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Essere la rivoluzione: “Gli uccelli della tempesta – Un romanzo nel ‘74” di Pierluigi Sullo
“Gli uccelli della tempesta – Un romanzo nel ‘74 di Pierluigi Sullo” (Lastaria Edizioni) 242 pagine, 15 euro è un racconto che scorre attraverso l’intreccio di vite di giovani uomini e donne con avvenimenti che segnano un radicale cambiamento della società italiana in quegli anni
Nell’ultimo libro di Sullo, Gli uccelli della tempesta, Enrico è a Roma, scappato da Milano senza essere inseguito dalle guardie. Fugge da un amore finito. Mentre Dario Fo nel suo spazio a Quarto Oggiaro mette in scena la morte dell’anarchico Pinelli, Enrico avverte «l’annuncio oscuro dell’inconscio che quella sarebbe stata una nuova fine». Fine di un amore. Inizio di un racconto lungo un anno: il 1974.
A Roma nel 1974 molti vivono ancora in grotte, baracche, tuguri disseminati su tutto il territorio. Distese di lamiere e tavole di legno rappresentano il rifugio per migliaia di persone lungo il fosso di Sant’Agnese, a Prima Porta, al Mandrione, ai bordi dell’Ostiense, nella Valle dell’Inferno, sotto gli archi dell’Acquedotto Felice, a Prato Rotondo. In quei tuguri abitano gli edili venuti a Roma per costruire le case nelle quali non possono abitare. Sono loro i protagonisti delle occupazioni di case di quegli anni. Sono sempre loro le vittime degli sgomberi eseguiti dalle forze di polizia in maniera brutale. Come succede a San Basilio l’8 settembre del 1974 quando durante un tentativo di sgombero di alcune case occupate da 150 famiglie viene colpito un ragazzo da un colpo di pistola. «I compagni del ragazzo abbattuto presero a urlare tutti insieme assordanti e dal palazzo a fianco cominciarono a piovere oggetti sulla testa dei poliziotti non più schierati ma in disordine». Fabrizio Ceruso muore così a 19 anni.
Enrico e i suoi compagni sono lì a cercare «lo scantinato dei tossici» dove Peppe sta morendo di eroina. Scorrono in quel tempo fiumi di eroina che lasciano a terra corpi con «la faccia scavata» non solo a San Basilio, ma anche «rintanati nel giardino-jungla di piazza Vittorio o in qualche angolo di Colle Oppio». Uno sterminio.
Alla fine del 1973 il traffico automobilistico è bloccato per diverse domeniche. Per la prima volta si ha la percezione che è finito il lungo ciclo di espansione economica che aveva caratterizzato gli anni ’60. Il prezzo del petrolio è alle stelle a causa all’embargo petrolifero dell’Opec. Compare la parola austerity, che si traduce in disgregazione sociale e crisi politico-istituzionale.
Intanto tutto cambia, nella cultura, nella politica, nella società: nascono le regioni, vengono istituiti i “decreti delegati” a portare democrazia nella scuola, la legge 180 abolisce i manicomi, nasce un’università di massa. E poi lo statuto dei lavoratori, l’istituzione del servizio sanitario nazionale. Riunioni seguite da manifestazioni si sovrappongono le une alle altre, l’attività politica riempie il tempo ne «la sede affaccendata dove tutti si parlavano per segnali verbali, il corteo o il lavoro di massa o quel che era». Lì si attende il risultato del referendum abrogativo della legge che ha introdotto il divorzio. Mentre lo scrutinio è in corso arrivano notizie a frammenti e ci si rivolge al compagno di Botteghe Oscure perché «hanno i loro numeri, i risultati più tempestivi, più accurati di quelli del Viminale». Fino al grido «abbiamo vinto» e agli abbracci.
La trasformazione è radicale anche nelle relazioni e nelle pratiche politiche sotto la spinta del movimento femminista, che politicizza il quotidiano. I protagonisti del romanzo lo avvertono e sembrano frastornati da queste nuove donne che non sono più le servizievoli ancelle al ciclostile, ma producono lotte radicali e vittoriose. L’aborto è depenalizzato con la legge 194, il diritto di famiglia è riformato. C’è la riscoperta della letteratura delle donne e di Virginia Woolf. Ci sono le manifestazioni e i cortei di tante donne tutte insieme che si riprendono la notte. I compagni restano fuori dalla «folla di donne e ragazze che entravano nel cinema affittato per l’occasione e che ridevano e mostravano sfacciate il segno che si erano inventate, i pollici e gli indici uniti sulle punte a disegnare una vagina».
Cadono i colonnelli in Grecia, ritornano alla democrazia Portogallo e Spagna. Dopo una guerra durata trent’anni, prima contro i francesi, poi contro gli Usa, i vietcong e le forze nordvietnamite entrano a Saigon nel 1975. Yankee go home!
Si parte per andare a vedere la «rivoluzione che ancora tre mesi dopo il 25 aprile eruttava persone e idee e bandiere e canti», perché «ci sono occasioni in cui si è felici, ci si abbraccia, si canta brandendo garofani, magari subito prima di imbracciare un fucile».
«Tornò a prendere l’autobus e vide un carro armato immobile e minerale all’imbocco di via Condotti, il cannone puntato su Trinità dei Monti, come i carri sovietici sotto la statua di San Venceslao, a Praga, o i blindati della polizia su Boulevard Saint-Germain, a Parigi, o le torrette minacciose intorno alla piazza delle Tre Culture, a Città del Messico, mentre là dentro si faceva il tiro a segno sugli studenti, o il tank che abbatteva la cancellata del Politecnico di Atene». Immagini fissate nei ricordi che tornato minacciose alla mente di Enrico, appena avvisato da Italo che si prepara un colpo di stato. Annuncio credibile visto che ci sono stati Piazza Fontana, il Treno Italicus e Piazza della Loggia. Le stragi fasciste che hanno seminato morte, con la complicità delle istituzioni politiche e militari per aprire la strada a un governo autoritario.
C’è coraggio e spregiudicatezza fra questi ragazzi che girano il mondo grazie all’ospitalità di tanti compagni e compagne. C’è tanta amicizia fatta di intimità e condivisione. Ci sono amori che iniziano per poi finire. C’è anche il tradimento fra i tanti percorsi di vita individuale.
L’obiettivo è uno solo: cambiare la società e farla diventare più giusta. Come Gino e Dolores, la famiglia che Enrico si è scelta, hanno fatto prima di loro.
Appare la morte, crudele e incomprensibile per chi ha vent’anni. Enrico si affida al vocabolario per capire il significato della parola, che in fondo è molto semplice. Vuol dire che «uno ha cessato di respirare, parlare, muoversi e amare o odiare, ha smesso di scrivere aforismi e poemi». È stato così per Peppe, per Alfredo, per Italo e infine per Dolores. «E a Enrico vennero in mente tutti i funerali, assorbì la sua commozione e il disorientamento».
Tutti gli attori della storia hanno un progetto di vita. Sono ragazzi che studiano per diventare medici, storici, magistrati, giornalisti. Sono lontani da quella massa di giovani che appare all’orizzonte nei primi raduni a Parco Lambro organizzati dalla rivista “Re Nudo”. Da lì nascerà il proletariato giovanile e quel grande movimento spinto da «la gioia disinteressata dell’inutile», così difficile da capire se non si fa parte di quelle masse di giovani angosciate dal loro isolamento, che diventeranno protagoniste alla fine degli anni ‘70. Sono senza futuro e il prendo tutto sostituisce il desiderio che è stata la bussola per Enrico e i suoi compagni.
Ma questa è un’altra storia.