approfondimenti
ROMA
Educare alle differenze: al via la due giorni nazionale per una scuola inclusiva
Sabato 28 e domenica 29 settembre si terrà a Roma la X edizione di Educare alle differenze, meeting nazionale per la costruzione di una scuola libera, plurale e inclusiva, quest’anno dedicato al tema dell’intersezionalità
Sabato 28 e domenica 29 settembre, presso l’istituto di istruzione superiore statale cine-tv Roberto Rossellini, si terrà la decima edizione di Educare alle differenze. Un meeting nazionale completamente autofinanziato dedicato alla costruzione di una scuola libera, plurale e inclusiva, per un’istruzione accessibile a tuttə. Molte le realtà e le associazioni che si riuniranno a Roma per partecipare a laboratori, tavole rotonde e dibattiti in plenaria, quest’anno incentrati sul tema dell’intersezionalità. Giornate gratuite e aperte a tutte le persone coinvolte nei campi dell’istruzione e dell’educazione, a livello formale e informale, che si preannunciano ricchissime di stimoli e spunti per aprire spiragli luminosi in un futuro che, sempre più spesso, presenta tinte molto fosche. Educare alle differenze, in coerenza con la logica intersezionale e di comunanza delle lotte che costituisce il focus dell’edizione di quest’anno, parteciperà inoltre, nel pomeriggio di sabato, alla mobilitazione indetta dal movimento transfemminista Non una di Meno e dalla Rete nazionale consultori e consultorie in occasione della giornata nazionale per l’aborto libero, sicuro e gratuito.
Per scoprire di più sul programma della due giorni e sull’approccio metodologico di questa realtà, abbiamo intervistato Monica Pasquino, presidente di Educare alle differenze.
Educare alle differenze compie dieci anni. Il vostro approccio trasversale e intersezionale
all’educazione è, sin dal principio, in prima linea nel portare l’educazione sessuo-affettiva nelle
scuole e in tutti i contesti educativi, formali e informali. Ci vuoi raccontare come siete nate, come siete arrivate fino a qui, e quali sono state le sfide e i problemi affrontati?
Educare alle differenze nasce dieci anni fa dalla necessità di fare rete per reagire a un clima reazionario e oscurantista che purtroppo oggi è tornato a soffiare forte. Era il 2014, e proprio in quell’anno quelli che abbiamo imparato a conoscere come “movimenti antigender” cominciarono la loro campagna di diffamazione e sabotaggio di insegnanti e associazioni che facevano progetti per decostruire gli stereotipi di genere e contrastare la violenza seminando il panico morale tra personale scolastico e genitori, e contribuendo a screditare e depotenziare la scuola pubblica.
Così tre piccole associazioni – Scosse a Roma, il Progetto Alice a Bologna e Stonewall a Siracusa – decisero di fare una chiamata ad associazioni, collettivi e insegnanti che lavoravano su questi temi, ci siamo ritrovatə in più di 500 persone alla scuola Di Donato di Roma, 500 persone arrivate da Aosta a Cagliari, insegnanti di ogni ordine e grado, educatorə, operatrici dei CAV, psicologhə scolastiche, dirigenti – competenti, motivate, desiderose di uscire dall’isolamento e di fare rete. Da lì è nata l’avventura di Educare alle Differenze: una comunità di pratiche che si incontra ogni anno, in un evento autofinanziato, autogestito e organizzato dal basso per scambiarsi saperi e metodologie, per immaginare insieme come contrastare sessismo, razzismo e omotransfobia a scuola e attraverso la scuola, per contrastare i fascismi che avanzano. Se Educare alle Differenze arriva a compiere dieci anni forse è proprio per questo desiderio di fare comunità, di ritrovarsi oltre il rumore della propaganda e gli attacchi quotidiani che viviamo dentro e fuori dalla scuola.
La situazione nelle scuole negli ultimi dieci anni è, sotto certi punti di vista, peggiorata. Oggi si ritorna al voto in condotta, si propongono castrazione chimica e carcere duro contro la violenza di genere. In che modo questo approccio non aiuta a creare un’educazione e una cultura che scardinino realmente questo sistema patriarcale, eteronormativo, omolesbobitransfobico?
Le proposte di questo governo, dalla valutazione alle violenze di genere, sono profondamente inadeguate e pericolose. Mostrano una profonda deriva ideologica, che in nome del conservatorismo più becero affronta fenomeni complessi in modo ignorante e cieco. La violenza di genere è un fenomeno strutturale, che non si può pensare di risolvere con l’inasprimento delle pene. Lo dice anche la Convenzione di Istanbul: serve un approccio integrato, serve fare prevenzione primaria. E prevenzione significa soprattutto educazione, lavorare sui modelli culturali di maschilità e femminilità che vengono riprodotti dalla nostra società e in cui si annida la violenza. Modelli sessisti e omolesbobitrasfobici, in cui vige una rigida e binaria codificazione dei generi.
Se non si riparte dall’educazione, dal dialogo, dalla messa in discussione degli stereotipi e dei pregiudizi che stanno alla base dell’iceberg della violenza, non si può pensare di porre fine a femminicidi, trans*cidi e tutte le altre forme di violenza a cui siamo costrettə ad assistere.
In questi giorni si parla molto di una legge per proibire “l’ideologia gender” nelle scuole. Ideologia
gender la quale altro non è che un fantoccio creato dalle forze di governo, nel tentativo di impedire il diritto all’autodeterminazione e alla scoperta di sé, a partire dal principio del percorso formativo. Che cosa sta succedendo nelle scuole e come possiamo combattere questa ondata reazionaria dentro e fuori le classi utilizzando le armi dell’educazione?
Il tentativo della destra è quello di bandire dalle scuole tutte le realtà che lavorano in maniera competente e con un approccio trasformativo alle tematiche di genere. La mozione Sasso, approvata dalla Commissione culturale della Camera, non è che l’apripista del DDL Ravetto, presentato a maggio dall’omonima parlamentare della Lega. Un disegno di legge che vieterebbe di portare nelle scuole la cosiddetta “teoria gender”, cioè anni di studi di genere in Italia e in tutto il mondo che mirano a decostruire i ruoli e gli stereotipi di genere che sono alla base di diseguaglianze, discriminazioni e violenze. Quello che veramente non vuole la destra – dentro e fuori dalle scuole – non è la teoria gender, ma il pensiero critico, l’autodeterminazione e la giustizia sociale.
I movimenti antigender hanno preso ormai pienamente posto in parlamento, legandosi a doppio filo con il governo. Nelle scuole purtroppo si respira un’aria molto pesante, perché la libertà d’insegnamento è sempre più sotto attacco, e la collegialità sta andando in frantumi in nome di un modello aziendale e verticistico di scuola. Eppure noi incontriamo ogni giorno insegnanti e personale educativo che continuano a lavorare con tenacia, spesso con pochissime risorse e con grande fatica.
Dobbiamo continuare a collaborare con queste persone, per non lasciarle isolate nella deriva fascista che sta prendendo la scuola. Lo si vede anche con il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, dove si vieta di esprimere qualsiasi opinione, anche sui canali social personali, che possa mettere in cattiva luce la pubblica amministrazione o la propria realtà lavorativa. Questo è chiaramente assurdo. Anche per questo abbiamo scelto di dedicare due spazi importanti a questi temi, in due tavole rotonde: la prima per fare il punto sui movimenti antigender nei contesti scolastici, la seconda su pratiche di autotutela che la comunità scolastica può mettere in piedi per difendere le progettualità legate all’educazione alle differenze e la propria libertà di insegnamento.
Il sistema scolastico ha visto uno smantellamento e un’erosione progressivi nel corso degli ultimi
anni. Spesso ci troviamo dunque in contesti educativi che marginalizzano e segregano sulle linee
del genere, della razza, dell’abilismo. Quali sono le risorse da mettere in campo per contrastare
questa tendenza e creare spazi educativi realmente inclusivi e accessibili?
I dati ci dicono che la scuola non riesce più a sanare le disuguaglianze: se mai fosse stata assente, nel contesto contemporaneo la questione di classe è tornata prepotentemente centrale, eppure se ne parla pochissimo. Bisogna investire nella scuola pubblica, finanziarla, pagare adeguatamente le persone che ci lavorano, dare struttura alle buone pratiche educative perché non siano affidate alla buona volontà delle singole e dei singoli insegnati.
Il mezzo milione di firme raccolte in pochissimo tempo per il referendum sulla cittadinanza ci dimostra che i desideri e le visioni di questa società non sono le stesse del governo. Il problema a monte è quale idea di scuola abbiamo: una scuola al servizio della comunità o una scuola al servizio del mercato? Una scuola che educa alla complessità e allo spirito critico o che assoggetta ai valori del potere e all’obbedienza? La scuola è fortemente mercificata, i diritti danno il passo rispetto ai bilanci.
La sentenza 1789/2024 del Consiglio di Stato è esemplificativa del realismo capitalista che ha avvinto la scuola: l’inclusione scolastica diventa qualcosa di auspicabile ma non vincolante, da “concedere” in base al bilancio. Crediamo che si debba rimettere allora al centro quale idea di scuola vogliamo, una scuola che sia veramente per tuttə . Il tema di quest’anno è proprio l’intersezionalità delle lotte, perché riconosciamo una matrice comune nelle tante oppressioni che affliggono il nostro presente e la vogliamo combattere insieme.
In copertina: assemblea pubblica per costruire la X edizione di Educare alle differenze, su Instagram
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