approfondimenti

Daniela Galiè

MONDO

Dieci anni di Kobanê. Una sfida ancora aperta.

In occasione del decimo anniversario della liberazione di Kobanê una delegazione internazionale ha incontrato le combattenti di YPJ. La sfida che devono affrontare adesso, dopo la caduta di Assad, è continuare a difendere le conquiste politiche e sociali del confederalismo democratico costruito con la resistenza in difesa del loro territorio

Testimonianza diretta dalla nostra inviata nella Siria del nord-est

Il 26 gennaio 2025 segna il decimo anniversario della liberazione di Kobanê, simbolo della resistenza nel cuore del Kurdistan in Siria. Questa città ha scritto una pagina fondamentale nella lotta contro l’ISIS e nella difesa del modello politico del confederalismo democratico.

Nel 2014, Kobanê fu teatro di una delle battaglie più drammatiche contro l’organizzazione jihadista, che, all’apice della sua espansione territoriale, lanciò un’offensiva su larga scala per conquistare questo centro strategico situato al confine con la Turchia. L’assedio durò mesi e vide scontri sanguinosi, con le forze curde delle Unità di Difesa del Popolo (YPG) e delle Unità di Difesa delle Donne (YPJ), impegnate in una resistenza che cambiò il corso del conflitto, mettendo fine al mito di invincibilità dell’ISIS. 

Kobanê non è solo sinonimo di resistenza militare, ma è anche il cuore pulsante di un esperimento politico innovativo.

Inserita nel contesto del Rojava, la regione autonoma nel nord-est della Siria, la città ha adottato un sistema che si fonda sui principi elaborati da Abdullah Öcalan, leader del movimento curdo, che prevedono l’instaurazione di una governance dal basso, basata sulla democrazia partecipativa, sulla convivenza tra diverse etnie e religioni, sulla sostenibilità ecologica e sull’emancipazione delle donne.

ingresso nella città di Heseke

Nel contesto della guerra contro l’ISIS, le donne curde delle YPJ, hanno dato vita a una resistenza in difesa non solo del loro territorio, ma anche di un modello di società che pone la liberazione delle donne al centro della lotta contro le oppressioni patriarcali, economiche e politiche. In ogni ambito della società, dalle istituzioni politiche alle forze di difesa, le donne hanno assunto ruoli di leadership, hanno creato cooperative economiche, scuole e organizzazioni autonome. Un impegno che si è poi esteso oltre i confini del Rojava, salvando migliaia di Ezidi intrappolati nel Jebel Sinjar e offrendo protezione ad altre comunità oppresse, dimostrando una solidarietà profonda e universale. Quello che le donne e gli uomini del Rojava stanno portando avanti è il tentativo di liberazione dalle pratiche patriarcali, dall’oppressione di genere, classe e etnia.

In occasione del decennale della liberazione di Kobanê, una delegazione internazionale, organizzata dalla DAANES (Amministrazione Autonoma Democratica della Siria del Nord-Est), ha raggiunto la regione, portando con sé rappresentanti da Italia, Francia, Spagna, Stati Uniti, Svizzera, Inghilterra e Germania. Nella base dell’SDF a Heseke, la delegazione, di cui fa parte anche DinamoPress, ha avuto modo di incontrare le combattenti delle YPJ, tra cui la comandante generale Rojhelat Afrin, che ha voluto sottolineare l’importanza di questo anniversario per il popolo del nord-est della Siria. «Si tratta di un periodo di ricordi significativi, legati all’occupazione di Afrin e alla liberazione di Kobanê». La sua riflessione si è concentrata sul valore del sostegno internazionale, evidenziando come la presenza di  sostenitori e solidali da tutto il mondo rappresenti una prova concreta che le comunità della regione non sono sole nella loro lotta.

la base dell’SDF a Heseke, incontro della delegazione internazionale con le YPJ

Rojhelat Afrin ha ricordato i tredici anni di rivoluzione, un percorso lungo e pieno di prove difficili, durante il quale il sostegno globale ha giocato un ruolo fondamentale. Ha parlato della resistenza delle comunità locali sottolineando come essa richiami lo spirito della battaglia di Kobanê, in cui le forze YPG e YPJ hanno combattuto non solo per la loro terra, ma per tutta l’umanità, lasciando un segno indelebile nella storia.

«Nonostante i 49 giorni di bombardamenti intensi su Tishreen e le difficoltà subite dalla popolazione locale, la loro resistenza rimane salda. Questa situazione non è nuova per il popolo della Siria del nord-est, che per decenni ha subito genocidi, massacri e persecuzioni».

Il riferimento è alla situazione delle ultime settimane, in cui, dopo l’indebolimento del regime di Bashshār al-Assad, le comunità di Shehba e Tal-Rifa’at sono state prese di mira da attacchi dell’Esercito nazionale siriano (SNA). Per proteggere queste popolazioni, le SDF e le YPJ hanno preso la decisione strategica di trasferirle in aree più sicure, preservando così la vita e l’identità di tantissime persone. Nonostante ciò, dopo l’evacuazione verso le città di Manbij, Raqqa e Tabqa, i corridoi sono stati ulteriormente chiusi e in molti sono rimasti bloccati. «Molte fazioni, portatrici di nomi e uniformi differenti, hanno continuato ad attaccare queste regioni», prosegue Afrin, sottolineando che «nonostante le apparenti differenze, le loro ideologie e pratiche sono identiche a quelle dell’ISIS, confermando la continuità di un nemico che non esiste solo al passato ma che è ancora vivo nel presente».

La comandante ha inoltre evidenziato i pesanti attacchi delle ultime settimane condotti dal SNA per il controllo dell’acqua nella diga di Tishreen  e il ponte di Qarakozax, due infrastrutture vitali per la regione. Di fatto, la Siria è al centro di un complesso intreccio di interessi geopolitici, spesso legati alle sue risorse naturali. I fiumi Tigri ed Eufrate, che attraversano la Siria, l’Iraq e la Turchia, sono una linfa vitale per l’agricoltura e l’energia. Tuttavia, la Turchia ha usato il controllo delle sorgenti come leva politica, riducendo il flusso verso la Siria e l’Iraq attraverso dighe e progetti idroelettrici.

La diga di Tishreen, situata nel nord-est della Siria, liberata dalle forze curde delle YPG, YPJ e delle SDF nel 2016, è diventata un simbolo della resistenza civile e della crisi umanitaria che affligge la NES.

Questa infrastruttura strategica, alta 40 metri e con un bacino idrico lungo 60 chilometri, è fondamentale per la fornitura di acqua ed elettricità a milioni di persone nella regione. Gli attacchi degli ultime settimane da parte delle forze turche hanno l’obiettivo di destabilizzare l’area e compromettere la vita delle comunità locali. I raid aerei turchi hanno causato decine di vittime tra i manifestanti e provocato danni significativi alla diga, mentre gruppi mercenari sostenuti da Ankara hanno attaccato i villaggi circostanti, aggravando ulteriormente la crisi. Gli scontri tra il Consiglio Militare di Manbij e questi gruppi armati hanno reso la situazione sempre più drammatica, mentre il silenzio della comunità internazionale contribuisce a lasciare la popolazione del Rojava isolata. Nonostante il rischio crescente e le perdite subite, la popolazione locale continua a presidiare la diga con manifestazioni pacifiche, consapevole dell’importanza vitale di questa infrastruttura, poiché la distruzione o la compromissione della diga rappresenterebbe una catastrofe umanitaria, privando milioni di persone di risorse essenziali e infliggendo un ulteriore colpo alla stabilità della regione.

Questa nuova fase di conflitto, caratterizzata dagli attacchi dell’SNA, continua a mettere a dura prova le comunità locali, ma il popolo e le forze di difesa mantengono salda la loro determinazione. Nonostante le difficoltà, il sostegno delle YPJ e delle SDF rimane un baluardo essenziale per proteggere la regione e il suo futuro.

Oggi gli attacchi della Turchia e delle sue milizie alleate continuano a minare la stabilità della regione e il modello confederale. Come afferma Rojhelat Afrin, «le nostre forze e il nostro popolo continueranno a resistere agli attacchi turchi, che si protraggono ormai da oltre trent’anni, con la stessa determinazione che ci ha guidato fino a oggi. Siamo consapevoli che l’obiettivo della Turchia è impedire il progresso del progetto dell’Amministrazione Autonoma, un modello che rappresenta un’alternativa democratica e inclusiva per l’intera regione. Tuttavia, per fermare questi attacchi, è necessario un sostegno concreto e deciso da parte della comunità internazionale». Prosegue Rojhelat Afrin: «non abbiamo mai cercato di ridefinire confini o di creare mappe per i nostri interessi, abbiamo semplicemente affermato il diritto di vivere e autodeterminare questa regione, resistendo per anni con l’obiettivo di dimostrare al mondo che siamo qui, che apparteniamo a questa terra e che continueremo a difenderla con ogni mezzo. La nostra lotta non è mai stata offensiva; è sempre stata a difesa del nostro popolo, della nostra cultura e del nostro futuro».

Le conquiste di Kobanê non devono essere date per scontate perché sono ancora molte le minacce che continuano ad affliggere questa regione e il suo popolo. Storicamente la povertà nel nord-est della Siria, sotto l’Amministrazione Autonoma, è il risultato di una combinazione di fattori storici, economici e politici. La guerra civile siriana iniziata nel 2011 e gli attacchi aerei da parte della Turchia, hanno devastato l’intero paese, causando la distruzione di infrastrutture essenziali, l’interruzione delle attività economiche e lo sfollamento di milioni di persone. Questa devastazione ha avuto un impatto significativo anche sul nord-est, compromettendo la capacità della regione di sostenersi economicamente.

la base dell’SDF a Heseke, incontro della delegazione internazionale con le YPJ

A ciò si aggiungono le sanzioni internazionali imposte alla Siria, le quali, sebbene mirate principalmente a Damasco, hanno avuto ripercussioni sull’intero paese.

La presenza di conflitti armati nella regione ha creato un ambiente instabile, scoraggiando investimenti esterni e interrompendo le attività agricole e industriali locali. Inoltre, la regione ha storicamente sofferto di politiche di marginalizzazione e sottosviluppo. Prima del conflitto, il governo centrale aveva trascurato le aree a maggioranza curda, limitando gli investimenti in infrastrutture e servizi. Questa mancanza di sviluppo ha lasciato il nord-est in una posizione di svantaggio economico rispetto ad altre parti del paese.

Per quanto riguarda il futuro della Siria dopo la caduta di Bashshār al-Assad, Rojhelat Afrin offre una riflessione lucida e incisiva sulla complessa situazione del paese, ribadendo il valore della resistenza e della coesione sociale.  «Abbiamo sempre creduto nelle nostre forze ed è questa convinzione che ci ha permesso di resistere fino a oggi», ha dichiarato, sottolineando come i rapidi cambiamenti governativi delle ultime settimane abbiano creato un contesto caotico, sfruttato per destabilizzare ulteriormente la regione. Nonostante questo ha rimarcato la necessità di un dialogo con il regime di Damasco, ma senza rinunciare ai principi e alle conquiste politiche ed economiche del confederalismo democratico. «Il nostro obiettivo è unire tutti i territori siriani, garantire la partecipazione di tutte le comunità e minoranze al processo politico e costruire una Costituzione che rispetti i diritti di tutti i cittadini».  

Festeggiamenti a Kobanê

Di particolare rilievo è stato il richiamo al sistema di co-leadership adottato nel Rojava, che assegna equamente ruoli di vertice a uomini e donne, un pilastro del progetto politico della regione. “Non possiamo abbandonare questo sistema democratico, frutto di tredici anni di pratiche, per dei compromessi con il governo centrale, così come non possiamo accettare visioni retrograde che confinino le donne al ruolo di casalinghe, negando loro la piena partecipazione politica e sociale», ha concluso.

Festeggiamenti a Kobanê

Questo 26 gennaio sarà, quindi, anche un modo per riflettere sulle sfide ancora aperte nella regione. Il progetto in atto nella Siria del nord-est continua a incarnare un’alternativa politica e sociale inedita che richiede il sostegno attivo della comunità internazionale, a fronte delle minacce persistenti che dimostrano che, a dieci anni dalla sua liberazione, il messaggio di Kobanê è ancora rivolto alla comunità internazionale affinché sostenga le forze democratiche e le donne e gli uomini del Rojava, riconoscendo il loro ruolo nella costruzione di una Siria più giusta e inclusiva.

Festeggiamenti a Kobanê

Tutte le immagini sono dell’autrice

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