EUROPA
Dopo le elezioni greche: quale prospettiva per i movimenti?
Questa nuova vittoria di Tsipras in che rapporto si pone coi movimenti? Leggi anche Un’opinione qualunque, di Augusto Illuminati. E quali sono oggi le possibilità, dopo la firma del terzo memorandum, di far ripartire le lotte contro l’austerity, contro la precarietà, quindi contro la povertà e la diseguaglianza dilagante in tutta Europa?
Siamo stati in Grecia per le elezioni di gennaio, e per il referendum di luglio, così come eravamo stati in piazza Sintagma negli anni precedenti, se non sempre con i nostri corpi lo siamo stati sempre con i nostri cuori. Abbiamo vissuto la crisi greca e le risposte dei movimenti sociali greci come fossero le nostre, mentre in Italia vivevamo nell’impasse che ha fatto emergere Renzi come il salvatore della patria.
Dopo aver esultato per la vittoria del referendum, quando Tsipras ha convocato la riunione di unità nazionale con tutti i partiti presenti in parlamento, esclusa Alba Dorata, abbiamo visto le espressioni dei nostri compagni in piazza, e abbiamo capito che qualcosa non sarebbe andato come ci aspettavamo. Ma cosa ci aspettavamo?
Da luglio fino ad oggi sulla Grecia, su Tsipras, il suo tradimento, la sua strategia, la sua incapacità negoziale, la sua tattica si sono scritte tante, forse troppe, parole. E in questa entropia, che si alimenta tra facebook e twitter (e magari anche su instagram), una cosa semplice deve essere detta: a luglio un legame si è spezzato, il legame che legava Syriza alle reti sociali e ai movimenti sociali diffusi e radicati in Grecia dalle lotte anti-austerity. Non crediamo che tutto fosse già scritto, che tutto fosse già determinato, anzi al contrario diverse cose sarebbero potute andare diversamente.
Non siamo stati in Grecia domenica scorsa, perché Syriza ha rotto un legame con chi in questi anni ha lottato contro povertà, diseguaglianze e diritti, e quando queste reti difficilmente intessute tra liti e compromessi vengono rotte, non sempre si possono ricomporre. Emerge Tsipras da queste elezioni, Syriza si è rotta, seguendo la migliore tradizione della sinistra, con Unità Popolare che non riesce nemmeno ad entrare nel parlamento, Varoufakis che si dedica ai salotti e ai blog, mentre l’astensione aumenta così come il ritorno al frustrante “voto utile”.
Syriza diventerà il nuovo Pasok? Di certo se Syriza non fosse divenuta così forte, forse non avremmo avuto Podemos, Corbyn a capo del Labour party, Sinn Fein così alto nei sondaggi. La vittoria di governi di sinistra, con programmi social democratici, potrà risolvere le contraddizioni e lo sfruttamento legati al sistema capitalistico di stampo neoliberale nel quale viviamo? Evidentemente non sono sufficienti, ma per migliorare le legislazioni sul lavoro, guadagnare diritti, ricostruire istituzioni del welfare all’altezza dei tempi, contrastare le diseguaglianze e la povertà, redistribuire la ricchezza, abbiamo la necessità di costruire spinte convergenti dall’alto e dal basso, che rompano la gabbia neoliberale del “there is no alternative”. Non è semplice costruire cambiamento partendo da condizioni strutturali che ci legano mani e piedi, lo diventa ancora di più se il senso comune non riesce a intravedere nessuna possibilità di miglioramento individuale, figuriamoci se collettiva.
Nessun governo dall’alto cambierà il tessuto sociale, ma abbiamo bisogno di infrastrutture che dal basso rendano possibili il superamento di impasse, come quello che ci troviamo di fronte dopo la firma del terzo memorandum in Grecia.
Un’impasse non solo per le lotte in Grecia, ma in tutta Europa.
Ciò di cui avremmo bisogno dopo la firma del Memorandum, sarebbe un vero sciopero sociale europeo, una lotta che sappia unificare le differenze nazionali, tramite rivendicazioni comuni. Un programma che sappia connettere le lotte locali a livello europeo, che le sappia far parlare, oltrepassando le differenze tra il politico, il sociale e l’economico.
Purtroppo nessun sindacato confederale sta nemmeno ragionando su un ipotesi di questo tipo, mentre i movimenti sociali in Italia, così come in Europa, pur di evitare di confrontarsi con l’altezza delle sfide del presente, preferiscono chiudersi nei propri automatismi e nelle piccole liti di famiglia.
Dobbiamo pensare in grande e in piccolo nello stesso momento, lotte locali, radicate che sappiano connettersi a livello europeo per sfidare le istituzioni europee così come la finanza globale. Nessuna autonomia del politico, così come nessuna autonomia del sociale è oggi possibile, soprattutto se vogliamo distruggere politiche fiscali ed economiche che ci vengono imposte come ‘scelte tecniche’. Dobbiamo trovare parole che uniscano e costruiscano spazio comune…
Per ora ne esiste una sola, e non l’abbiamo scritta noi, ci è arrivata addosso, carica di dolore e di speranza: #refugeeswelcome. E ci impone di ripensare la solidarietà oltre i confini e l’Europa, ciò che forse i movimenti antiausterity non sono stati in grado di fare.