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Disattivare il populismo, praticare l’indignazione

SPECIALE L/IVRE-1. Che cos’è il populismo? Da quali esperienze storiche e riflessioni filosofiche sorge? Il libro appena uscito di Augusto Illuminati, “Profeti e populisti” affronta il tema in modo non ideologico, provando a cogliere politicamente i contorni di questo fenomeno, anche per superarlo

Quando parliamo di populismo, scrive Augusto Illuminati in Populisti e profeti. Istruzioni per l’uso e la disattivazione (Manifestolibri), non dobbiamo mettere tutto nello stesso sacco. Il populismo non è il vomito del demonio, ma il sintomo di una condizione. Chi fa politica su altri piani, lo deve cogliere. Il consiglio va allora preso come un’indicazione materialistica: se un discorso esiste, non va disprezzato, va studiato e usato politicamente. Ragionare e distinguere, per quanto desueto, ha qualche chance di successo.

 

Il sintomo del populismo

 Il populismo ha molte maschere, difficile ridurle a una sola. Esiste un populismo “dall’alto”: quello di un miliardario come Trump che parla a nome degli esclusi e fa gli interessi delle élites; il populismo xenofobo e razzista, “rigurgito fascista 2.0”. Illuminati ricorda anche quello “insorgente” e “di sinistra”: “espressione di resistenza e rivolta”.

C’è il populista Renzi che elargisce i bonus degli 80 euro, 18 miliardi di euro alle imprese e regala mance ai “poveri” con il Reddito di inclusione sociale (Rei). C’è il populista digitale e trasversale Grillo che dice una cosa di destra e un’altra di sinistra. C’è il “populista centrista” Macron, eletto dalla destra e dalla sinistra, che fa il “presidente dei ricchi”.

Questi esempi mostrano un continuo sconfinamento dei significati che può essere così riassunto: si confonde il populismo come movimento con il populismo come partito. Si urla contro il pericolo populista e contro i populisti si adottano politiche populiste.

Il populismo non è unidimensionale, né statico. L’alto e il basso, la destra e la sinistra, possono sovrapporsi e scambiarsi di ruolo. Le sue caratteristiche valgono in sé e possono intrecciarsi. Nell’incertezza dei suoi significati emerge tuttavia una costante. Per Illuminati il “populismo” è il sintomo della crisi del governo rappresentativo e dell’alternativa socialdemocratica e comunista al neoliberalismo. A questa crisi però il populismo non dà una soluzione. È il sintomo della crisi che denuncia.

 

Indignazione

Il libro si sofferma sull’energia politica dell’indignazione. Questo è il motore del populismo. Di questo concetto va fatta una breve storia. Nei primi anni della crisi un libretto di Stéphane Hessel esortava a indignarsi. In Spagna è stato famoso il movimento degli Indignados, etichetta che in realtà indicava un movimento reale a cui si è ispirato Podemos: era il tempo dell’indignazione contro la “Casta”, contro l’1% che “non paga la crisi” in nome del “99%”.

La storia dell’indignazione è precedente al neo-populismo “di destra” o “di sinistra”, scrive Illuminati. Ed è precedente al populismo originario formulato nella Russia zarista e in alcune zone degli Stati Uniti a fine Ottocento.

Illuminati suggerisce di tornare al Seicento: Spinoza. Con il grande filosofo dell’Etica capiamo che l’indignatio è la passione dei cittadini offesi dallo spettacolo dell’ingiustizia compiuta dal tiranno contro se stessi e gli altri. L’indignatio non è solo una passione triste – il “rancore” ­– ma un elemento fondativo della vita in comune. Gli indignati si coalizzano per il desiderio di vendicare un danno subito da tutti.

L’indignazione è il segno di una guarigione, il dolore è superato dalla solidarietà. È energia politica che non chiude il movimento nelle aporie della sovranità, ma apre a un movimento verso ciò che non è politicamente determinato.

 

Rancore

Il populismo, invece, chiude il movimento. Sostituisce l’indignazione con il rancore. Il rancore dissolve una comunità malata, ma non ispira quella sana che le subentra. Punta sull’ostilità invece che sulla fraternità. Sulla persistenza della cicatrice e non sulla sua guarigione.

Indignazione e rancore sono dialettiche dell’offesa. La prima reagisce attivamente: con un’azione che sottrae l’oppresso dall’offesa e rafforza la solidarietà con l’altro e il prossimo; il secondo reagisce passivamente e separa gli oppressi in un conflitto permanente. In questo caso l’elemento pacificatore è un principio sovradeterminato – la Legge, un Capo, una Terra Promessa. Orizzonti irraggiungibili che portano alla frustrazione, mentre il rancore aumenta.

In un’economia politica delle passioni bisogna “disattivare” il rancore e usare virtuosamente l’indignazione.

 

Sovranità popolare

Il centro del “neo-populismo” è la “sovranità popolare”. Si tende ad assolutizzare questo principio, separandolo dalla sua declinazione costituzionale.

Da quando Rousseau è risorto, si è tornati a identificare la “sovranità popolare” nella “volontà generale”. Questa volontà non è la somma delle singole volontà degli individui (la “volontà di tutti”), ma è un principio costituente che guida lo Stato nella realizzazione del bene comune. La sovranità si esprime in un corpo collettivo: il popolo. Il popolo incarna la “volontà generale”. È il Soggetto che anima lo Stato.

In questa teoria spariscono le classi, l’analisi della composizione tecnica e sociale della forza lavoro, il suo rapporto contraddittorio con i modi di produzione capitalistici. Dalla contraddizione si passa al trascendentale. Dalla critica dell’economia politica si passa alla metafisica. Non si parla della critica della società fondata sulla proprietà privata, ma di una proprietà pubblica e  “nazionale”  in mano allo Stato. Non è una questione di sfumature.

Il principio della “sovranità popolare” porta a una confusione con la sovranità dello stato-nazione. Si può invocare il popolo perché si vogliono rafforzare le prerogative dello stato-nazione contro i migranti “invasori” o contro il capitale. Se non si è xenofobi o razzisti ci si ferma, più timidamente, all’evocazione di un rafforzamento dei confini. La “sovranità popolare” si esprime anche nel proteggere le frontiere. È prerogativa dello Stato esercitare il monopolio sulla violenza.

Proprietà e confini: queste sono le idee che il secolo breve ha trasmesso al neo-populismo. Questa idea ha due problemi: rafforza in maniera autoritaria il potere dello stato sul popolo, e contro il popolo, penalizzando la possibilità di partecipare alla vita politica e agli affari pubblici. E rafforza l’esclusione degli stranieri e dei migranti in nome di una comunità originaria autoctona, il mito primigenio dell’Identità.

 

 

Alla teoria della “sovranità popolare” rispondono gli esperti di diritto costituzionale. Per loro la “sovranità popolare” è un elemento della legge fondamentale. Per esprimerla ci sono i referendum e le elezioni.

Alla prova dei fatti questa soluzione è difficile. Dopo 25 anni di leggi elettorali sbagliate, gli italiani ne sanno qualcosa. La gara sembra essere truccata in partenza. Mai le urne daranno voce al “vero” popolo.

Davanti a questa difficoltà i populisti rispondono: il popolo eccede sempre la sua rappresentanza istituzionale. Quelli che dicono “Noi, il popolo” sanno che non lo rappresentano mai pienamente. Il popolo è un trascendentale puro. Si darà sempre un popolo diverso rispetto a quello rappresentato dalle istituzioni o dai partiti.

Ma chi rappresenta il popolo, democraticamente eletto, potrà dimostrare di avere ragione per la ragione opposta, in nome del popolo. E non può che essere così: la sovranità popolare è un elemento dello stato di diritto costituzionale. Una volta incarnata, bisogna aspettare il prossimo turno alle urne. Nel frattempo il conflitto si assopisce nella “nuova legittimità del popolo”. Coloro che contestano tale legittimità saggiano sulla propria pelle la repressione della polizia che, in nome del popolo, esercita la sua funzione. L’esercizio diretto del potere da parte del popolo dovrebbe abolire il potere stesso che induce lo Stato a reprimere il popolo in nome della sua stessa sovranità. Da questa aporia non c’è uscita.

 

Moltitudine

Spinoza è una presenza incombente nel libro di Illuminati. Torna la classica distinzione tra popolo e moltitudine. Il popolo è l’Uno – ovvero il sovrano, lo Stato. La moltitudine è il soggetto estraneo al contratto di sottomissione con il quale il Sovrano la trasforma in “popolo” e l’assoggetta alle regole di un patto.

Questo significa che il “popolo” che non intende rispettare la legittimità di una legge ingiusta – cioè votata da un parlamento secondo i crismi della Legge – può diventare moltitudine e disobbedire al patto che usa il nome del popolo contro il popolo.

Per sottrarsi alle aporie della legge, e affermare il principio della “democrazia assoluta”, il popolo deve scindersi da se stesso. Così facendo rompe con l’ordine precedente e – se ci riesce – ne impone uno nuovo. Ridiventa “popolo”, ma in sé non è quello che vuole il Sovrano. È moltitudine, appunto.

In Spinoza moltitudine e popolo non sono soggetti distinti, ma appartengono a una dialettica politica dove prima viene la moltitudine, il soggetto che non risponde a un patto perché ha la potenza di imporne un nuovo. Moltitudine non è l’informe della politica. È una potenza da cui il popolo dipende, così come il potere dello Stato.

 

Profeti

La moltitudine, ricorda Illuminati, non ha bisogno di “profeti”, di “capi” e nemmeno di nemici per consistere. Ma è stato Spinoza a raccontare, nel Trattato teologico-politico, come la moltitudine abbia fatto largo ricorso a capi carismatici per liberarsi dall’oppressione. Valga qui come esempio il Mosé che guidò l’esodo dall’Egitto del “popolo di Dio”.

Il profeta serve a formare dal nulla o dalla corruzione un soggetto diverso dal “popolo” legittimato. Ha un ruolo fondamentale per iniziare una politica diversa e mostrare alle masse la terra promessa. Raduna le energie disperse. Convoglia l’indignazione verso un nemico, un obiettivo, una causa. Il profeta è l’inquisitore come Savonarola, l’annunciatore dell’arrivo di un Salvatore come Giovanni il Battista.

 

Capo

Dopo la liberazione delle catene bisogna liberarsi dei capi e dei profeti. Ma questo non può avvenire restando nel campo della “legittimità”. Il “Capo” esiste per mantenere il suo popolo sul percorso che lo condurrà verso il paradiso.

Il populismo nasce su questo confine e impedisce la trasformazione. Mantiene il “popolo” nella forma di massa e promette una liberazione che non arriva. Congela il Capo alla guida del suo popolo, scrive Illuminati, perché così vuole la Legge. La promessa della liberazione è sempre rinviata a un principio eminente, inattingibile.

Questa non è solo una storia biblica. Non stupirà il fatto che oggi il carisma profetico è espresso dai manager, dai dirigenti d’impresa, da chi si riconosce nella “governamentalità” neoliberale.

Berlusconi voleva dirigere lo Stato come un’azienda. Da ultimo Renzi che pensava di guidare un governo nello stesso modo in cui spippola sul suo IPhone. Il politico-imprenditore è l’ultima incarnazione del carisma profetico. Per un certo periodo il “popolo” ha creduto a questa “innovazione”. Con il referendum del 4 dicembre l’incanto è sparito. Renzi è imbolsito, preda di preoccupazioni bancarie aretine. Berlusconi è la macchietta biascicante rappresentata da Maurizio Crozza. In tempi di populismi, i leader carismatici si consumano come noccioline.

Ciò non toglie che la sua politica resti e sia «una variante virulenta del carisma profetico» e «non sfugge alla sua dinamica di affermazione e stabilizzazione burocratica».

 

Movimento

Esiste una politica irriducibile al “momento populista” in cui viviamo. Non tutti i movimenti possono essere compresi ricorrendo al concetto di “sovranità” o di “popolo”. Ad esempio il movimento femminista “Non una di meno”, quelli anti-razzisti e dei migranti, Black Lives Matter contro le violenze della polizia negli Stati Uniti, il flebile e cangiante arcipelago precario. L’elenco è di Illuminati. Approfondisco la traccia femminista.

L’occasione scatenante di questo movimento è stata la violenza contro le donne. Lo strumento politico di cui si è dotato è il “piano femminista contro la violenza maschile: 57 pagine frutto di una straordinaria e aperta consultazione dell’intelligenza collettiva. Così il nuovo femminismo ha impostato la ricerca strumenti per contrastare la violenza di genere e ha messo in campo una dotazione teorica e culturale fondata sull’autonomia, la soggettività e la potenza.

Sono i tre criteri base di una politica non populista il cui obiettivo, scrive ancora Illuminati, è creare “comunità evasive, senza identificazione essenzialistica e appartenenza, e in cui lo stesso comune non deve consistere, non è un qualcosa ma un’esperienza, una co-esposizione”. Una definizione che può essere compresa guardando gli streaming delle assemblee del movimento. La forza politica, l’intensità emotiva e affettiva, l’affilatezza delle analisi, l’esposizione dei corpi e delle loro storie: qui si è addensata una potenza che oggi permette di generare pensieri e azioni altrimenti impossibili.

Queste soggettività – le donne, i soggetti della differenza sessuale (Lgbtqi) – sono state storicamente escluse dal “popolo”. I loro movimenti sono politiche della soggettività – e non dell’identità di gruppi sociali che partecipano alla “logica sociale” del “popolo”, come crede il filosofo argentino Ernesto Laclau a cui si deve questo dibattito.

Il movimento femminista mette in discussione alla radice l’esistenza di soggetti unitari e neutrali come il “Popolo”. Per questo risulta illeggibile se vincolato alla restaurazione di un principio politico incarnato nella sovranità popolare.

 

Ira

Una politica è efficace quando si fa in nome di una parte e tende ad abolire la logica che impone la divisione tra le parti: quelle del governato e del governante, di chi è subalterno e di chi comanda.

Questa è la logica con la quale Marx ha identificato la classe di chi non ha ricchezze né proprietà nel proletariato. Questa “classe” non istituisce un “popolo”, ma abolisce se stessa insieme alla divisione in classi della società.

Paradosso, malinteso, dissidio, contraddizione. Sono molte le definizioni che hanno descritto questa politica che intende abolire lo sfruttamento a partire dal soggetto sfruttato. La stessa che ispira la politica dei soggetti che affermano l’autonomia del corpo, la differenza sessuale, la singolarità di una vita e intendono rovesciare la gerarchia che li subordina a una norma, un comando, un’identità.

«Lo stile del populismo sarà a volte rozzo» – scrive Illuminati – «l’importante è che l’ira degna non si cristallizzi».

 

«oh, noi che abbiamo voluto

apprestare il terreno alla gentilezza,

noi non si poté essere gentili.

Ma voi, quando sarà venuta l’ora

che all’uomo un aiuto sia l’uomo,

pensate a noi con indulgenza»

(Bertolt Brecht)

 

“Profeti e populisti” verrà presentato a Esc Atelier in occasione del L/Ivre martedì 19 dicembre alle 18.00, ne discutono assieme all’autore, Ida Dominjianni e Marco Bascetta