ROMA

«È tempo di resistenza». A Roma la marcia contro la transfobia

A poco tempo dall’affossamento del Ddl Zan, migliaia di persone scendono in piazza per il Trasngender Day of Remembrance ribadendo che «le vite trans e delle persone non-binarie contano»

Che ci sia motivo in più per esprimere la propria rabbia, e un motivo ben specifico, viene detto fin da subito: la marcia per i diritti Trans – partita oggi alle 17 da piazza Repubblica a Roma – urla non appena ci si mette in cammino che l’affossamento del Ddl Zan è stato «un’ingiuria». Migliaia di persone sono scese in strada, fra numerose sigle associazioni ed esponenti politici, per reclamare niente di meno che la dignità a esistere, e la felicità di poter vivere la propria vita e la propria soggettività come meglio si crede. Quindi non “niente di meno” ma, anzi, “molto di più” anche dello stesso disegno legge (come recita lo slogan #MoltopiùdiZan) che il nostro Senato ha fermato fra risa e applausi di una classe politica perlopiù conservatrice e scollata dai bisogni di tante e tanti.

Perciò – sembrano dire le voci rumorose di chi si è riversato per strada – ora è il tempo della «resistenza». All’incrocio fra via Amendola e la parte alta di via Cavour, che dalla stazione Termini digrada verso il centro storico, la folla intona infatti il canto partigiano Bella ciao, mentre la parola “fascisti” – rivolta non solo a chi ha votato contro il Ddl Zan, ma in generale a quanti negano l’esistenza delle persone trans, non-binarie, delle dissidenze sessuali e dei corpi non conformi – risuona in molti cori e slogan.

«Fuori i fascisti dalle città», gridano alcune. «Via, via la transfobia», rispondono altre, mutuando “polizia” dall’originale. D’altronde, cos’altro è se non un certo tipo di “polizia repressiva” quell’atteggiamento che pretende di imporre delle norme prestabilite alle identità di genere e agli orientamenti sessuali?

Mano a mano che, lungo la ripida discesa, ci si approssima al piazzale dell’ampia basilica di Santa Maria Maggiore, il corteo si fa più vivace ed eterogeneo. A metà un folto gruppo di studenti afferenti al collettivo Prisma articola discorsi e rivendicazioni dal megafono, mentre ai lati alcune persone si uniscono alla marcia. Qualcuna anche con delle valigie, appena giunta nella capitale con un treno. Dal carro in testa, dove viene tra l’altra anche una traduzione in linguaggio dei segni, parla Monica Cirinnà: «Prima o poi lo stato vi dovrà riconoscere col vostro nome e cognome», afferma in un crescendo di applausi. «Il codice penale non ci basta più. Non ha senso una politica puramente punitiva, se prima non c’è anche un lavoro di educazione che provi a prevenire la violenza».

Va infatti tenuto presente un dato: l’Italia è il paese europeo che ha il numero più alto di transcidi. A livello globale quest’anno sono stati 357, contro i 350 del 2020. Allo stesso tempo, l’Italia è uno dei pochi paesi europei che ancora non si è dotato di una legge specifica contro l’omolesbobitransfobia. Non sembrerebbe una correlazione così difficile, come suggerisce in qualche modo lo striscione di testa che recita “Trans Lives Matter” (con richiamo al movimento per i diritti della comunità nera “Black Lives Matter”). Eppure le persone che non si riconoscono nel binarismo di genere devono lottare quotidianamente contro odio, ignoranza e una società che, a partire anche dalle più comuni questioni burocratica, le considera “cittadine di serie B”.

La giornata di oggi vuole dunque essere un’occasione per ribadire tutto ciò, e per dire con forza – come urlano a un certo punto dal gruppo di Prisma – che «se non ci sarà una rivoluzione, esploderà la rabbia trans».

Fede, posato per un attimo il megafono, ci spiega meglio: «Per “rivoluzione” intendiamo un ripensamento radicale dell’esistente. Dal nostro punto di vista, quindi, un ripensamento radicale anche dell’ambiente universitario, che è quello in cui operiamo come collettivo. Troppe volte il personale docente tratta le questioni che ci riguardano con sufficienza, quando non esprime proprio commenti apertamente transfobici. All’odio si mischiano anche l’ignoranza e la scarsa conoscenza: perciò l’educazione è davvero un punto centrale. Dobbiamo poter vivere con dignità gli spazi che attraversiamo quotidianamente».

La magnificente architettura del centro capitolino, fatta di forte contrasto fra le strade poco illuminate e i fari puntati sui monumenti, al tempo stesso accoglie la manifestazione e pare stridere con alcuni suoi principi: se le bandiere dell’Unione atei e agnostici razionalisti chiudono il corteo, il rintocco delle campane di Santa Maria Maggiore a un certo punto è così forte da sovrastare ogni discorso.

Lungo via Merulana, sullo sfondo dei cori che affermano “nessun dio, nessuno stato, sul mio corpo decido io”, un andirivieni di persone in abito talare si scorge sull’ampia e gotica scalinata della chiesa di Sant’Alfonso all’Esquilino. Ma dalla luce gialla delle finestre qualcuno si affaccia e la folla risponde con gesti di saluto. Il buio della sera è ormai sceso da tempo, la marcia svolta verso piazza Vittorio dove tutte le persone si fermano a comporre un folto capannello ai lati del parco.

«La nostra classe politica non ha l’umiltà di ascoltare i movimenti e le storie delle persone», tuona il deputato Alessandro Zan che è il primo a parlare dal palco.

Ci tiene a ribadire la necessità per il nostro paese di una legge che, d’altronde, «c’è in ogni paese europeo». Segue al suo intervento quello della “favolosa” Presidenta del Movimento Italiano Trans e ora consigliera comunale al Comune di Bologna Porpora Marcasciano, che – molto acclamata dalla folla – mette in luce l’importanza del fatto che «l’evento di oggi rappresenti la prima marcia trans autorganizzata» per poi citare la poetessa e scrittrice simbolo delle lotte Lgbtqia+ Audre Lorde: «Non era previsto che noi saremmo sopravvissute», disse. Eppure, le persone trans e non-binarie, le dissidenze sessuali e i corpi non conformi che animano la marcia del Transgender Day of Remembrance sono lì ad applaudire Porpora e chi – dall’assessora e attivista per i diritti trans Cristina Leo, al collettivo Libellula fino all’Associazione Trans Genere – parla dal carro.

Sono lì, presenti, a ribadire che non hanno bisogno di eroi, di attivisti e attiviste «coraggiose». «Abbiamo bisogno di persone vive».

Tutte le immagini di Renato Ferrantini