico e anarcosindacalista esteso e vitale come in nessun’altra nazione europea, con la sua FAI e un potentissimo sindacato, la CNT – e le cui frange individualiste sono sempre più inclini all’azione diretta e al gesto esemplare. Ma anche di una destra reazionaria e para/proto/fascista che sostiene, negli anni Venti del Novecento, la settennale dittatura di Miguel Primo de Rivera, parallela alla monarchia di Alfonso XIII, e che approda poi alla creazione di movimenti come la Ceda, di ispirazione cattolico-reazionaria e soprattutto la Falange; con l’appoggio e il sostegno della gran parte della casta militare, impegnata nelle ultime inutili guerre coloniali, o di sospettosa guarnigione, insieme alla Guardia Civil, soprattutto nelle zone più “calde” del Paese.

Per moventi di medio periodo, si può parlare sicuramente di ciò che accade a partire dal 1931 e dalla definitiva caduta della monarchia: quando la Spagna assapora l’illusione di avere un sistema politico e una democrazia moderne, con la possibile alternanza elettorale dei partiti e soprattutto con l’affermarsi di una dirigenza politica e statuale in ogni caso di buona formazione culturale e di accettabile rigore morale.

Illusione che per entrambe le parti il crescere geometrico  delle reciproche violenze politiche smentisce quotidianamente.

E che in ogni caso non va oltre la grande rivolta asturiana del 1934, socialisteggiante e anarcoide, repressa sanguinosamente dal governo delle destre al potere, che riporta il conflitto nel paese a tutta la sua radicalità e la sua estensione. Da notare che al comando delle operazioni di repressione è posto un generale delle truppe coloniali di nome Francisco Franco Bahamonde. Nel breve periodo, vale infine a scatenare il golpe militare, prima ancora di ogni altro ragionamento, la costituzione del Frente Popular delle sinistre e la sua non prevista vittoria alle elezioni del febbraio ’36, che sembra riportare sulla Spagna il sogno (o l’incubo) di una nuova, irredimibile rivoluzione sociale.

 

 

Non abbiamo qui le pagine e il tempo per poter continuare a parlare della guerra civile spagnola nella sua complessità e in tutto il suo drammatico svolgersi. Non possiamo trascurare però di indicare alcuni nodi la cui disanima, qui solo accennata, può portare, se non ci sbagliamo, a una visione più critica e consapevole (non azzardo il termine ‘oggettiva’) dell’evento storico in quanto tale.

Partiamo dalla situazione internazionale. È assolutamente certo che il Non Intervento nel conflitto spagnolo deciso da Francia e Inghilterra nel corso della conferenza di Londra nel settembre del ’36 abbia favorito la vittoria dei ribelli. Non sorprende troppo tale atteggiamento  nell’Inghilterra conservatrice di Stanley Baldwin. Nella Francia del Fronte popolare guidato da Léon Blum la sorprendente realpolitik del “no” è temperata in qualche modo da larghi margini di tolleranza nei confronti di numerose azioni di sostegno a favore della Repubblica, a partire dal contrabbando di armamenti di vario tipo sino all’organizzazione del volontariato militante confluito nelle milizie combattenti e soprattutto nelle Brigate Internazionali. Nella piena natura politica delle vicende di quel tempo l’intervento dell’Italia fascista nel conflitto. A una iniziale richiesta d’aiuti in termini di armamenti e di rifornimenti militari partita dai ribelli, Mussolini e Ciano sovrappongono l’invio, per la verità all’inizio non graditissimo, di un corpo di truppe “volontarie” che opera sui vari fronti con alterne fortune (…Guadalajara!) fino alla fine della guerra. Meno ricordato il contributo venuto ai nazionalisti dall’aviazione fascista, e soprattutto dalla marina, molte efficace con i suoi bombardamenti costieri contro città e industrie repubblicane. La Germania nazista utilizza con freddezza “scientifica” e implacabile determinazione la sua Legione Condor (100 arei da combattimento) per sperimentare le nuove tecniche di impiego dell’aviazione, soprattutto i bombardamenti su città e insediamenti civili. I 200 morti di Guernica, città santa dei Paesi Baschi, hanno trovato nel celeberrimo dipinto di Pablo Picasso uno dei più eclatanti elogi funebri dell’arte di tutti i tempi.

Il solo appoggio esplicito alla Repubblica viene dal Messico, in minima parte, e dall’Unione Sovietica. Aiuto a tratti anche cospicuo, sul piano militare. Ma molto condizionante, come cercheremo di vedere tra poco, sul piano politico e sulle dinamiche interne della Repubblica. Ancora sul piano dell’internazionalizzazione della guerra: è in larghissima parte operazione del Comintern il reclutamento di combattenti antifascisti provenienti da tutto il mondo da organizzare nelle Brigate Internazionali. Il contributo di queste brigate è importantissimo sul piano politico e propagandistico, poiché dimostrano che in tanti paesi viva e militante è la forza dell’antifascismo incarnata da operai e proletari, ma anche da “compagni di strada” come intellettuali e artisti spesso di fama mondiale. Ma anche sul piano militare, il contributo delle brigate non è di poco conto: soprattutto nella difesa di Madrid, sul Jarama, a Guadalajara, a Brunete, in Aragona, e infine sull’Ebro.

Nelle cinque formazioni costituitesi, militano almeno 35,000 combattenti. Celebre la disciplina e l’inquadramento dei comunisti tedeschi del Battaglione Thälmann. Numerosi gli italiani del Battaglione Garibaldi, inquadrato nella XII Brigata. Tra di essi, Pietro Nenni, il repubblicano Randolfo Pacciardi, Francesco Fausto Nitti, Guido Picelli, fondatore degli Arditi del Popolo, caduto in battaglia, Luigi Longo, Vittorio Vidali (el comandante Carlos), Ilio Barontini, Emilio Lussu, Rita Montagnana, Giuseppe di Vittorio. Sulla Guerra di Spagna le Brigate, sciolte nel novembre del 1938, quando è già fatalmente delineata la sconfitta repubblicana, lasceranno comunque l’impronta di un’epopea e di un eroismo quasi senza precedenti. Al prezzo inevitabile di qualche ombra sul piano, per esempio, del conformismo politico imposto dai commissari comunisti a tutti i militanti, con il seguito di numerosi problemi che i comandi prendono a definire come disciplinari, ma in realtà sono di natura profondamente politica. Impopolare per un volontarismo liberamente scelto il drastico e contraddittorio stile di comando di André Marty, il comunista francese posto a capo delle Brigate, subito noto per un carattere troppo impulsivo e iracondo.

Carlo Rosselli combatterà nei primi mesi sul fronte di Huesca, per essere ferito e far ritorno in Francia, dove verrà ucciso insieme al fratello dalla Cagoule al soldo dei servizi fascisti.

 

 

Che cosa stia succedendo nel paese diviso, nella Spagna nazionalista in primo luogo, può essere descritto, in una sintesi ovviamente di pura somma, come un processo progressivo di creazione di un totalitarismo basato su norme e valori tradizionali, eredità dell’autoritarismo secolare della monarchia, della chiesa e degli strati più alti della società. Non c’è dubbio che Francisco Franco, in poco tempo emerso tra i generali e gli alti ufficiali dell’Alzamiento come figura di spicco, e in altrettanto poco tempo divenuto il Generalisimo e il Caudillo sia estrememente abile nell’imporre alle varie frazioni della destra, alla Falange soprattutto ma anche ai Carlisti, l’unificazione in un unico Movimiento che sappia organizzare in tutta la società ordine, obbedienza, disciplina, rispetto delle gerarchie prima di essere veicolo di ogni altra spinta verso nuovi, magari turbolenti valori “ideali”. Sulla capacità di Franco e della sua dittatura di saper realizzare un tale impianto sociale oggi nulla si può obiettare, vista la pervasività di tale impianto in tutta la Spagna, dalle classi più alte, a quelle “di servizio” sino ai più umili dipendenti dello stato come i porteros e i serenos guardiani delle notti cittadine; e visto il lungo periodo occupato nella storia spagnola e in quella europea dal franchismo. Due sole ulteriori osservazioni: tale dittatura fu comunque di una durezza e di una ferocia quasi senza pari soprattutto in tempo di “pace”, dopo la fine della guerra e la vittoria. Con un numero di fucilati, di incarcerati e di esiliati e fuorusciti ancora da determinare. Franco inoltre fu molto abile nel porre in atto una sempre maggior distanza tra il proprio regime e gli alleati che lo avevano tanto aiutato durante la guerra. La non belligeranza e la neutralità spagnola nel secondo conflitto mondiale permise a Franco di presentarsi agli Alleati vittoriosi come un “anticomunista” capace di dare il proprio sostegno ai nuovi schieramenti della guerra fredda; e come tale fu anche se in maniera spesso non conclamata accettato e la sua dittatura tollerata dagli altri governi occidentali.

La Repubblica: lo storico Henry Preston, tradotto anni fa da Mondadori, sostiene che nel 1989, l’anno del suo libro più importante, esistono almeno quindicimila libri sulla repubblica spagnola e sulle ragioni della sua caduta. Credo di sapere come un tale dato vada subito interpretato: come segno di un dilemma sinora non risolto, e forse mai più risolvibile, incasellato dalla clausola “guerra o rivoluzione”. Dilemma interpretativo che poggia comunque su fatti difficilmente dubitabili. Alle spinte egualitarie e collettiviste, in gran parte  degli anarchici, che hanno prodotto nella fase iniziale della lotta in tutta la Spagna, ma soprattutto in Catalogna (dove tutto, dalle grandi proprietà terriere alle botteghe dei barbieri è stato collettivizzato) un’ondata rivoluzionaria senza precedenti, si va sostituendo il tentativo, da parte dei comunisti e dei sempre più numerosi esponenti del Comintern qui accorsi, di arrivare a una più normale “democrazia progressiva”, sulla quale però la dirigenza del PCE e soprattutto gli agenti moscoviti abbiano la possibilità di esercitare un controllo ferreo. È un processo ormai in atto in tutto il sempre meno esteso territorio della Repubblica. Non c’è dubbio che, pur non essendo il solo elemento di debolezza nello schieramento “lealista”, questa tendenza spesso tramutatasi, come nella Barcellona del maggio ’37, in uno scontro armato tra le fazioni abbia contribuito non poco alla rottura della solidità e della tenuta repubblicana. Certo il comportamento del PCE e della sua dirigenza, guidata minuto per minuto dagli esponenti del Komintern, tra cui Palmiro Togliatti, tende a privilegiare l’eliminazione dell’avversario interno prima ancora di ogni altra forma di lotta antifascista e anticapitalista. L’Unione Sovietica si fa forte dell’essere il solo sostegno alla Repubblica: Orlov, il capo-missione della NKVD, la polizia segreta russa, agisce in piena autonomia e senza rispondere del suo operato in alcun sede. Sempre più numerose le eliminazioni di esponenti del dissenso antistalinista: clamorose tra le tante quella di Andreu Nin, capo del Poum, e degli anarchici italiani Camillo Berneri e Francesco Barbieri. Nei confronti di Nin, il cui corpo non verrà mai ritrovato, verrà messa in atto una ferocissima campagna di diffamazione che lo indicherò all’opinione pubblica come un mostro al servizio di Franco e del fascismo internazionale. Qualche mese prima, Nin aveva scritto sulla “Batalla”, il giornale del suo partito, che «…i lavoratori hanno sconfitto il fascismo e stanno combattendo per il socialismo…In Catalogna esiste già la dittatura del proletariato…la nostra rivoluzione è più profonda di quella che aveva scosso la Russia nel 1917…». Mai troppo chiarito il ruolo nella vicenda di Palmiro Togliatti, in Spagna per conto del Comintern già da parecchi mesi.

A destabilizzare il quadro politico di Valencia e del suo governo furono anche altri numerosi fattori: i parametri sempre decrescenti dell’economia e della produzione industriale, in mancanza tra l’altro di ogni forma di apporto dall’esterno. E una certa tendenza alla sfiducia nella vittoria che da un certo punto in poi prese a diffondersi tra i pochi alti quadri militari  rimasti fedeli, e che portò a contatti più o meno espliciti con la Quinta Colonna franchista – nasce proprio durante la battaglia di Madrid questa colorita definizione di un nemico nascosto nel proprio schieramento, dalla risposta di una agente segreto al quale era stato chiesto quale delle quattro colonne franchiste allora in marcia avrebbe preso la città e che aveva invece sostenuto che sarebbe stata quella interna alla città. La dirigenza repubblicana, dal Presidente Azaña al primo ministro Negrin e ai massimi dirigenti dei partiti come Indalecio Prieto, Largo Caballero e Dolores Ybarruri non resta che la via dell’esilio. Lluís Companys i Jover, presidente della Generalitat de Catalunya dal 1934 e durante la Guerra civile spagnola, viene fucilato nel 1940.

In conclusione, da parte mia, nessuna opinione, nessun paradigma: solo due citazioni.

 

«…Le rovine non ci fanno paura. Noi erediteremo la terra. La borghesia può anche distruggere il suo mondo prima di uscire di scena. Noi portiano un mondo nuovo nei nostri cuori».

Da un’intervista a Buoneventura Durriti, esponente carismatico dell’anarchismo spagnolo, morto nel novembre del 1936 nel corso della battaglia di Madrid.

 

«Nella guerra di Spagna riconobbi una serie di cose per cui valeva battersi».

Chi parla è George Orwell.

 

Libri, film, dischi

Classico testo di riferimento sul periodo è ancora l’opera di Hugh Thomas, La Guerra Civile Spagnola, pubblicata da Einaudi nel 1963. Pregevole il lavoro di Henri Preston. Il libro di cui al cenno nel testo è La Guerra Civile Spagnola, pubblicato da Mondadori nel 1999.

Più attuale e più critico, soprattutto sul piano dell’analisi dei crimini di guerra tanto dei “rossi” quanto dei “neri”, il lavoro di Bartolomè Benassar, La guerra di Spagna, Einaudi 2006. Di grande interesse nel loro complesso i lavori dedicati agli eventi spagnoli da Gabriele Ranzato, che nel 1974 ha anche tradotto e introdotto per Feltrinelli Guerra e rivoluzione in Spagna, 1931-1937, di Andreu Nin. Di Boringhieri e del 2004 è il ponderoso L’eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini 1931-1939.

Tierra y Libertad, di Ken Loach, del 1995, è il film che guarda più da vicino e con occhio militante gli eventi di Barcellona del maggio del ‘37.

Molto bello a suo tempo, il pur “ortodosso” lungometraggio del 1963 di Frédéric Rossif. Per i nostalgici del tempo trascorso, immancabile la citazione di Per chi suona la campana di Sam Woods del 1943, interpretato da Gary Cooper e da una meravigliosa Ingrid Bergman. Ovviamente tratto dal datatissimo romanzo di Ernest Hemingway.

Ancora bellissima e suggestiva la raccolta di canzoni repubblicane pubblicate nel 1961 dalla Smithsonian Folkways Records, Songs of the Spanish Civil War. Molti dei brani contenuti nei due vinili sono comunque reperibili su Youtube.

Fondamentale ancora oggi per tutti la lettura di Omaggio alla Catalogna, di George Orwell, miliziano del POUM.