MONDO
A due anni dalla morte di Berta Caceres, in Honduras la resistenza continua
Il 1 marzo 2016 l’attivista ambientale honduregna Berta Caceres veniva uccisa da sicari. Per ricordarla, per ricordare tutte le donne che in tante parti del mondo difendono l’ambiente dalla rapacità e dalla violenza delle multinazionali, spesso rischiando la propria vita, Dinamopress ha tradotto una intervista recente alla figlia pubblicata sul portale indipendente Colombia Informa
Cosa è successo in Honduras dalla presa del potere di Juan Orlando Hernandez- JOH-?
La resistenza nelle strade è continuata, un po’ più sporadica ma molti settori continuano a mobilitarsi in modo intermittente. Similmente c’è stata una risposta abbastanza forte in termini di repressione, anche durante proteste nelle zone produttrici di banane. Alcune persone sono state uccise.
Si è creata una commissione della Organizzazione degli Stati Americani- OEA- per creare un cosiddetto dialogo nazionale, facendo da mediazione con il Presidente e altri settori. Ma in realtà il popolo è escluso e le sue domande sono state totalmente escluse da questo dialogo. L’idea della OEA è lavare l’immagine del Governo, sbiancare la corruzione.
Uno dei mediatori di questo supposto dialogo è l’ex presidente del Guatemala, Alvaro Colom, che al momento è sotto indagine dalla Commissione Internazionale Contro l’Impunità in Guatemala – Cicig- per delitti di corruzione. La gente continua ad essere indignata perché questo dialogo non prospetta nessuna soluzione a tutto il malessere che c’è nel paese.
Nei settori popolari, ovviamente, si sta pensando di continuare in resistenza prolungata. Si è anche ripreso in mano il progetto per una rifondazione dell’Honduras che nacque poco prima del Golpe del 2009 e che continuò e si rafforzò in seguito allo stesso. Riprendere il progetto di rifondazione significa anche riprendere l’incontro con le vittime, con le famiglie, con le comunità e organizzazioni che oggi hanno prigionieri politici di cui nessuno parla. Sono familiari di persone assassinate in questa lotta.
Come sta vivendo, il Copinh, questa congiuntura?
Il Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras non partecipa alla politica elettorale. Tuttavia non è indifferente alla questione della frode elettorale, della continuità del potere, dell’aggravarsi del saccheggio e della repressione nei territori. Tutto questo è quello che significa Juan Orlando Hernadez per noi. Stiamo vedendo che questa congiuntura determina molta instabilità nel paese, molta ingovernabilità, e che si sostiene grazie alla repressione militare. Vediamo che le forze di sicurezza dello Stato ne escono enormemente rafforzate in questa tappa, ma non è così per il presidente. Il progetto di rifondazione dell’Honduras è qualcosa di importante perché affermiamo che la risposta e l’uscita da questa crisi non è il cambio di presidente ma il cambio dell’assetto istituzionale che è totalmente marcio. Questo progetto consiste nella creazione di una assemblea nazionale costituente che sia inclusiva, popolare e che avvii un processo di trasformazione profonda dello stato honduregno.
Per noi, come organizzazione, è importante dare centralità alla lotta in difesa dei territori. Questa è una realtà molto forte per le nostre comunità e che ha segnali quali la presenza di imprese sfruttatrici e le concessioni sui fiumi. Ma anche è una lotta che include tutto quello che riguarda i diritti dei popoli indigeni, tra cui smilitarizzazione dei territori, garanzia alla non ripetizione delle violenza, ricerca di giustizia per le vittime della lotta contro i progetti estrattivisti.
Nel prossimo mese di marzo Copinh compie 25 anni di lotta e commemora 2 anni dall’assassinio di Berta Cáceres. Cosa è cambiato in Honduras?
Durante questi 25 anni il Copinh ha fatto parte della storia delle lotte in Honduras, una storia che è anche di molte altre lotte e resistenze nel paese. Siamo una organizzazione che ha una attitudine molto confrontativa davanti al governo. Iniziamo con il dire che non bisogna chiedere che i governi compiano i propri doveri, bisogna esigerlo. Il Copinh è nato in una tappa molto difficile per i popoli indigeni.
Oggi stesso il paese si trova in una tappa difficile. Le lotte per la liberazione dei territori per una giustizia integrale delle comunità sono ancora enormemente attive. E’ cambiato il contesto, non è lo stesso, ma gli elementi che determinano oppressione su comunità indigene, saccheggio di territori, repressione da parte dello stato verso le comunità, continuano ad essere vigenti. Quello che si può dire è che è cambiata la repressione, ora è molto più professionalizzata e affinata.
Unire la celebrazione di questi 25 anni di lotta con i 2 anni dall’assassinio di Berta significa sottolineare che le autorità dell’Honduras – uno stato violatore di Diritti Umani – continuano a non rendere giustizia alla nostra compagna e alle centinaia di assassini in questo paese. Quello che ne consegue per noi è la spinta a sostenere il movimento popolare honduregno e le forti lotte rivendicative davanti agli stati, sconfiggere nei territori le imprese estrattiviste, denunciare l’abuso di Governo dell’Honduras.
Come si sviluppa il caso giuridico dell’assassinio di Berta Caceres?
Siamo arrivati al punto di fare le udienze con presentazione di prove. Lo stato inizia a disperarsi davanti ad un caso che si è maneggiato male, con una serie di irregolarità così profonde che, se si rispettasse il giusto processo, non passerebbero mai. Al momento lo stato fa passi disperati per giungere all’opinione secondo cui “ormai si è fatta giustizia”, senza vedere che lo che denunciamo come autore morale. Lo stato vuole chiudere questo processo per chiudere il caso di Berta Caceres e dire che sono stati condannati tutti.
Quando leggiamo in merito alla congiuntura attuale dell’Honduras e alla storia del paese si possono incontrare molte similitudini con la storia attuale della Colombia. Quali sono le strategie di lotta che potrebbero essere messe in campo per un lavoro internazionalista solidale?
Il Copinh ha fatto un lavoro internazionalista dalla sua fondazione. E’ stato l’epicentro di articolazione di lotte con le dighe, contro la militarizzazione, a favore di uno spazio di convergenza popolare. Davanti al modello estrattivista tra le varie organizzazioni sociali ci siamo prospettati una lotta che sia caratterizzata dagli stessi obiettivi. Ovviamente è fondamentale dare seguito i nostri piani nel settore energetico che è centrale in tutta l’America Latina. Quale sono le risposte alternative al sistema economico? Un elemento molto importante è continuare nelle strategie di difesa dei territori. Non possiamo fare molta advocacy a livello di leggi né controllare le concessioni che vengono date. Ma quello che possiamo è che abbiamo fatto è una lotta forte – con lo stesso esempio della vita di Berta Caceres – è liberare una forte battaglia nei territori e non permettere la costruzione di dighe idroelettriche. Qui il Copinh ha appreso moltissimo dalla autonomia e resistenza di altri popoli indigeni e dal popolo colombiano. Ci hanno insegnato ad affrontare strutture militari, paramilitari e la forte violenza dello stato.
Intervista di Colombia Informa, portale di informazione indipendente colombiano.