ROMA

«Esiste un modo alternativo di fare didattica», lə studenti si riprendono i loro licei

Prima il Rossellini, poi l’Albertelli, il Ripetta, il Manara e ora il Virgilio: dopo un anno e mezzo di pandemia, durante la quale l’istruzione pubblica è stata relegata agli ultimi posti tra le priorità del Paese, lə studenti occupano quegli spazi rimasti vuoti per troppo tempo

«C’è stata una grande partecipazione studentesca, sin dalla sera dell’occupazione, avvenuta lunedì 1 novembre. Eravamo circa 400: è stata fatta un’assemblea e all’unanimità abbiamo scelto di occupare». Una decisione presa dopo una riflessione collettiva che è partita dalle esigenze di chi vive la scuola, spiega Irene, che è iscritta al Virgilio e fa parte del collettivo autorganizzato della scuola; mentre si fa strada tra i corridoi del suo liceo racconta come sono andati gli ultimi giorni di mobilitazione: «Abbiamo iniziato a riflettere su ciò che ci fa stare male per poi arrivare ad analizzare problemi strutturali del sistema scolastico».

Qualcosa di simile si legge nei comunicati pubblicati dai collettivi degli altri licei che hanno occupato nelle ultime settimane.

Le critiche, a cui cercano di dare visibilità, rivolte all’istituzione scolastica nascono dalle problematiche che lə studenti si trovano a vivere da quando sono rientratə in classe: si tratta di questioni molto concrete che tuttavia non ricevono l’attenzione adeguata. «Può un liceo classico non avere una biblioteca? – si legge nel comunicato del collettivo autorganizzato del Manara, che ha occupato il 27 ottobre – Non tutti gli studenti hanno le stesse possibilità di accedere ai libri e agli strumenti culturali necessari per completare la propria formazione, la funzione della scuola è anche quella di sanare le differenze sociali offrendo a tutti le stesse opportunità». Oltre all’assenza della biblioteca il collettivo denuncia anche un accesso molto limitato al cortile e alla palestra della scuola e fa notare come l’entrata a orari scaglionati non faccia altro che peggiorare una situazione già molto complessa, per quanto riguarda la prevenzione della diffusione del Covid-19.

Questo problema è sottolineato anche dallə studenti del Ripetta, liceo artistico nel centro di Roma occupato il 20 ottobre. Il collettivo autorganizzato Ripetta – Pinturicchio nel suo comunicato definisce gli scaglionamenti «dannosi per la nostra salute fisica e mentale» e «penalizzanti […] soprattutto per coloro che abitano in zone periferiche mal collegate, poiché azzerano ogni possibile momento di socialità o comunque di attività extra scolastiche». Ma questa è solo una delle questioni sollevate dal collettivo che tra le altre cose denuncia la mancanza di materiali e laboratori adatti allo svolgimento della didattica richiesta da una formazione artistica, che dovrebbe «incentivare la creatività dello studente», quando invece «quello che ogni giorno vediamo tra i banchi è una didattica incentrata solo ed esclusivamente su progetti sterili e aridi».

L’occupazione del Ripetta è stata caratterizzata da una violenta repressione da parte delle forze dell’ordine: non solo ci sono state cariche molto pesanti fuori dalla scuola, ma una ragazza ha anche denunciato di essere stata molestata da un agente durante gli scontri.

La mancanza di spazi adeguati per svolgere le lezioni emerge anche tra le rivendicazioni dellə studenti del Rossellini che hanno occupato per primə, a sole tre settimane dall’inizio dell’anno scolastico, dopo essersi ritrovatə a fare lezione in condizioni ai limiti della sicurezza e dell’igiene. «Ci sono classi che fanno lezione sotto l’acqua, il sole e il vento, ci hanno messi in aule dove non ci sono banchi né sedie e mancano i professori», raccontava Matilda a Dinamopress nella piazza romana dell’11 ottobre, giornata di sciopero generale lanciato dai sindacati di base, durante la quale uno spezzone studentesco si era ritrovato davanti al Miur per poi partire in corteo fino a convergere nella manifestazione dei lavoratori e delle lavoratrici dietro piazza Venezia. Dopo questa data, la protesta di studenti e studentesse ha avuto finora come appuntamento più importante il 29 ottobre, lo scorso venerdì: in quella data, tutti i licei romani sono scesi per le strade di un centro storico altamente militarizzato per contestare il G20, inaugurando il week-end di mobilitazione nelle stesse ore in cui si dava il via al Climate Camp.

«Abbiamo partecipato alla manifestazione di venerdì – spiega Irene – e per noi questo è stato il primo passo rispetto a quello che volevamo organizzare». La sera del lunedì successivo infatti è iniziata l’occupazione, che è tutt’ora in corso e, come racconta Irene, sta dimostrando che «esiste un modello alternativo di scuola, perché gli studenti e le studentesse se stimolati nel modo giusto sono davvero interessati a partecipare: qua non obblighiamo nessuno ad andare ai corsi ma sono sempre pieni, c’è un vero e proprio scambio e tutti hanno voglia di interagire». Le giornate di occupazione sono state pensate proprio per mettere in pratica questo modello alternativo. Il primo giorno, martedì, si intitolava “una nuova formazione” e lə studenti del Virgilio hanno organizzato tre corsi per affrontare gli argomenti che pensano siano carenti dentro la scuola: il dibattito sulla politica, quello sull’ambiente e quello sulla sessualità. La giornata di ieri è stata dedicata alle questioni di genere, mentre nella giornata di oggi sono previsti: un corso sul G8 di Genova, un incontro con i Giovani Palestinesi e delle attività ricreative, tra cui un “anticoncorso” di fotografia, in cui verranno attaccate per tutta la scuola delle foto realizzate dallə studenti del Virgilio.

Si tratta di un “anticoncorso” perché non ci sarà un vincitore, «per permettere a chiunque di partecipare senza pressione e competitività, ma solo per il piacere di esprimersi e di fare fotografia», spiega Irene.

Tra le problematiche sollevate dallə studenti del Virgilio, infatti, c’è quella delle valutazioni.  «È una questione emersa ancora di più durante la didattica a distanza – afferma Irene – perché l’unica cosa che si faceva in Dad era spiegare, mentre ogni volta che tornavamo a scuola in presenza facevamo solo verifiche e interrogazioni. In questo modo la centralità della didattica era assunta dalla valutazione, mentre il tempo dedicato alle spiegazioni veniva sacrificato». Emerge anche il bisogno di stare insieme: «Vogliamo che la scuola sia un posto di collettività e socialità, oltre che di formazione – conclude Irene – e questa occupazione così partecipata conferma tale bisogno». Il Virgilio in questi giorni ha ripreso a parlare, nelle chiacchiere tra i corridoi, tra i dibattiti nell’aula a gradoni gremita di persone durante i corsi, ma anche sui muri, come quello del primo piano su cui lə studenti hanno deciso di scrivere i loro pensieri tra disegni colorati e scritte di varie dimensioni in cui emerge la più vistosa: “Ansia di diventare grande”.

Tutte le immagini di Patrizia Montesanti