approfondimenti

ITALIA

Eppur si muove. Metodo storico e sfide del presente. Intervista con Michele Colucci

Nel tempo presente – segnato dall’ascesa della destra globale – sembra esserci sempre meno spazio per immaginare un futuro radicalmente alternativo. Il questo scenario il metodo storico può fornire preziose indicazioni per non cedere allo sconfittismo. Ne abbiamo parlato con lo storico Michele Colucci del CNR

L’avanzata delle destre radicali, la crescente concentrazione del potere, la crisi climatica e il restringimento degli spazi democratici pongono nuove sfide per i movimenti sociali e per chi ricerca strumenti di comprensione e azione politica.

In questo contesto, il metodo storico offre un punto di riferimento per non farsi travolgere dalla rassegnazione. Guardare al passato non significa cercare risposte preconfezionate. Può essere un’opportunità per acquisire strumenti utili a decifrare le dinamiche del presente e immaginare alternative. Attraverso l’analisi di periodi storici segnati da profonde crisi e da inattese inversioni di tendenza, è possibile interrogarsi sulle condizioni che hanno reso possibili trasformazioni politiche e sociali anche in contesti e fasi storiche molto complesse.

Su questi temi abbiamo intervistato Michele Colucci, primo ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di studi sul Mediterraneo. L’analisi di Colucci fornisce rilevanti indicazioni di metodo sul valore della conoscenza storica nel comprendere il presente e nel costruire un orizzonte di cambiamento.

L’affermazione della destra globale – da Trump in giù – è così forte, diffusa e radicale da sembrare senza via d’uscita. La concentrazione di potere – militare, tecnologico, economico – appare oggi inarrestabile. Com’è possibile resistere alla tentazione, a volte implicita e altre esplicita, di credere che la storia sia (nuovamente) finita?

La storia non finisce mai, mettiamo questo punto fermo! Si esauriscono alcune stagioni, entrano in crisi i soggetti, emergono nuovi attori ma insomma la fine della storia mi pare un orizzonte culturale, emerso agli inizi degli anni ’90, che ha mostrato tutti i suoi limiti come categoria interpretativa. Certo viviamo una fase nella quale le trasformazioni economiche, sociali e politiche si muovono a una velocità che in passato era impensabile: di fronte a questo scenario è proprio il metodo storico che si può rivelare strategico per recuperare lucidità e cercare di cogliere il senso e la dinamica delle trasformazioni. Inoltre, la cassetta degli attrezzi propria delle scienze storiche ci permette di sostenere un approccio solido alla critica delle fonti e alla loro verifica: è inutile ribadire che oggi si tratta di un terreno strategico e di grande importanza. L’equivoco della fine della storia ha come corollario l’impossibilità e l’incapacità di agire per cambiare la realtà, quella forma di inibizione alla prassi che Daniele Giglioli ha definito «stato di minorità»: è una trappola che negli ultimi 30 anni ha imprigionato molte intelligenze, dalla quale bisogna liberarsi definitivamente.

ph Gage Skidmore, wikicommons


Ci sono periodi storici che ti vengono in mente che possano offrire, con le dovute cautele, chiavi interpretative utili sia per comprendere fasi come questa, sia per immaginare possibili vie d’uscita?

Mi vengono in mente tre momenti, limitati al Novecento. La seconda metà degli anni ’30 e la metà degli anni ’50 per quanto riguarda l’Italia. Il periodo degli anni ’80 guardando altrove, per esempio al continente africano. 

Nella seconda metà degli anni ’30 il fascismo italiano sembra invincibile, ha un dominio generalizzato sulla società e anche a livello internazionale mantiene una posizione centrale. Il mondo dell’antifascismo sia in Italia sia all’estero tiene tenacemente in piedi una rete di relazioni e non rinuncia alle sue attività ma è oggettivamente in difficoltà. Mantenere alto il livello della mobilitazione e non cedere alla rassegnazione si rivela fondamentale perché nel giro di pochi anni, sotto i colpi della guerra, quel regime apparentemente invincibile si sbriciola e viene sconfitto. Passiamo alla seconda metà degli anni ’50, restando in Italia. Le aspettative della Resistenza e della ricostruzione si sono esaurite, la Costituzione nonostante la chiarezza del testo resta largamente inapplicata, molte leggi di epoca fascista transitano al periodo repubblicano senza colpo ferire, basti pensare alle disposizioni contro l’urbanesimo che limitano le migrazioni interne e rendono di fatto “clandestini” tante e tanti tra coloro che si muovono per cercare un lavoro. La cappa di una cultura moralista e tradizionalista immobilizza le donne dentro ruoli di subordinazione. Nel 1955 la sconfitta della Fiom alle elezioni per le commissioni interne della Fiat suggella il ripiegamento del movimento operaio, tre anni dopo la Corte costituzionale abolisce una delle più grandi conquiste del dopoguerra: l’imponibile di manodopera in agricoltura. Eppure nel giro di pochi anni il vento cambia molto rapidamente e solo dieci anni dopo accade l’impensabile: il ciclo di lotte che porterà allo Statuto dei lavoratori, una stagione nuova di mobilitazione che porterà una dopo l’altra ad acquisizioni fondamentali per le donne quali il divorzio, l’aborto, il nuovo diritto di famiglia solo per ricordarne alcune. Un cambiamento senza precedenti nella società italiana, che sarebbe stato impossibile da prevedere restando dentro i confini dei rapporti di forza ancora alla fine degli anni ’50.

Per andare oltre l’Italia e l’Europa gettiamo uno sguardo sulla storia recente dei paesi africani. Concentriamoci ad esempio sugli anni ’80. Lo scenario è durissimo e desolante. Nello Stato più grande e più ricco di risorse, il Sudafrica, governa il regime spietato dell’apartheid, che ha messo in pratica le peggiori elaborazioni segregazioniste della storia del Novecento e attraverso il razzismo perpetua un sistema di sfruttamento articolato e apparentemente intoccabile. In uno degli Stati più poveri, l’Alto Volta, si susseguono governi che continuano ad affamare la popolazione, senza grandi cambiamenti rispetto al periodo coloniale. Ma proprio dall’Alto Volta, nel 1983, emerge una delle novità più dirompenti della storia contemporanea: la rivoluzione di Thomas Sankara, che nel giro di pochissimi anni trasforma il paese, riducendo in modo sorprendente le ingiustizie sociali e avviando una stagione di riforme radicali, incentrate sull’istruzione, la sanità, il ruolo delle donne, l’ambiente, la cultura, cambiando anche il nome del paese in Burkina Faso, paese delle persone integre. Pochi anni dopo, tra il 1989 e il 1990, anche in Sudafrica avviene un cambiamento che fino a pochi anni prima sarebbe stato inimmaginabile. Dopo aver ottenuto la liberazione di Nelson Mandela, le organizzazioni che avevano tenuto faticosamente in piedi la lotta contro l’apartheid riescono a sconfiggere il regime, che crolla nel giro di pochi mesi sotto la spinta della mobilitazione popolare: si apre una pagina nuova nella storia dell’Africa e del mondo intero. 

ph Maureen Keating, wikicommons


Questa espressione viene spesso utilizzata nel dibattito pubblico per descrivere il presente. Quali sono, secondo te, le opportunità e i rischi nell’usare il passato come chiave di lettura dell’attualità?

Il passato rappresenta un terreno molto fertile per capire l’attualità ma è necessario esplorare le relazioni, le differenze, i punti di rottura tra passato e presente. Negli ultimi anni il ricorso allo spauracchio del ritorno del fascismo ha rappresentato una risposta parziale e inadeguata al dilagare delle destre. Il tentativo di gestire sul piano della retorica le questioni poste in maniera dirompente dalle culture politiche riconducibili alle vecchie e nuove formazioni di destra si è rivelato un tentativo perdente, che rischia di rendere poco credibili anche le comprensibili preoccupazioni emerse in Italia di fronte ai recenti provvedimenti basati su forme autoritarie di approccio al dissenso. Questo non significa negare le radici e le relazioni che esistono a livello nazionale e internazionale tra il fascismo come esperienza storica, il neofascismo come successiva vicenda politica e le nuove destre di governo emerse più di recente. Il problema è che tali radici rappresentano solo una parte del sistema di valori, di culture e di apparati ideologici che caratterizzano i soggetti che oggi sono al potere in Europa e nelle Americhe o che si candidano a diventare forza di governo.

Lo scenario presenta molti elementi nuovi, non facili da decifrare, perché nel modo con cui si manifestano sono in larga parte inediti. Ridurre tutto al semplice ritorno del fascismo significa attestarsi su una immagine per certi versi consolatoria: occorre ripensare categorie e strumenti interpretativi. Che ci siano anche elementi di continuità tra passato e presente è fuori discussione: il problema è che tale continuità si muove su linee che esasperano in modo nuovo questioni antiche. Pensiamo all’odio diffuso, organizzato e militante verso le migrazioni: il razzismo unisce sicuramente passato e presente, al suo fianco però prendono corpo discorsi meno visibili in passato quali l’idea che dietro le migrazioni ci sia un complotto di attori economici e umanitari. Pensiamo all’esaltazione della purezza demografica e alla diffidenza verso l’autodeterminazione delle donne: è un tema classico delle destre conservatrici e reazionarie, che oggi si declina attraverso l’attacco all’aborto con forme nuove di intervento quali il sostegno diffuso anche economico ai movimenti pro-vita, il definanziamento della sanità pubblica, le battaglie giudiziarie costruite a partire da casi locali.

Quali libri consiglieresti a chi vuole provare a orientarsi nel presente – e immaginare vie d’uscita – anche attraverso il confronto con la storia? 

Partirei dal libro di Alessandra Gissi e Paola Stelliferi L’aborto. Una storia (Carocci 2023). Racconta una storia molto articolata capace di tenere insieme le pratiche sociali, le politiche, il pensiero scientifico e l’azione deflagrante dei movimenti collettivi. È un libro che ci insegna come alcuni diritti fondamentali siano stati conquistati partendo da uno scenario in cui era apparentemente impensabile rovesciare assetti enormemente stratificati e consolidati. Allo stesso tempo ci racconta come il diritto all’aborto sia stato contestato e attaccato in forme articolate negli ultimi 40 anni e su quali piani si sia spostata la conflittualità legata alla sua applicazione. 

ph TitiNicola, wikicommons

Suggerisco anche il volume di Peter Gatrell L’inquietudine dell’Europa. Come la migrazione ha rimodellato un continente (Einaudi 2021). È un libro che ricostruisce in modo puntuale i fenomeni migratori, ampi e diversi, che hanno riguardato il continente europeo dal 1945 a oggi, intrecciando la storia delle guerre mondiali e della guerra fredda, la decolonizzazione, la fase della crescita e della crisi economica, il welfare, fino ad arrivare agli anni più recenti, nella stagione successiva alle cosiddette “primavere arabe”. La storia delle migrazioni rappresenta un terreno di grande valore per mettere alla prova le potenzialità del metodo storico come strumento per comprendere e trasformare la realtà.

Un altro libro del quale suggerisco la lettura è il volume di Alessandro Casellato e Gilda Zazzara Renzo e i suoi compagni. Una microstoria sindacale del Veneto (Donzelli 2022).  Il volume racconta un percorso esemplare, attingendo a una documentazione amplissima, incentrata soprattutto sulle fonti orali. È la storia di Renzo Donazzon, nato in una famiglia di mezzadri, diventato operaio e comunista, che attraversa il territorio veneto nella stagione degli anni ’60, ’70 e ’80, all’interno della militanza sindacale e politica. Una storia di riscatto ed emancipazione ma anche di dolore e di contraddizioni, maturata all’interno di un territorio-laboratorio, il Veneto della seconda metà del Novecento. È un libro che penetra a fondo nelle pieghe di questo territorio in una fase di grandissime trasformazioni e di eccezionale partecipazione ma che svela anche i punti oscuri e le opacità del movimento operaio. Ricordo che il tema del lavoro per lungo tempo è stato trascurato e sottovalutato, sia in ambito scientifico sia tra i movimenti sociali: negli ultimi anni – anche se ci sono delle importanti inversioni di tendenza – penso che il prezzo pagato per questa sottovalutazione sia stato molto alto.

Infine suggerisco il volume di Luca Rossomando Le fragili alleanze. Militanti politici e classi popolari a Napoli, 1962-1976 (Monitor edizioni, 2022). Si tratta di una ricerca molto documentata che descrive le caratteristiche e le problematicità dell’incontro tra militanza politica e classi popolari in un contesto vivace ma complesso quale quello della Napoli degli anni ’60 e ’70. In quella stagione nacquero percorsi, vertenze e progetti destinati a cambiare concretamente la vita di molte persone, attraverso le battaglie sul lavoro, sulla scuola, per la cultura. L’autore passa in rassegna l’effervescenza dei tanti gruppi che si mobilitarono, non propone però un quadro agiografico, mette anzi in risalto anche le ragioni che portarono a crisi e forme di ripiegamento, analizzando problemi destinati a ripresentarsi nel corso del tempo.

Per ampliare ancora gli orizzonti invito anche a visitare nelle prossime settimane due mostre allestite a Roma, incentrate a loro modo sulla storia contemporanea. La prima è “Picasso – lo straniero”, un viaggio attraverso le opere di Picasso a partire dalla sua condizione di immigrato in Francia, che a proposito di legami tra storia e migrazioni contiene molti stimoli utili a comprendere la centralità della questione migratoria nel Novecento e tutto ciò che ne è scaturito, anche a partire da congiunture molto complesse e drammatiche. La seconda è “Viscosa di Roma. 100 anni di storie, lotte e natura all’Ex-Snia” allestita presso il Parco delle energie. Racconta attraverso immagini e documenti le vicende della fabbrica di largo Preneste, dalla fase dell’industrializzazione passando per la dismissione, la riappropriazione attraverso la nascita del centro sociale e la grande battaglia ambientale legata al lago negli ultimi anni. Entrambe sono mostre che testimoniano come in periodi critici e difficili siano nate esperienze di rottura e di partecipazione che hanno cambiato in modi differenti il corso della storia.

Immagine di copertina di Jack Delano, wikicommons

SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS

Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno