ITALIA

Giordano Pennisi

Educazione alla sessualità e all’affettività: verso una scuola transfemminista

L’introduzione dell’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole è un passo necessario per l’autodeterminazione dellɜ studentɜ e per problematizzare la trasmissione del sapere e delle norme sessuali

L’accesso al sapere sulla sessualità per lɜ bambinɜ e lɜ ragazzɜ risulta essere un ambito fortemente problematico nel contesto italiano. A livello nazionale, infatti, non esiste una legge che regolamenti l’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole e, da anni, alcune associazioni neofondamentaliste si battono contro l’educazione sessuale nelle scuole per paura di un “indottrinamento gender” dellɜ propriɜ figliɜ. Nel dibattito riguardo all’educazione alla sessualità solitamente si contrappongono due opposte posizioni: a favore dell’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole o la delega allɜ genitorɜ che hanno il diritto di (non) parlare di affettività e sessualità con lɜ figliɜ.

L’8 marzo siamo scesɜ in piazza in moltissime città italiane per lo sciopero transfemminista organizzato da Non Una di Meno e nell’appello del Tavolo Scuola e Formazione si legge: 

«Le linee guida ministeriali sono inadeguate e ancora attestate su un registro di universalismo tutto maschile. Alcune tematiche sono totalmente assenti, mentre didattica e apprendimento sono impostati in termini gerarchici e autoritari. La scuola continua a separare le emozioni e il benessere delle persone dagli aspetti cognitivi e dell’apprendimento. I corpi, le relazioni, i sentimenti, la sessualità, gli amori, sono ciò che viene considerato sempre e comunque “fuori tema”, marginale».

Proprio a partire da ciò che è considerato “fuori tema” e “marginale” è possibile riflettere non solo sull’educazione sessuale e affettiva, ma anche sulla scuola quale istituzione che contribuisce a rifondare il sistema ciseteronormativo.

La netta separazione mente – corpo, l’apparente de-sessualizzazione dellɜ studentɜ, i silenzi sulle tematiche legate alle relazioni, alla sessualità e alle emozioni, sono alcuni dei pilastri su cui si fonda la formazione scolastica e universitaria in Italia. Ed è a causa di questa impostazione che ho iniziato a scrivere questo articolo concentrandomi subito sui contenuti da inserire, piuttosto che esplicitare la posizione da cui prendo parola, come se il mio corpo, le mie esperienze e le emozioni che provo in questo periodo della vita fossero secondarie e non influenzassero un granché quello che avrei scritto. Questa è l’impostazione base del nostro sistema scolastico e accademico e, nonostante durante la mia formazione abbia incontrato e fatta mia la pratica del posizionamento, mi ritrovo ancora una volta a cascare nella trappola del sistema.

E quindi, innanzitutto, le riflessioni che condivido qui sono frutto dell’intreccio di vari aspetti della mia vita,  influenzati profondamente dalle relazioni personali, politiche e professionali che ho vissuto. Scrivo a partire dall’essere un’antropologa transfemminista, bianca, lesbica, di 28 anni e senza disabilità. Sono anche una dottoranda che fa ricerca sull’educazione alla sessualità, un’attivista, una baby-sitter, un’educatrice sessuale e una persona che nell’ultimo periodo ha provato molta ansia, ha vissuto alcuni momenti tristi, ma anche tante gioie. Parto sicuramente da questo e da molto altro quando scrivo o parlo di educazione sessuale ed esplicitarlo è fondamentale poiché qualsiasi discorso sulla sessualità e sull’educazione non è mai neutrale, ma sempre influenzato dal posizionamento di chi prende parola.

Parlare di educazione alla sessualità e all’affettività offre, quindi, l’occasione per problematizzare la trasmissione del sapere all’interno delle scuole e delle università e delle norme sessuali e di genere. Se consideriamo l’istituzione scolastica non solo come un luogo dove si apprendono contenuti teorici, ma anche come uno spazio di produzione e riproduzione di pratiche che normalizzano le soggettività che la attraversano, possiamo osservare come, quotidianamente, la scuola svolga un ruolo centrale nell’educare lɜ studentɜ alla sessualità. La mancanza di un discorso esplicito sui corpi, sulle emozioni, sul genere e sulla sessualità dellɜ studentɜ consente all’istituzione scolastica di proporre modelli di genere e sessuali normativi. Le pratiche sociali quotidiane (le interazioni tra studenti, tra insegnanti e tra studentɜ-insegnanti, l’organizzazione dello spazio scolastico, le norme sull’abbigliamento, il linguaggio, ecc.) fanno parte di una “cultura scolastica” in cui si stabiliscono confini precisi nel campo della sessualità, dove alcune soggettività, pratiche ed esperienze sono visibili e accettate, mentre altre sono considerate inammissibili, devianti e offensive.

La scuola contribuisce infatti a educare all’etero-sessualità e al binarismo di genere all’interno di un’istituzione fortemente razzista, abilista, classista e patriarcale.

Questo discorso è utile per introdurre alcune considerazioni riguardo all’educazione alla sessualità e all’affettività. La prima riguarda l’obiettivo da darle, perché quando rivendichiamo la sua introduzione nelle scuole chiediamo uno spazio di confronto in cui parlare di sessualità e affettività senza giudizio, in modo esplicito e collettivo, in cui dare spazio a tutte quelle esperienze e soggettività che solitamente non vengono considerate nella scuola. L’obiettivo, quindi, non è quello di riprodurre un modello di sessualità egemonica, in cui fornire solamente informazioni riguardo alle infezioni sessualmente trasmissibili o alle gravidanze indesiderate, ma quello di aprire nuove possibilità allɜ studentɜ, facendo conoscere esperienze relazionali, di genere e sessuali che eccedono le norme del sistema ciseteronormativo, razzista, abilista e classista. Allenare, quindi, lo sguardo critico dellɜ studentɜ, sfatare tabù, parlare di piacere e accogliere le loro domande ed esperienze, educare al consenso per permettergli di fare scelte più autonome e consapevoli riguardo alla propria sessualità.

L’introduzione dell’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole è quindi un passo importante per decostruire discorsi e pratiche ciseteronormative che fondano anche la scuola. Per questo, la presenza di spazi e realtà transfemministe dal basso (come collettivi, associazioni, reti) che dialoghino e attraversino la scuola, risulta fondamentale per poter contaminare l’istituzione scolastica con pratiche e contenuti sovversivi.

Inoltre, è indispensabile connettere l’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole con tante altre rivendicazioni esterne al contesto scolastico. Pensiamo, ad esempio, alla difesa e alla valorizzazione dei consultori pubblici come servizi sociosanitari laici, gratuiti, che permettono l’accesso alle persone minorenni senza il consenso dellɜ genitorɜ. O ancora, alle lotte per la contraccezione gratuita senza limiti di età, all’eliminazione dell’obiezione di coscienza, alla depatologizzazione delle persone trans, alla questione dell’età del consenso per lɜ minori per l’accesso ai servizi sanitari e tanto altro… Questioni che meritano senz’altro più spazio per essere affrontate. Tuttavia, le accenno qui brevemente, perché parlare di educazione alla sessualità senza allargare lo sguardo è limitante e fortemente problematico. Rischia, infatti, di non mostrare le contraddizioni che si incontrano all’esterno della scuola, finendo così per essere svuotata dell’impatto positivo sull’autodeterminazione dellɜ ragazzɜ.

Infine, la rivendicazione dell’educazione alla sessualità si interseca con altre rivendicazioni all’interno delle scuole e delle università come, ad esempio, l’introduzione delle carriere alias e dei bagni gender neutral, il congedo mestruale, la promozione di saperi transfemministi contro una scuola sessista… questioni che, come abbiamo visto, si legano a un discorso ampio di risignificazione dei luoghi di formazione a partire da un posizionamento transfemminista e dalle esperienze delle molteplici soggettività che li attraversano.

Per non restare schiacciatɜ tra due sterili posizioni, tra chi è a favore e chi è contro l’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole, ci sarebbe da dire molto altro. Per questo ritorno all’appello del Tavolo Scuola e Formazione di Non Una di Meno che, a mio avviso, riesce a tenere insieme più voci e a restituire la complessità di cui abbiamo bisogno per parlare dell’introduzione dell’educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole:

«Sentiamo forte la responsabilità di aprire un dibattito sulla formazione, costruito dal basso, attraverso le voci e i bisogni di chi fa formazione e vive la scuola  e l’università ogni giorno.

Vogliamo costruire una rete di resistenza agli attacchi che da decenni subisce il mondo della scuola e dell’università. 

Vogliamo un sapere libero dalla violenza patriarcale, dal razzismo, dall’abilismo e dal classismo. 

Vogliamo una scuola laica, pubblica e gratuita che sia davvero per tuttə.  

Vogliamo un’educazione sessuale e affettiva in tutte le scuole e vogliamo che sia affidata alle reti femministe e transfemministe. 

Vogliamo spazio e voce per i corpi e le emozioni perché stare bene a scuola sia una priorità concreta e un futuro possibile. […]

Contro l’autonomia differenziata e la scuola del merito,

Contro la dispersione scolastica, le disuguaglianze e le povertà educative

Vogliamo una scuola femminista e transfemminista!

CONTRO MERITO E PATRIARCATO, SCIOPERO INDISCIPLINATO!»

Immagine di copertina di Giordano Pennisi