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MONDO
Elezioni in Brasile, verso il ballottaggio tra Lula e Bolsonaro
Da São Paulo, gli inviati di Revista Crisis riassumono le proprie impressioni sulla contesa elettorale brasiliana. Come leggere i risultati del primo turno e cosa farà Lula per vincere il ballottaggio? Perché il bolsonarismo ha ottenuto risultati sorprendenti nelle elezioni dei governatori e dei parlamentari? Cosa ci dice questa prima tornata elettorale sulla governabilità che verrà?
Lula c’è andato vicino, ma non è stato sufficiente. Il 48,43% raggiunto nella notte di domenica 2 ottobre ha avuto un sapore di amara vittoria nel bunker elettorale di Novotel, al centro di São Paulo. L’illusione dei suoi sostenitori, che si basavano sui sondaggi dei grandi media, era quella di riuscire a ottenere la vittoria al primo turno con oltre il 50%, risultato mai raggiunto precedentemente da Lula.
La militanza progressista e di sinistra ha vissuto quella notte vertiginosi cambiamenti di stati d’animo: dalle 5 e mezza del pomeriggio, quando sono arrivati i primi risultati è esploso il panico perché Bolsonaro era in testa nel conteggio dei voti; solo verso le otto di sera, con il 70% dei voti scrutinati, Lula è andato in testa e si è scatenato un grido di liberazione; ma nei festeggiamenti organizzati sulla Avenida Paulista e soprattutto alla fine della festa c’era una certa delusione. Soprattutto per come è andata nell’elezione dei governatori, dei senatori e dei deputati federali, dove la performance bolsonarista è stata sorprendente.
Ma, senza dubbio, non gli è mancato molto. Lula avrà bisogno di 1,8 milioni di voti in più per vincere il prossimo 30 ottobre. E sebbene sia altamente possibile che sarà lui il prossimo presidente del Brasile, Bolsonaro arriva al ballottaggio con il 43.20 % dei voti. Il voto nascosto che le agenzie dei sondaggi non avevano registrato è emerso ed è stato favorevole all’attuale presidente in carica.
Sulla base delle nostre proprie inchieste in presenza tra i conduttori di Uber, la continuità del bolsonarismo a São Paulo (città in cui 67mila persone vivono per strada) è alta e il candidato di destra ha sconfitto Lula con il 47,71% contro il 40,89%. Al contrario di quanto annunciato dai sondaggi, l’aspirante governatore del Partito dei Lavoratori (PT) Fernando Haddad è arrivato secondo con il 35,70% dei voti, dietro al candidato di destra Tarcisio de Freitas che ha ottenuto il 42,32%. Nello scontro strategico per il posto di senatore nazionale è emersa una figura un po’ bizzarra, l’astronauta Marcos Pontes, che ha sconfitto il candidato sostenuto da Lula, il centrista Márcio França.
Non tutto però è stato negativo nello Stato di São Paulo: Guillermo Boulos, del PSOL, è risultato il candidato più votato con oltre un milione di voti, mentre Eduardo Bolsonaro è finito terzo. A Brasilia e Rio de Janeiro invece il trionfo di Bolsonaro è stato inappellabile consolidando il primato della destra nelle principali città del paese.
La mappa degli Stati mostra una divisione geografica del paese già emersa durante le elezioni del 2018: il nordest, nordovest e parte dell’est a favore del PT; il sud e il centro-ovest, cuore dell’agrobusiness, favorevoli a Bolsonaro. Questa cartografia mostra anche delle eccezioni, come lo stato di Roraima, alla frontiera con il Venezuela, segnato dall’immigrazione, dove Bolsonaro ha ottenuto il 69,75% dei voti. Il trionfo del candidato dell’opposizione si spiega in gran parte grazie alla differenza di voti ottenuti nello stato di Bahía, dove ha vinto con un vantaggio di quasi 4 milioni di voti.
Bolsonaro non è caduto dal cielo
Bolsonaro ha una base di voti molto alti e un tetto basso. Questa formula ha caratterizzato la sua natura elettorale. La prima cosa è risultata vera, dato che il presidente è riuscito a mantenere un sostegno che andava oltre il 30% durante tuto il suo mandato, nonostante la successione di crisi sanitarie, politiche e istituzionali. In un certo modo, la creazione di conflitto e la ricerca permanente di antagonisti ha coeso e mobilitato i suoi sostenitori. «Potrei sparare sulla Quinta Avenue e non perderei voti», disse qualche anno fa Donald Trump, e la stessa cosa potrebbe affermare questo “Trump brasiliano” cambiando il nome della strada.
Il limite del bolsonarismo, secondo gli analisti, consisteva nell’andare oltre questo intenso sostegno di un terzo del paese che lo accompagnerebbe anche a buttarsi da un burrone. E l’attuale presidente ha aumentato il proprio voto di quasi due milioni di elettori rispetto a quanto ottenuto durante il primo turno del 2018 contro Haddad. E tutto questo senza cercare in alcun modo di mostrare un profilo più moderato.
Allora, possiamo dire che la vera rivelazione di questo primo turno è stata quella che ha permesso di rendersi conto della pregnanza e dell’estensione del bolsonarismo come forza politica a livello federale e nelle grandi città. Dei 27 Stati Bolsonaro ha vinto in 14 e, dei 15 dove vi è stato un vincitore al primo turno, nove sono alleati del presidente e sei con Lula. Il risultato delle elezioni dei deputati è stato anch’esso significativo: il suo Partito Liberale (PL) avrà 99 seggi su 513, invece dei 76 che aveva, ottenendo la migliore elezione del partito dal 1998; il PT invece ne avrà 68, arrivando a 80 con i partiti alleati, 12 in più di quelli che avevano. La grande sorpresa è stata al Senato, dove il PL avrà 14 degli 81 seggi, il gruppo più numeroso. In sintesi, il bolsonarismo è cresciuto a livello di seggi nel potere legislativo e in alleanza con altri partiti di destra rappresenta il 53% di entrambe le Camere.
Come può essere cresciuta l’estrema destra brasiliana dopo il governo Bolsonaro, durante la pandemia e la guerra in Ucraina? Anche Trump ha aumentato il bacino di voti nell’elezione del 2020 nonostante la sconfitta ed è molto probabile che ottenga un buon risultato nelle prossime elezioni di mid-term del prossimo 8 novembre. La cosa più importante è comprendere che qualcosa si muove nelle acque profonde della società e attraversa diversi settori sociali. Bolsonaro non è solamente il prodotto di calcoli politici che hanno trovato la loro efficacia nel fiume esondato della crisi iniziata nel 2013, ma esprime immaginari radicati nei settori conservatori e impoveriti che si estendono in tempi di scomposizione, paura e frustrazioni. Bolsonaro non è caduto dal cielo.
Lula ritorna
Il leader del PT ha ottenuto 26 milioni di voti in più rispetto al primo turno del 2018, quando Haddad arrivò al 29,28% e Lula stesso era rinchiuso nel carcere di Curitiba. Visto in prospettiva, si tratta del suo secondo miglior risultato, appena poco meno di quel 48,61% che ottenne nel 2016 quando sconfisse il suo attuale candidato vice-presidente Gerlado Alckmin. L’orizzonte del 50% è a portata di mano e il 1 gennaio potrebbe tornare a Planalto, dopo essere stato defenestrato dai mezzi di comunicazione e da alcuni di quei partiti che oggi lo sostengono, edincarcerato da un potere giudiziario che ha cercato in tutto i modi la sua proscrizione.
Dove cercherà i voti e con quale messaggio? I primi segnali sono stati ottimisti e fin da subito Lula si è immerso nella campagna elettorale. Una parte di voti potrebbe trovarsi in quel 21% di astensione, una percentuale molto alta per il Brasile.
Già dal lunedì successivo al primo turno sono emersi altri segnali che alimentano la speranza, come l’entrata in Parlamento di numerosi candidati provenienti dai movimenti popolari nei parlamenti federali e statali. Non vi è alcun dubbio che la crescita in qualche modo simmetrica della destra e della sinistra riduca il peso del vecchio centro politico che aveva escogitato l’ormai agonizzante Sesta Repubblica.
Ottenere una vittoria al primo turno sarebbe stato doppiamente importante per le forze progressiste. Per il peso della sconfitta dell’attuale presidente, per la sua proiezione politica futura e per la potente iniezione di legittimità per Lula e il governo che presiederà se effettivamente vincerà.
Ora dovrà negoziare con Simone Tebet e Ciro Gomes, secondo e terzo rispettivamente, che chiederanno qualcosa in cambio. Ma soprattutto, la composizione del potere legislativo metterà il probabile prossimo governo di Lula davanti all’obbligo di realizzare un complesso esercizio di alleanze e compromessi.
Tutto questo si somma all’eterogenea coalizione con cui Lula si è candidato, che tiene dentro da soggetti che sostennero l’impeachment contro Dilma Roussef fino al Movimento Sem Terra che è stato in prima fila nei presidi davanti al carcere di Curitiba. Lula ha deciso di occupare un ampio spettro che va dalla sinistra al centro, convinto di poter guidare forze eterogenee. Niente di nuovo per lui che di questo è uno specialista, anche se di volta in volta le condizioni sono ancora più volatili.
L’argomento politico di questa operazione è la difesa della democrazia contro l’autoritarismo. Il paradosso è che questa democrazia da conservare è stata svuotata sempre di più da quei poteri decisi a mantenere i proprio privilegi. Per questo, se l’obiettivo è sconfiggere il bolsonarismo, non basta vincere le elezioni. Lula dovrà trovare una soluzione ai gravi problemi sociali che provocano il malessere sociale di cui si alimenta l’ultradestra. Bolsonaro lo sa e per questo la sua prima misura verso il ballottaggio è stata quelle di distribuire soldi ai settori più impoveriti.
Articolo pubblicato su Revista Crisis. Traduzione in italiano di Alioscia Castronovo per dinamopress
Immagine di copertina di Victoria Gesualdi per Revista Crisis